GOSTANZA DA LIBBIANO
di Mariella Cruciani
Gostanza da Libbiano di Paolo Benvenuti è certamente
una pellicola “altra” rispetto alla produzione cinematografica corrente: non si
tratta, infatti, di un’opera di fiction ma della ricostruzione documentaria di
un caso di stregoneria nell’Italia di fine cinquecento a San Miniato al Tedesco,
nel Granducato di Toscana.
Al centro di questo film-documento impeccabile e rigoroso, basato sugli atti
autentici del processo, non è tanto, come si potrebbe pensare, l’atto d’accusa
all’arroganza e al fanatismo, pure indiscutibili della chiesa cattolica, quanto
l’impossibilità di discernere la Verità.
Emblematica, a tal proposito, la sequenza che mostra il severo inquisitore
osservare, prima, gli svariati alambicchi di Monna Gostanza e, poi, sollevare
gli occhi ad un affresco per ritrovare quelle stesse ampolle nelle mani di
figure sacre.
Crudele assassina o vittima innocente? Gostanza appare agli occhi dello
spettatore come un enigma irrisolvibile: se, all’inizio, confessa con vivo
compiacimento, le morti causate dalle sue malìe, subito dopo nega e afferma di
aver parlato solo a causa dei supplizi.
La spiegazione, però, non convince dato che, successivamente, con orgoglio, lei
stessa dichiara che quanto raccontato è tutto vero e non conseguenza della
paura.
Il fascino del personaggio di Gostanza risiede proprio nella sua ambiguità: nel
suo dire e negare, nella sua fierezza indomita e nei suoi inaspettati cedimenti.
L’unico momento in cui questa donna forte e altera cessa di nascondersi a se
stessa e agli altri coincide, probabilmente per una scelta precisa del regista,
con la sola sequenza emozionante di questo severo film: quando Gostanza racconta
di essere stata rapita e violentata a soli otto anni.
A questo punto, la presunta stregoneria diventa, da parte della povera contadina
e della donna che le viene in aiuto, una forma di solidarietà tra esseri
discriminati e di opposizione allo strapotere maschile.
Benvenuti non dimentica, intelligentemente, di evidenziare l’altro lato della
medaglia: alla violenza, sessuale e non, perpetrata dall’uomo sulla donna, la
chiesa cattolica risponde con un atteggiamento altrettanto estremo e misogino,
quale la cancellazione totale della dimensione corporea.
Di fronte alla rivendicazione del piacere provato da Gostanza nel suo
congiungersi con il diavolo, gli inquisitori sentono, prepotente, il bisogno di
rimarcare che il demonio è un angelo e gli angeli sono incorporei.
Naturalmente, la negazione di una sfera vitale come la sessualità non può
avvenire impunemente: gli stessi persecutori sono le prime vittime di quanto si
ostinano a reprimere. Significativa, in tal senso, la figura del giovane
sacerdote, viscido e visibilmente eccitato ai racconti dell’anziana contadina.
Benvenuti, dunque, realizza un’opera controcorrente, densa di temi,
figurativamente ineccepibile, nel suo raffinato bianco e nero che guarda a Dreyer e Ejzenstejn.
Straordinaria, infine, Lucia Poli nei panni di Gostanza, protagonista assoluta
di questo film coraggioso, di grande impatto visivo e di inusuale spessore
etico.