Nella piazza è radunata una piccola
folla. Alcuni soldati vestiti di tutto punto con lucide armature cinquecentesche
attendono un segnale da qualcuno. Sono fermi e annoiati. Tra la gente, curiosi
la maggior parte, si scorge un gruppetto più in vista. Deve essere quello delle
autorità locali. Paolo ha pensato di fare una piccola festa di paese per il
primo ciak. In realtà San Miniato sembra essere abbastanza indifferente all'arte
del Nostro...
Via Angelica è un luogo molto suggestivo. Per il poco che ho potuto vedere, è
una piccola via coperta a volte, stretta tra la chiesa dei Santi Jacopo e Lucia
e il palazzo adiacente. Questa
era la strada che percorrevano anticamente i condannati a morte poco prima della
forca, e su
questa via si affacciano tre piccole cappelle, che erano altrettante piccole
stazioni di una breve via crucis, dove i condannati venivano rispettivamente
confessati, comunicati e data loro l'estrema unzione.
In questo piccolo, suggestivo luogo si gira il primo ciak. Paolo è stato
costretto a girarlo con un giorno di anticipo rispetto al piano di lavorazione
poiché domani cominceranno i lavori di ristrutturazione della via.
"Sono stato costretto ad anticipare le riprese" spiegherà Paolo "perché
altrimenti la Sovrintendenza avrebbe cominciato il fatidico restauro. E forse
Via Angelica sarà tra breve trasformata in una pizzeria!".
Lunedì 18 ottobre - Piazza Duomo, cella al Miravalle - ore 10,00
Interno giorno.
"Totale dall'alto. Nella penombra della cella, Gostanza, seduta sul pancale,
tiene il viso fra le mani, con i gomiti poggiati sulle ginocchia. Un raggio
luminoso spiove da una finestrella e va a colpire la nuda parete alle sue
spalle. Un rumore di chiavaccio scuote la donna dal suo torpore. La porta si
apre fuori campo e una lama di luce rischiara il pavimento di terra battuta.
Gostanza guarda sorpresa l'ombra che si avvicina. Mentre udiamo la porta
richiudersi, il Vicario Roffia si ferma dinanzi alla prigioniera. Bisbigliando
la formula latina del segno della Croce, il prelato benedice la donna che, a sua
volta, si segna chinando il capo.
Si devono girare quattro inquadrature della scena VIII: un totale dall'alto per cui occorre un grandangolo (16 mm.) che non c'è; un campo medio e due primi piani, l'uno uguale all'altro (sono campo e controcampo). Il totale si girerà domani, poiché qualcuno dovrà andare a prendere l'obiettivo a Roma (in realtà questo totale non verrà utilizzato in questo punto del film, poiché, una volta girato, il risultato è stato di carattere espressionistico, con ombre molto lunghe e forti contrasti di luce, e non si lega alle inquadrature precedenti. Prenderà posto, forse molto più avanti).
Il mattino non promette niente di buono e
infatti di lì a poco comincia a piovere. Questo ottobre piovoso e freddo credo
sia cornice ideale alla storia e al paese. Realtà e finzione si sovrappongono e
si ricongiungono.
In realtà la sceneggiatura prevede giornate di sole da cui sboccino inaspettati
controluce. I problemi più grossi saranno con i fonici. I microfoni captano il
rumore scrosciante di quello che nel pomeriggio diventerà un diluvio.
"Carino!" dice Paolo, "a quei tempi le celle erano umide". Il fonico ribatte che
quello non è rumore di umido, timido gocciolio, ma vero e proprio scrosciare di
pioggia. E fuori dalla grata, filtra il raggio da cinquemila watt di un sole
artificiale, che è stato possibile far passare soltanto attraverso il foro in un
muro esterno dell'albergo, praticato davanti ai nasi storti dei proprietari. E
chi fa veramente le spese di tale ostilità e pare preoccuparsene molto è Mario
Rossi, l'atletico aiuto-regista, attempato sanminiatese che ha svolto un lavoro
veramente prezioso quando si è trattato di trovare le locations e le comparse.
Alla luce artificiale dei riflettori,
scorgo Paolo, seduto, intento a guardare il monitor Sony che gli sta di fronte.
Sta costruendo l'inquadratura e preparando il set assieme all'addetto alle
riprese Stefano Bacci (fedele spalla, nonché ideatore del film, nonché allievo
di Paolo da vecchia data), e al direttore della fotografia Aldo di Marcantonio.
Attorno a loro si affanna Lillo, l'aiuto regista, sempre in corsa verso questo o
quel luogo, con in mano di volta in volta documenti della produzione, foglietti
sparsi, la sceneggiatura del film, la lista del pranzo, il vassoio con la
colazione per tutti. Tecnici, macchinisti ed elettricisti sono tutti all'opera,
salgono e scendono incessantemente con scatole, fari, cavi, pellicola, macchina
da presa... Tra tutti i bellimbusti romani, spicca Cecco, l'anziano elettricista
amico di Paolo nonché fiero contendente delle maestranze romane. "È lui che mi
ha iniziato al cinema; lavorava agli stabilimenti "Pisorno" di Tirrenia e mi
portava, insieme a mio padre, sul set dei film in lavorazione. Il cinema l'ho
conosciuto così, dalla parte di chi ci lavora, e fin da quando ero
piccolissimo", mi confessa sottovoce Paolo con una punta di orgoglio.
