CINEMA E STORIA
di Paolo Benvenuti

 

        Da 32 anni svolgo un lavoro di ricerca sul rapporto tra cinema e indagine storica. All'inizio degli anni '70 mi è capitato di scoprire (e di far riscoprire) una tradizione popolare delle nostre zone: il Teatro del Maggio, una forma di rappresentazione molto antica, dimenticata e in via di estinzione. A Buti, in provincia di Pisa, ho incontrato i vecchi attori del Teatro del Maggio e li ho convinti a riproporre una loro rappresentazione davanti alla macchina da presa. Il risultato di questo lavoro è stato un film, Medea, che ha determinato un notevole risveglio culturale: a Buti, infatti, è rinato l'interesse per questo tipo di rappresentazioni, si è ricostituita la compagnia del Teatro del Maggio e, grazie al film, sono risorte in Toscana numerose manifestazioni della cultura e del teatro contadino.
        Nel '72 ho lavorato come assistente di Roberto Rossellini in L'età di Cosimo de' Medici, sposando in pieno la sua ipotesi di cinema per una educazione integrale. Partendo da questa sua ipotesi ho lavorato sul rapporto fra cinema e storia. Nel 1974 ho realizzato Frammento di cronaca volgare, che ha come tema la guerra tra Pisa e Firenze e il famoso assedio dei 15 anni avvenuto a cavallo tra '400 e '500, al termine del quale Pisa cade definitivamente sotto il dominio fiorentino. È stato possibile realizzare questo film grazie alla collaborazione di un professore universitario pisano, Michele Luzzati: abbiamo infatti scritto assieme la sceneggiatura partendo proprio dai documenti storici che avevamo ritrovato presso l'Archivio di Stato di Pisa e nell'archivio privato del conte Roncioni. Utilizzando queste lettere, diari e manoscritti dei primi anni del '500, abbiamo ricostruito una sorta di "documentario impossibile": gli attori recitavano i testi tratti dai documenti e ognuno di loro rappresentava un personaggio storico in grado di raccontare un frammento di questa vicenda.
        Negli anni successivi ho continuato a lavorare in questa direzione: nel 1988 ho realizzato Il bacio di Giuda, tratto dai Vangeli canonici e apocrifi, e nel 1992 Confortorio. Anche questo film nasce da alcuni documenti storici ritrovati negli Archivi Vaticani. Una giovane studiosa romana di religione israelita, Simona Foà, aveva scoperto un manoscritto inedito redatto dal Provveditore della Confraternita di San Giovanni Decollato in una notte del 1736. Era questa la notte che precedeva l'esecuzione capitale di due giovani ebrei condannati a morte per furto con scasso. Il manoscritto ci ha suggerito di cercare negli archivi dei vari ordini religiosi che avevano partecipato a quella notte: con il materiale raccolto siamo stati in grado di ricostruire minuto per minuto la vicenda. Il frutto di questo lavoro è stato appunto Confortorio.
        Nel 1996 ho realizzato un altro film, tratto anche questo da documenti originali, sugli ultimi giorni di vita di un famoso brigante dell'800, Domenico Tiburzi.
        Nel 2000, ho concluso un nuovo film nato anch'esso dal ritrovamento di un documento storico: gli atti di un processo del 1594 a una donna, Gostanza da Libbiano, accusata di stregoneria dal Sant'Uffizio a San Miniato al Tedesco, in provincia di Pisa. Dal verbale del processo (il manoscritto era stato ritrovato presso l'archivio storico del Comune) abbiamo ricavato la sceneggiatura. Insieme ai miei collaboratori ho cercato di tradire il meno possibile il manoscritto originale, stilato da un famoso notaio dell'epoca, Vincenzo Viviani, e di trasformarlo in un testo vitale e drammaturgicamente efficace. In qualche modo il testo doveva essere tradito: i nostri "tradimenti" sono forse la cosa più intrigante di tutto il lavoro. Ma tradire non significa manipolare. La struttura del processo inquisitorio è rimasta invariata e le frasi pronunciate dai protagonisti di allora sono le stesse pronunciate dagli attori del film. In pratica, abbiamo tagliato e cucito il testo originale come sarti. Il verbale originale, infatti, constava di 200 pagine mentre la versione definitiva della sceneggiatura non ne conta più di 40. Ma, in questo arduo lavoro di sintesi, dovevamo fare molta attenzione a non perdere di vista l'eccezionale drammaticità dell'episodio narrato.