La mattina se ne va preparando il set. Si devono girare un totale di quattro
inquadrature, ma il "totalone" dall'alto (in mancanza di un obiettivo 16 mm. che
arriverà domattina da Roma) sarà girato domani. Non è possibile anticipare i
tempi. Il generico è liquidato con la raccomandazione di farsi allungare la
barba. Tecnici e attori si avvicendano nell'umidità della cantina, in un clima
disteso ed amichevole.
"Alza... ecco, lì. Ecco, Marco, un
pochino più verso di me... Verso la tua destra altrimenti si impallano...
ecco... altrimenti mi si decentra tutta l'inquadratura." Questo è Paolo che
garbatamente dirige e decide. Ha con i suoi (giovani) collaboratori un tono
quasi paterno. Qualcuno parla, qualcun altro fa "Sshh!!". Paolo costruisce
l'inquadratura con minuzia maniacale, millimetrica. Nessuna parola e nessun
movimento, neanche il più piccolo è lasciato al caso, all'estro dell'attore. La
precisione è di rigore, la geometria non ammette sbavature. Il film è una sorta
di un tableau vivant, vivificato dall'ardore lampeggiante della splendida Lucia
Poli.
Padre Valentino, vero Gesuita e vero maestro di teatro, grande amico di Paolo
del dopo-Confortorio, assume in certi momenti le pose del predicatore enfatico e
freddo. Facendo il segno della benedizione deve pronunciare le parole "Santa
Madre Chiesa", e le carica di retorica, fuori luogo nel momento in cui conforta
in buona fede la povera strega.
"Meno teatro, più amore!" suggerisce severo Paolo. "Non fare il gesto di
benedire, è quello che ti porta fuori strada". Il gesuita non comprende che dopo
molte prove. Non riesce a capire cosa voglia dire Paolo con quelle parole. Ma
quando capisce, le sue parole balsamiche mi suscitano un moto di sincera
commozione.
Mercoledì 20 ottobre - Coro della chiesa
della Misericordia - ore 15,00
Si deve girare la scena XI, il primo interrogatorio di Gostanza da parte di
Costacciaro.
L'attore che doveva interpretare Costacciaro è venuto a mancare all'ultimo
momento. Paolo ha prontamente provveduto a sostituirlo. Ha chiamato Roma,
domandando di spedirgli le foto di tutti i vecchi con la barba bianca reperibili
sul mercato. Arrivavano i fax dalle agenzie, e ne sono passati molti.
Improvvisamente, eccolo: è lui, un vecchio barbuto dal volto luciferino. È stato
immediatamente scritturato, ma quando è arrivato a San Miniato non somigliava
neanche un po' al volto intravisto per fax.
Paolo, dovendo far buon viso a cattivo gioco, si è dato da fare, ed ha cercato
assieme all'attore un tono di voce ed un'espressione che si adattassero a
Costacciaro. Ed effettivamente li ha trovati: una voce cavernosa, ed un modo di
parlare con secchezza, mutuato dalla lunga esperienza nel cinema (ha quasi
ottant'anni), nonché un occhio aggrottato e satanico. Quella sarà la sua
maschera per interpretare Costacciaro.
La troupe cala a basso dalla cella a
Miravalle. L'atmosfera è molto rilassata, in attesa di mettersi seriamente al
lavoro. Entro nella chiesa, fredda non meno della cantina dei giorni scorsi.
Fervono i lavori per preparare il nuovo set, ma siamo ancora in alto mare.
Circa la chiesa, recita un opuscolo che apparteneva "ad un Convento di monache
Agostiniane. [...] Nell'unica navata, con tre altari, era collocata in origine
una bella tavola del Quattrocento con l'Incoronazione della Vergine". Questa
chiesa, in occasione del film, è stata trasformata in un tribunale. La
scenografa, la simpatica Paolina, ha mascherato l'organo della Chiesa con
pannelli in compensato, sui quali ha poi aggiunto uno stemma mediceo, sempre di
legno scuro. L'effetto è qualcosa di imponente che sovrasta gli scranni degli
ecclesiastici sui quali prenderà vita la scena.
La parte della chiesa interessata dalle riprese è stata dipinta di un grigio
tenue, indistinguibile nel crepuscolo autunnale e piovoso dal bianco tenue della
navata. Un grande crocifisso in legno pende mobile sopra le nostre teste, come
sospeso nel vuoto della luce dell'arco da due invisibili, sottilissimi fili. I
più indaffarati sono ancora gli scenografi. Si arrampicano sul ponte mobile,
parlano, si affannano. Sono stati aggiunti dei portatorce alla parete sinistra
del coro. Mario Rossi ha costruito con le sue mani (questo per dire del sincero
affetto che lo lega a Paolo) uno scrittoio per il notaio, con tanto di calamaio
e penna d'oca.
A San Miniato piove molto, ed è molto
freddo. La troupe imbacuccata attende e parla.
Non si vedono ancora gli attori, i più coccolati. È del resto ancora molto
presto, il set non sarà certamente pronto per stasera. Paolo e Stefano, fedeli
alla loro collaborazione, stanno approntando le ultime, decisive modifiche alla
sceneggiatura. Mi hanno chiesto un lapis.
Sostiene Mario (il padre di Paolo) che
questo luogo è difficile da illuminare, ma che, una volta superato tale scoglio,
tutto filerà liscio. Certo è che prima di domani mattina le riprese non
cominceranno. Inizio a sentirmi di troppo. Si prova a spostare le panche, a
bucare i muri, a coprire gli affreschi. Paolo è ancora impegnato con Stefano a
"ri-scrivere", Aldo si aggira perplesso e parlotta con la moglie (che è anche
assistente di produzione). La segretaria di edizione riordina i suoi fogli.
Arrivano anche le strane sorelle dell'amministrazione, quella bella e quella che
ride. Saranno veramente sorelle? Tirano fuori una cartella, e uno ad uno tutti i
tecnici passano da loro e firmano. Non credevo che occorressero tante firme per
fare un film. Ogni dieci minuti compare qualcuno con qualche foglio da firmare.
Paolo è calmo. La sua voce suadente, calda e profonda come al solito. Sta seduto
ed osserva. È la sua peculiarità. Come si conviene ad un regista, il suo è un
lavoro di osservazione, un lavoro di continua inquadratura. Guardando (e
tossendo), sembra cercare una più profonda comprensione dello spazio e delle
cose che ci vivono. Il suo è del resto un cinema di spazio, di plastica
architettonica (e questo film, a suo dire, in particolare), di luoghi fisici più
che di cose o di persone. Gli esseri umani si inseriscono in questo spazio
astratto, diventando astratti essi stessi. Talora si smaterializzano fino alla
pura forma, diventano parte di una composizione, di un luogo mentale che li
include e li lega.
Lunedì 25 ottobre - Cappella della
Misericordia - ore 11,00
Interno giorno, Sala delle Udienze.
Si gira la scena XI, l'interrogatorio di Gostanza da parte di Costacciaro.
La m.d.p. è collocata sulla scena; Costacciaro, di profilo, è in primissimo
piano. Gostanza, composta, è trattenuta dalle catene e da due guardie.
Paolo e Stefano, appartati, programmano
le inquadrature da fare e le costruiscono.
Si fanno alcuni ritocchi alle luci. Fuori dalla cappella sono stati piazzati tre
fari da 5000 watt. La plastica delle inquadrature è tutta giocata sui
chiaroscuri e i controluce, anche molto "spinti", creati dalle differenze di
luce tra interni ed esterni. Azzardo anche un'ipotesi: l'interno-prigione, cupo
e oppressivo, molto oscuro, si contrappone ad esterni molto luminosi, che sono
metafora di una libertà perduta. In questo senso Gostanza fa sua - e la sublima
- la lezione d'interni di Confortorio e quella "fordiana", di esterni, di
Tiburzi.
Paolo costruisce una battuta con Lucia:
"Qui voglio sentire la sensualità nello sguardo (da notare la metafora, poiché
Gostanza nell'inquadratura è in realtà troppo lontana perché se ne possano
vedere gli occhi). Qui voglio sentire la ragazza che scopre l'amore: "Lui usava
con me" lo devi dire con un sorriso giovanile, non sforzato, fresco".
Ed ancora: "Troppa tristezza. Vorrei che queste battute le dicessi con più
gioia, vorrei che crescesse e passasse il senso del piacere e del ricordo
piacevole".
Gli attori recitano con volume e tono di voce, entrambi molto bassi. Costacciaro
poi, parla come in una litania, quasi fosse un sacerdote che officia un rito.
Dialoghi.
Paolo: "Lucia è perfetta lì, è esattamente sulla croce".
Stefano: "Ma non è più sulla porta".
P: "È vero... allora spostala lievemente a destra... Ecco, ecco, così è
perfetta...".
Aldo: "No Paolo, ora è tutta in ombra. O la mettiamo più indietro, o facciamo
spostare la guardia".
P: "Sì, un po' più indietro. Aldo, sposta Lucia... no... così è troppo indietro.
La voglio in PP. Si può segare un pezzetto di guardia? Basta poco, dieci
centimetri".
Arriva lo scenografo con un lampadario in ferro arrugginito.
Sc: "Ti piace?".
P: (poco convinto) "Sì, va bene... ma deve funzionare. Ci voglio il fuoco
dentro. Ci metti una tazza di metallo con dell'olio e lo fai bruciare".
P: "Ho un vuoto compositivo tra Lucia e la guardia... bisogna avvicinare la
guardia... alza il cimiero... ecco... pelino... pelino... pelino... così!".
A: "Così però taglio il cimiero... possiamo tirare Lucia dieci centimetri più in
là...".