        Da molti anni i miei collaboratori sono soprattutto storici e uomini di chiesa. Padre Valentino Davanzati, ad esempio, oltre ad essere stato uno degli attori in Gostanza da Libbiano, ha anche collaborato alla sceneggiatura. Mi ha aiutato a comprendere quanto fosse presente nei documenti il senso di maternità della Chiesa di fronte a fenomeni come i processi dell'Inquisizione. Era necessario calarsi nel senso filosofico ed etico dell'epoca di cui raccontavo un particolare fatto, e non limitarsi a leggerlo in chiave moderna, con il giudizio dell'uomo contemporaneo. Un aspetto importante del film è il rovello interiore, la sofferenza autentica degli inquisitori che emergeva dai documenti. Per rappresentare questi sentimenti avevo bisogno di qualcuno che al giorno d'oggi potesse ancora sentire quella sofferenza: niente di meglio, quindi, che prendere un vero sacerdote e affidargli il ruolo di un inquisitore.
        Per Confortorio è stata molto importante la collaborazione del professor Adriano Prosperi, che mi ha accompagnato durante tutto il lavoro di studio sui rapporti tra i vari personaggi della vicenda. Fondamentale è stato l'apporto di don Roberto Filippini, un teologo di grande cultura che mi ha fornito alcune chiavi di lettura. Non essendo un credente avrei potuto assumere un atteggiamento duro e critico nei confronti di alcuni aspetti non proprio positivi della Chiesa. Attraverso un dialogo con queste persone, mi sono sforzato di vedere le cose da un altro punto di vista e di muovermi all'interno di uno sguardo che assumesse il senso della complessità. Ecco l'importanza del lavoro con i miei collaboratori: discuto a lungo con loro per confrontarmi con altri punti di vista e per assumere l'atteggiamento più corretto possibile.
        Le opere che ho citato sono quelle che più di altre si avvicinano al mio progetto di cinema storico, ovvero di un cinema utilizzabile anche dal punto di vista didattico nella scuola. Mi interessa il cinema come strumento critico per una seria lettura della storia. Auspico un cinema che svolga il proprio ruolo educativo nel senso più alto del termine. Rossellini perseguiva questo obiettivo con i suoi film didattici pensati per una televisione "democratica", che purtroppo non è mai nata.
        Parto dal presupposto che non è possibile giudicare un evento storico, ad esempio il '500, con la strumentazione critica di cui dispone la cultura contemporanea. Ho usato di proposito il termine "giudicare", ovvero dare un giudizio morale su azioni avvenute molti secoli prima di noi. Questo giudizio è possibile solo attraverso uno sforzo intellettuale. Solo se ci sforziamo di leggere un determinato evento con la consapevolezza dell'etica di quel determinato momento storico, possiamo essere in grado di tentare una lettura corretta. Se invece pensassimo di leggere quell'evento attraverso la cultura odierna, con la capacità critica contemporanea, con la filosofia che nel tempo ha fatto maturare ed evolvere i nostri punti di vista, molto probabilmente commetteremmo imperdonabili errori.
        Vorrei applicare questo schema al linguaggio cinematografico. Non sono in grado di leggere un episodio storico del passato con il linguaggio contemporaneo. Non posso filmare con la tecnica e con la scrittura cinematografica del 2000 un episodio del '500 o del '200. Devo sforzarmi di assumere lo sguardo dell'epoca. Che cosa ha fatto Visconti quando ha realizzato Senso? Ha cercato di interiorizzare lo sguardo dei Macchiaioli (per fare un esempio figurativo rivolto ai pittori dell'epoca): le sue inquadrature rimandano a quel tipo di sguardo. Il ritmo e la tensione narrativa sono quelle del melodramma, ovvero di un codice narrativo corretto, perché contemporaneo all'epoca rappresentata. In Bronte, invece, Florestano Vancini racconta una storia dell'800 con una tecnica moderna, attuale, con abbondante uso di macchina a mano, di zoom e della strumentazione che fa parte del codice espressivo odierno. È questo un elemento che io considero sviante e diseducativo.