P: "Ok... va bene... perfetto... Prova! Fermi tutti... azione!".
"Girati verso i cartelli!". Il tono che
Paolo usa con Renzo-Costacciaro è di grande severità. "Stai fermo, Renzo,
mettiti nella tua posizione. Renzo per favore stai fermo, segui me. Leggi la
prima battuta in alto a sinistra" (legge) "Ora quella in basso a destra..."
(legge) "Ok! È questa! Giriamone una. Silenzio. Motore".
Ciak: "11/61 - 1a!".
Fonico: "Stop! Questi parlano fuori e si sente tutto! Si sente più forte delle
battute loro!".
P: "Renzo, cerca di essere più veloce. Renzo, mi devi ascoltare senza muoverti.
Devi stare fermissimo! Sei in primissimo piano e se ti muovi è un casino!
Pronti... silenzio. Motore...".
Fonico: "Partito!".
Ciak: "11/61 - 2a!"
P. "Azione!".
Mercoledì 27 ottobre - Piazza del Duomo,
esterno cella - ore 15,00
Giornata di riprese poco fruttuosa. Al mattino si sono visti tardi, e hanno
fatto ben poco. In compenso si è preparato tutto per il pomeriggio e i giorni a
venire.
Siamo di nuovo all'hotel Miravalle. Finalmente il colonnino che sorregge il
pesante cancello esterno è stato buttato giù. Al suo posto un piccolo percorso
in terra battuta, che accompagnerà l'uscita di Gostanza da quella che dovrebbe
diventare la cella (e che in realtà è la cantina in cui abbiamo girato il primo
giorno). La porta che interessa Paolo è veramente bella. Porta la data 1562;
sopra di essa la mole della Torre.
Sul perimetro della Piazza sono stati eliminati alcuni alberi che davano
fastidio alle riprese. Altri sono stati potati. È questa una giornata
particolarmente difficile per le condizioni climatiche. I capricci atmosferici
disturbano anche il cinema. Abbiamo un ottobre con temperature da giugno, nebbie
e afa. Il tempo cambia in continuazione, passa dalla nebbia, al sole, alle
nuvole con grande rapidità. Proprio per questo occorre calibrare la m.d.p. in
continuazione: al mattino c'era la nebbia, e la macchina è stata preparata per
la nebbia, nonostante non fosse prevista in sceneggiatura. Quando finalmente era
tutto pronto per girare, ecco che esce il sole. E non andava più bene la m.d.p.
Così si è dovuto aspettare le nuvole che andavano e venivano. Poi alla fine il
tempo si è stabilizzato in un sole primaverile. Tutto da rifare. L'uscita dalla
cella di Gostanza non si potrà fare: le ombre sono troppo accentuate, e sul
bianco e nero diventerebbero qualcosa di inguardabile. Si rimanda tutto a
domani.
Sul più bello, la scoperta.
La cella in cui viene sistemata la m.d.p. per filmare la porta che si chiude fu
effettivamente una cella. Le pareti, nonostante successive mani di calce,
conservano ancora oggi disegni ed incisioni di quegli antichi detenuti. E
soprattutto un disegno ha destato l'interesse di Paolo: un volto di donna con
cuffietta e velo, posto di tre quarti. Somiglia veramente molto alla nostra
Gostanza.
Assieme a Stefano, ci mettiamo a leggere le scritte ancora leggibili, incise
sulla parete.
Eccole: "Quando un giudice o vicario si salva l'anima si chiuda l'inferno già
che sa pure che condannaste il figlio di Dio alla morte".
Ed ancora: "Ognuno contempli la pianta gradita frutto di vita per chi la cercò -
viva la croce". Quest'ultima scritta è compresa tra due inquietanti disegni, che
sono i simboli della Passione di Cristo (la Croce con i due flagelli pendenti,
le tenaglie, il martello e la spugna).
La scoperta mobilita per un attimo tutta la troupe. Solo gli instancabili
scenografi continuano imperterriti il loro lavoro. Mario (padre) fotografa il
volto di donna incorniciato dal velo e dalla cuffia.
Scopro che le riprese di un film sono,
per i tre quarti buoni, composte di lunghe attese.
Ci apprestiamo a girare la V/33 - 1a, ossia la porta della cella che il
secondino apre per far uscire Gostanza.
Piano ravvicinato frontale.
Interno giorno. Sul nero udiamo il rumore di un chiavistello che viene tirato.
Una macchia di luce quadrangolare irrompe da una finestrella. Uno sbirro si
affaccia a spiare. Poi lo sportellino di legno viene chiuso e un secondo e più
violento rumore di chiavaccio precede lo spalancarsi della porta verso l'interno
della cella. Lo sbirro si fa da parte.
De Carolis apre per prima cosa lo
sportellino che sta sopra la porta. Si tenta di farglielo aprire in modo che non
si veda il suo volto, ma che nella cella entri pura luce.
Date le condizioni della porta questo non è possibile. Stefano cerca ogni
possibile soluzione, compresa una cordicella, ma ci si deve accontentare che
quando si apre lo sportellino appaia anche un po' del volto di De Carolis.
Proseguendo nella scena, l'ometto dovrà aprire tutta la porta, in modo che il
buio della cella venga inondato dalla luce dell'esterno. A questo punto,
camminando all'indietro per un metro e mezzo circa, dovrà soffermarsi un attimo
in controluce, scuotere per tre volte le catene.
"Più rapido, più veloce nei movimenti, ed anche più professionale, come se ogni
giorno tu facessi questi gesti". Queste sono le uniche indicazioni (a parte
quelle precisissime sui tempi e i gesti da compiere) che Paolo dà al suo attore.
Paolo dà buone le prime due, una delle
quali ha anche le campane.
A questo punto si smonta per girare una scena sulle scale: l'arrivo di
Costacciaro a San Miniato, proveniente da Firenze. I macchinisti hanno già
montato il dolly. Gli scenografi corrono per mascherare i moderni corrimano
della scalinata.
Sta facendo buio, e probabilmente, nonostante che questa scena vada girata al
tramonto, non ce la faremo a finirla. Come al solito la cura per costruire
l'inquadratura è minuziosa.
Ore 18,20: mentre gli scenografi continuano il loro lavoro, si fa una prova
carrello.
Renzo-Costacciaro, vestito da francescano, fa il suo ingresso sul set. Paolo è
preoccupato per questo suo attore, ed anche poco cortese. Si dimentica
continuamente le cose e le battute. Forse è l'età, forse il carattere.
A Renzo: "Voglio vedere un passo stanco perché vieni da Firenze. Su quel
pianerottolo dovrai fermarti!".
Panoramica+dolly+carrello: si riprende la salita di Costacciaro fino alla Piazza
del Duomo, e il suo ingresso in Piazza. È tutto bellissimo. Ma il dolly è troppo
piccolo (3,70 m). Non ci si fa a fare la panoramica della piazza e a filmare il
frate che l'attraversa. L'inquadratura manca completamente di respiro: sale,
sale cercando l'ampiezza e la luce della Piazza, ma non la trova. Che fare?
I macchinisti propongono: "Qui ce vole lo skykinner! Eh Pa', quello è 11 m".
Paolo accetta con entusiasmo, altrimenti tutta l'inquadratura sarebbe da
modificare, probabilmente da ripensare in toto, visto che così proprio non
funziona. Si fa chiamare Rean, il produttore. Si deve telefonare alla "Ciak" a
Roma e farsi mandare lo skykinner entro giovedì al più tardi. Da sabato infatti
il giardino si riempirà di bancarelle per la "Sagra del tartufo". Con gran gioia
dei sanminiatesi, dei vigili, e dei cineasti.
Giovedì 28 ottobre - Atrio della scuola -
ore 16,00
È accaduta una cosa singolare, e Paolo mi informa come al solito con
tempestività, quando si tratta di "coincidenze", che confortano la sua tesi
sulla realtà della strega.
Preparando al mattino lo studiolo Roffia per le riprese della prossima
settimana, ha scoperto, tra i molteplici affreschi della stanza, accanto ad una
Vergine con Bambino, un angelo che travasa dell'acqua, da un'ampollina piena
d'acqua ad una piena di vino.
Poiché quello studiolo doveva ospitare una scena in cui il Vicario del Vescovo
annusa i preparati di Gostanza, ha subito cambiato la scena, in base alla nuova
scoperta, facendo apparire l'affresco all'interno dell'inquadratura.
Ora funziona così: Roffia è inginocchiato (a destra della stanza) e volta le
spalle all'affresco (a sinistra della stanza). Si volta intenzionato a guardare
la Madonna ma, mentre guarda, la soggettiva si sposta dalla Vergine fino
sull'angelo con le ampolline. Come ispirato da questo, il religioso si avvicina
allo scaffale che raccoglie i preparati e le ampolle di Gostanza, le annusa ed
esce.
Non contento delle coincidenze, Paolo vuole per il film un'ampolla uguale a
quella del quadro. Sa che ce n'è una così al Museo del Vetro di Gambassi,
cittadina non distante da San Miniato, teatro dei malefici di Gostanza.
Giovedì 28 ottobre - Cella del Miravalle
- ore 21,00
Scena V/32.
Esterno notte.
Piano ravvicinato dal basso.
Dianora, rannicchiata su un davanzale chiuso da una grossa inferriata, è
illuminata da un taglio di luce lunare. La bimba osserva attenta la scena.
Udiamo, fuori campo, il rumore dell'uscio della cella che si chiude e del
chiavaccio che si serra. I passi degli sbirri si allontanano nella notte fino a
scomparire. Silenziosamente, la bimba si aggrappa alle sbarre e vi si accosta il
più possibile col viso; poi, contenendo il volume della voce come in un gioco,
chiama la nonna.
Poco a poco, l'immagine della bimba alla finestra si dissolve in un lento fondu.
Forte taglio di luce sulla finestra, posta in maniera centrale all'interno
dell'inquadratura, benché inquadrata di taglio.
ScenaV/31.
Gostanza accompagnata in cella dai due secondini.