        Tentare di ricostruire un episodio nella maniera più fedele possibile non significa, tuttavia, essere prigionieri dell'oggettività (termine che io non utilizzo): significa invece essere alla ricerca di una soggettività profondamente consapevole. Faccio un esempio. Nell'uso consapevole degli strumenti audiovisivi vi sono grossomodo due scuole di pensiero, sostanzialmente opposte, che in Italia possiamo individuare nella figura di Rossellini, da una parte, e di Fellini, dall'altra. Fellini parte dal presupposto di essere un poeta (e lo è), pertanto quello che ci offre con le sue immagini è il punto di vista del poeta sulla realtà. Rossellini fa un discorso diametralmente opposto: la realtà può essere ripresa da infiniti punti di vista, ma ve n'è soltanto uno giusto, ed è quello che ci fornisce il maggior numero di informazioni possibili sulla realtà osservata e raccontata. Fellini è alla ricerca del suo personale punto di vista, Rossellini cerca invece il punto di vista che comunica agli spettatori il maggior numero di informazioni. Fellini è dunque un operatore al servizio della poesia, Rossellini un operatore al servizio della comunicazione.
        Se sono più vicino all'estetica rosselliniana che non a quella di Fellini è perché ritengo che il cinema possa diventare uno strumento di aiuto e non di imposizione, uno strumento liberatorio e non oppressivo, che lascia allo spettatore lo spazio e il tempo per avere una propria opinione su ciò che sta osservando. Per raggiungere tale obiettivo devo mostrare allo spettatore delle immagini realizzate per fornire il maggior numero di informazioni. Non sto parlando di informazioni tecniche o di documenti scientifici, ma del concetto di informazione nella sua totalità. Se il proposito è quello di dare allo spettatore il ruolo di protagonista, e il mio umile compito è di scegliere il punto di vista con cui quell'evento si mostra nel modo più corretto (e non in modo soggettivo, felliniano), allora posso dire di aver lavorato bene. Il cinema, che si voglia o meno, ha un ruolo fortemente pedagogico: i ragazzi stanno più ore davanti a un televisore che davanti a un insegnante o con i loro genitori. Se non riusciamo a fare chiarezza sulla funzione di questo strumento maledettamente pericoloso, faremo dei nostri figli dei mostri. Anzi: lo stiamo già facendo.
        Per stabilire quale rapporto vi sia tra la scrittura cinematografica e un documento storico occorre definire che cosa si intende per documento storico. Ho già accennato alla mia esperienza di ricerca che ha portato al film Tiburzi. Ho lavorato per anni alla sua preparazione, ho studiato documenti, testi, manoscritti, verbali di polizia, diari dei carabinieri. Domenico Tiburzi ha vissuto in una terra che si chiama Maremma: ancora oggi la sua figura è un elemento di tensione fra gli stessi maremmani. Alcuni di loro lo rievocano con amore e lo venerano come un personaggio mitico, altri invece lo detestano. Mi è capitato di incontrare queste diverse fazioni viaggiando per la Maremma. Tiburzi è morto nel 1896 in un conflitto a fuoco con i carabinieri, ma in circostanze strane, misteriose. Con i miei collaboratori, nel tentativo di ricostruire la vicenda, ho lavorato principalmente sui rapporti di polizia. Poliziotti e carabinieri battevano sistematicamente la Maremma alla ricerca del brigante e stilavano relazioni che abbiamo consultato.