Campo medio molto dall'alto. Sull'immagine nera del fondu, si schiude poco a
poco il disegno a quadrati dell'ombra di un pesante cancello di ferro. Udiamo il
rumore del cancello che viene aperto e, infine, scorgiamo, dall'alto, tre figure
che attraversano il cortile in diagonale: un secondino con la lanterna precede
Gostanza, attardata ed affaticata dalla tortura e dal peso dei ceppi. Un secondo
sbirro chiude la fila. La m.d.p. segue i tre in panoramica fino all'angusta
porticina di una cella. Una tenue luce lunare illumina la parete della porta del
carcere, dinanzi alla quale i tre si fermano. Lo sbirro con la lanterna si china
ed entra nel pertugio antistante la porta. Lo udiamo tirare il pesante
chiavaccio e sospingere l'uscio all'interno; poi lo vediamo retrocedere e farsi
da parte. Gostanza, chinando la testa, entra nella cella.
Obiettivo 40 (si è passati da un 32 ad un
40, poiché la m.d.p. è posta molto in alto, al secondo piano dell'edificio,
esattamente sopra la finestra dov'era rannicchiata la bambina. Secondo Paolo, il
32 faceva sembrare troppo distaccato il punto di vista della bambina, che è in
realtà più vicina alla nonna. Almeno così appare dall'inquadratura precedente).
Gli scenografi hanno provveduto ad approntare un falso cancello di ferro battuto
(in realtà legno compensato), che proietta la sua ombra minacciosa sul cammino
di Gostanza. La parte sovrastante il cancello, perché nell'ombra risulti in
muratura, è stata coperta con un telone nero.
Anche questa scena è all'apparenza
piuttosto semplice. L'unico inconveniente, intervenuto a complicare leggermente
le cose, è il fatto che nel momento in cui valicano il muretto, le tre persone
che compongono la piccola processione, devono tenersi molto radenti ad esso,
perché altrimenti escono di campo. Non è facile far capire questo concetto agli
attori.
I movimenti sono pochi, ma costretti in spazi così angusti, che non possono
assolutamente mancare di precisione, meno che mai leggermente sbagliati. Ogni
singola inquadratura è in Benvenuti una sorta di piccola - perfettissima, ed in
sé compiuta - macchina immaginaria, in cui nessun margine è dato al caso, o
all'estro del momento.
Stefano prova a suggerire una leggerissima correzione orizzontale del movimento
della macchina da presa, in modo da facilitare il passaggio degli attori attorno
al muretto, ed evitare che escano di campo, fosse anche per un solo momento.
Paolo storce il naso. Tale correzione, anche se risparmierebbe molte prove,
sciuperebbe irreparabilmente la purezza e la perfetta simmetria del suo
movimento di macchina: dal basso verso l'alto-stop-dall'alto verso il basso. Si
decide di spronare gli attori e stimolarli ad uno sforzo, ma non compromettere
"la purezza del linguaggio cinematografico".
Si fa un fondu d'apertura senza bandiere, poiché altrimenti Paolo non sa come
cominciare la scena.
Le riprese sono rovinate da innumerevoli rumori (automobili, campane, ubriachi)
e impieghiamo fino oltre mezzanotte per avere una scena decente. Paolo è
esasperato e la dà buona, ma non è soddisfatto. Andiamo tutti a letto assonnati
ed infreddoliti, ma niente affatto contenti.
Martedì 2 novembre - Studiolo Roffia,
sala del Consiglio Comunale - ore 15,00
Scena VII /40A.
Da particolare a totale (carrello a precedere). Il fondu si apre sui tondi vetri
colorati della finestra bifora. Nella stanza, udiamo una porta che si apre e dei
passi che si avvicinano. Entra in campo, in controluce, la silhouette di Roffia:
questi apre i battenti della finestra, spalancandoli, ed esce di campo. Mentre
scorgiamo lo splendido paesaggio collinare illuminato dalla fredda luce
mattutina, udiamo Roffia armeggiare fuori campo con vasetti e bottiglie. Dopo un
momento, il religioso riappare davanti alla finestra con un fiaschetto di vetro
in mano. Lo solleva per osservarlo in trasparenza, poi lo riabbassa, lo apre con
cautela e se lo avvicina alle narici; poi lo capovolge tappandone la bocca con
il polpastrello, in modo da saggiarne la viscosità tra le dita. Richiuso il
fiaschetto, il Vicario si muove verso di noi. La m.d.p. lo precede carrellando
indietro, rivelando così l'elegante studiolo in tutta la sua lunghezza. Il
prelato posa il recipiente tra i materiali sequestrati a Gostanza, si pulisce le
mani con un panno e viene verso la m.d.p. che, nel frattempo, ha proseguito
lentamente a retrocedere. Il vicario esce dall'inquadratura, si sente il rumore
della porta che si chiude.
Lo studiolo del Vicario Roffia è stato
ricavato nella non grandissima Sala del Consiglio Comunale di San Miniato,
riccamente affrescata, ospitata all'interno del Palazzo Comunale.
Il Palazzo Comunale "sorge agli inizi del 1300 come Palazzo dei Signori del
Popolo, ma solo in parte, all'interno, conserva l'architettura e le decorazioni
originarie. Notevole l'armoniosa Sala del Consiglio, con affreschi della fine
del Trecento, di tarda scuola giottesca. Vi sono inoltre dipinti e scolpiti i
vari Podestà".
La finestra da cui l'inquadratura nasce, si affaccia su uno splendido paesaggio
collinare toscano: "La Toscana ha un paesaggio ancora intatto e io voglio
fotografarlo prima che muoia. L'anno prossimo tutto questo non ci sarà più. Lì
ci sarà un'autostrada". (Paolo, fin dai tempi del Maggio di Buti, è ossessionato
dall'idea di fotografare le cose un attimo prima che scompaiano per sempre).
P: "Stefano, non hai la sensazione che
Roffia sia troppo lontano?".
S: "Certo, ma è chiaro che privilegiamo la finestra piuttosto che lui".
P: "Padre Davanzati, prima avevi fatto un lavoro più curioso quando alzavi la
bottiglia. Mantienilo".
Aldo propone un controluce più netto, ponendo Roffia più centrale, all'interno
della bifora.
Ogni inquadratura di Paolo è costruita a partire da una suggestione luminosa e/o
plastica. In questo caso è certamente questa finestra bifora che si spalanca sul
paesaggio, e lascia filtrare la luce che dilaga nella stanza. La bifora ha
ipotecato tutta l'inquadratura, e occupa una posizione perfettamente centrale al
suo interno.
Di nuovo a Padre Davanzati: "Ti devi fermare di più su quel famoso gradino per
dare tempo alla macchina di allargare. Altrimenti esci di campo. Per il resto i
movimenti erano ottimi, molto belli, molto veri, solo che sei uscito di campo".
Lo scenografo è pronto dietro quinta con
un piccolo cencio con cui far pulire le mani a Padre Davanzati.
P: "Stefano, ma tu sei convinto di questo carrello indietro diritto? Se si
facesse in diagonale? Per avere da una parte la Madonna e...".
S: "No, no! Ma che Madonna! Ti si distorce tutto e poi il quadro non è
leggibile".
Si gira.
P: "Stop! Ottima!".
Fonico: "Paolo, ne facciamo un'altra per averne almeno una con il suono pulito?"
P: "Ok. Per me era buona ma..."
S: "E, per inciso, per me, come movimento di macchina, era meglio quella di
prima. Era dritta come un fuso. Questa invece traballava".
P: "Ok. Rifacciamo velocemente la scena poiché sta per scendere la luce. L'unica
cosa: Padre Davanzati: quando sei davanti alla finestra fai dei movimenti netti
e precisi; ne bastano tre, ma che siano quelli".
Ed infatti ormai c'è poca luce, non ce la facciamo a girare le inquadrature di Gostanza. Lucia è stata pronta per tutto il giorno e non ha girato niente. Queste inquadrature sono rimandate a domani. Per adesso si girano soltanto i dettagli di Padre Davanzati. Nell'ultima inquadratura, il percorso era molto accidentato e forti sono i timori di Stefano che la m.d.p. abbia traballato. Stefano guarda nuovamente la ripresa, rendendosi conto che c'era una giusta intuizione sulla panoramica, che tuttavia non è stata sviluppata.
Si girano adesso i dettagli:
40/1: soggettiva di Roffia sulla Madonna: il Vicario si volta per guardare
l'affresco con la Madonna e si accorge dell'angelo che travasa l'acqua in vino.
40/2: natura morta più mano: Roffia tocca una delle ampolle di Gostanza che sono
disposte sul mobile, coperte da un panno.
Stefano gira in completa solitudine
l'inquadratura 40/2. Il monitor è spento.
Per ciò che riguarda la 40/1 il discorso è più complesso. Essa si ricollega alla
40, che è stata girata al mattino. La 40 altro non è che il controcampo di
questa soggettiva, ossia Roffia che guarda l'affresco della Madonna, e, scortovi
l'angelo, volta la testa per guardarlo meglio.
L'idea iniziale di Paolo, partorita pochi giorni fa dopo aver scoperto
l'esistenza dell'angelo, era che la soggettiva si aprisse sull'immagine della
Madonna e andasse successivamente a cercare l'angelo. Secondo Stefano, non si
può fare tale movimento, altrimenti interviene una ripetizione, come se un
momento dopo, si rivedesse in una sorta di replay lo stesso movimento.
Si spezza allora l'inquadratura in due parti: una prima parte sulla Madonna (la
m.d.p. è ferma); una seconda parte sull'angelo + carrello a stringere ("Pe'
bimbi scemi", ossia a sottolineare l'immagine dell'angelo dalle ampolle).