        Nel caso di scontri a fuoco con i briganti c'erano naturalmente dei verbali, e abbiamo consultato anche quelli. È capitato spesso di imbattersi in relazioni false. Come sono arrivato a capire che erano false? Perché mi sono trovato in Maremma a parlare con i discendenti dei carabinieri e con i discendenti dei briganti, che raccontavano storie completamente diverse da quelle che i documenti storici riportavano. L'uccisione del braccio destro di Tiburzi, il Biagini, è riportata in più versioni contraddittorie tra di loro; sulla stessa morte di Tiburzi vi sono più versioni: in una muore suicida; in un'altra viene ucciso a tradimento dal suo braccio destro, Luciano Fioravanti; in un'altra ancora muore ucciso dai carabinieri che avevano circondato la casa dove si era rifugiato. Quale è la verità? Non si sa. Dai verbali, ad esempio, risulta che i carabinieri dichiarano sotto giuramento che Tiburzi è stato ferito nel conflitto a fuoco e che un carabiniere si è avvicinato e gli ha parlato. Tiburzi avrebbe affermato alcune cose per spirare subito dopo. Se si confronta questa dichiarazione con il referto dell'autopsia, veniamo a sapere che il brigante era stato ferito in due punti: nella gamba sinistra e al capo. Il colpo d'arma da fuoco aveva portato via mezza scatola cranica, tant'è vero che nella famosa fotografia in cui si vede Tiburzi morto, legato ad una colonna, ha il cappello calcato all'indietro, in una posizione strana. Nessun maremmano porterebbe il cappello in quel modo, se non un barrocciaio o un gagà. In realtà quel cappello calcato sulla nuca serviva a coprire la mancanza di mezza calotta cranica.
        È interessante che in Maremma questa storia sia ancora molto sentita. I racconti non sono di prima mano, ma sono comunque molto vivi. E nel confronto tra memoria orale e memoria scritta capita spesso che quella degli archivi risulti falsa e quella orale vera. È un elemento che ci porta a riflettere sul concetto stesso di documento storico. Ritengo che anche un paesaggio possa essere un documento storico, se è il risultato del lavoro umano. Un paesaggio lavorato al giorno d'oggi con mezzi meccanici è certamente diverso dallo stesso paesaggio lavorato cento anni fa con l'aratro tirato da un mulo. Un contadino che assiste a un film sugli antichi romani in cui appare un filare di alberi si accorge subito che quegli alberi sono stati piantati secondo tecniche moderne. Occorre una particolare attenzione per vedere le tracce che il passato ci ha lasciato. Per me, è documento storico tutto ciò che mi aiuta a comprendere l'epoca che sto indagando. È documento storico l'opera di un pittore, la disposizione urbanistica; certo, anche il documento scritto ma non solo per quello che è vi scritto. Mi sono soffermato, a volte, a osservare dei ghirigori, delle macchie, dei disegnini che il notaio durante il processo di Gostanza ha scarabocchiato sulle sue carte. Mi sono detto: se ha fatto questo disegnino vuol dire che in quel momento è successo qualcosa, magari qualcosa che non ha voluto trascrivere. Così inizio a capire (a immaginare?) il rapporto tra il notaio e la realtà da lui osservata. Sono elementi che mi aiutano a ricostruire, anche poeticamente, il respiro di un'epoca e i legami tra i personaggi di una vicenda.
        Il film su Gostanza tratta del rapporto fra il maschile e il femminile, e della paura nei confronti del femminile da parte delle autorità religiose del tempo. È su quella paura, che non è paura generica della strega ma paura della sensualità femminile, che si gioca il dramma di Gostanza. Era quindi necessario indagare anche sulle tracce minime di questa vicenda, per esempio quelle lasciate dal notaio sulle sue carte, che mostrano come costui fosse spaventato dalle azioni della strega. A cosa serve tutto ciò? A essere corretto nel momento in cui devo intervenire sul testo che ho a disposizione. Per Gostanza abbiamo tagliato pagine bellissime, lunghi racconti di vita quotidiana, e l'abbiamo fatto perché non erano funzionali al film che intendevamo realizzare. Nel momento in cui decidiamo che un testo storico deve diventare cinema, cioè rappresentazione cinematografica, dobbiamo sottoporlo a tutte le leggi drammaturgiche del caso. Ecco quindi che non posso far parlare un personaggio per mezz'ora, perché spezzerebbe la tensione degli eventi che accadono. Devo quindi trovare un frammento di quel lunghissimo racconto, un elemento che sia essenziale, che dia il senso del tutto ma non metta in discussione la struttura del racconto cinematografico. L'architettura drammaturgica ha bisogno di alcuni elementi fondamentali: un inizio, uno svolgimento interno, una tensione narrativa (che non deve mai cadere) e una conclusione possibilmente sorprendente e inaspettata.