Si cerca una luce, dopodiché si cerca di isolare l'angelo dal resto
dell'affresco. Il problema che sorge è però un altro. Il trepalle, sul quale
fino adesso è stata montata la m.d.p., si usa con focali larghe, con obbiettivi
venti oppure ventiquattro, altrimenti l'inquadratura balla. Per isolare l'angelo
nell'insieme del quadro è stato montato sulla m.d.p. un quaranta e poi
addirittura un cinquanta, ed infatti l'inquadratura ballava. Il risultato era
inguardabile. La macchina sentiva ogni buca, ogni piccolo dislivello del terreno
e l'inquadratura era tutta completamente mossa. È stato necessario montare il
binario, pur essendo molto tardi. Si fa prima un totalino con il cinquanta: è la
40/1 bis.
Mercoledì 3 novembre - Studiolo Roffia,
Sala del Consiglio Comunale - ore 11,00
Scena III/9: Gostanza giura per la prima volta sulla Bibbia (inquadratura
ampiamente modificata rispetto all'originaria sceneggiatura).
Interno giorno.
Obiettivo: 32.
Distanza della macchina da terra: 1,80 m.
Da figura intera a dettaglio (piccolo dolly su carrello a precedere). Il
religioso alla finestra ci volge le spalle. L'abito talare ed il suo portamento
rivelano l'autorevolezza del suo alto ufficio. Il notaio, da destra, alzandosi
dallo scrittoio, gli porge un libro. Mentre il prelato avanza verso di noi, la
m.d.p. scende sulla sua mano protesa che sorregge, ormai ferma in primissimo
piano, un antico Vangelo. Dopo alcuni istanti, la mano pallida della donna si
accosta al frontespizio del libro e vi poggia sopra la palma aperta. La donna
giura. Quando la mano si ritrae dal libro e a sua volta scompare, restiamo per
un attimo come sospesi nel nulla.
Totale dello studiolo, che riprende il
motivo della bifora già visto il giorno precedente. La finestra è aperta sul
paesaggio grigio, la luce corretta con gelatine trasparenti.
L'inquadratura è stata in un primo tempo costruita sulla Bibbia, che, poggiata
sull'angolo del tavolo del notaio, andava ad occupare lo spazio esattamente al
centro dell'inquadratura. In un secondo momento, per questioni sceniche di
movimento, si è preferito farla consegnare a Roffia dal notaio.
La diagonale del tavolo, confluisce nell'angolo a sinistra in basso
dell'inquadratura; la tacchetta del centro deve essere esattamente sulla gamba
del tavolo.
Una volta così minuziosamente costruita l'inquadratura, Paolo esclama: "Ecco,
ora inchiodate la macchina da presa!!". E poi: "Si è spostata l'inquadratura.
Stefano, ti avverto, si è spostata di tre millimetri l'inquadratura! La Bibbia
era più in punta. E poi aprite di più la finestra. Ho bisogno del righino -
della finestra completamente aperta si legge solo un rigo nero che corre
parallelo al limite destro dell'inquadratura - nero a destra, e che sia un po'
più largo. Lele così non mi significa nulla".
S: "Facciamo che è lui a passare il Vangelo a Roffia".
P: "Sì, appena Valentino viene indietro, Lele gli porge il Vangelo".
Ora sul fulcro dell'inquadratura viene a trovarsi il notaio nel momento in cui
consegna la Bibbia al Vicario Roffia.
Provano.
P: "No! Ci siete stati troppo! Voglio capire meglio che Lele va a chiudere la
finestra, e poi si vede che non chiude. Dovete indugiare meno. E poi, tu,
Valentino, devi stare più dritto, parallelo alla finestra, come abbiamo fatto a
Pisa", dove hanno girato il controcampo di questa scena, in cui si vede,
dall'esterno, Roffia alla finestra che guarda una bambina giocare nella piazza
sottostante.
Provano. L'inquadratura termina con un dett. della Bibbia, sulla quale si posa
la mano di Gostanza, che entra in campo dalla sinistra in basso, e si posiziona
esattamente al centro dell'inquadratura.
Quando è ormai tutto pronto, comincia a piovere. Non si può girare. Ci sono
volute quattro ore per preparare tutto il set, costruire l'inquadratura e fare
le prove. E poi non si può girare, perché la pioggia si sentirebbe e
nell'inquadratura girata a Pisa non c'era pioggia; e poi la pioggia cade sulle
gelatine alla finestra bagnandole. Il nervosismo aleggia.
Si cambia scena. Si gira il totale dell'interrogatorio di Gostanza.
Scena III/13.
Interno giorno.
Campo lungo. Il Vicario Roffia, appoggiata la bacchetta alla parete, ricopre gli
oggetti con il velo nero. Poi, ripresa la bacchetta, torna verso la donna. Con
questo movimento rivela, sul fondo della stanza, presso la finestra, un uomo
seduto allo scrittoio intento a verbalizzare l'interrogatorio. È il notaio
Vincenzo Viviani.
Inquadratura costruita su una diagonale
che dall'angolo a destra in basso (Gostanza seduta), sale fino all'alto a
sinistra (notaio seduto al tavolo che scrive). È bilanciata al suo interno, e
divisa esattamente a metà, dalla solita bifora e da Padre Davanzati, che,
esattamente a metà tra Gostanza e il notaio, diventa il fulcro
dell'inquadratura, il punto focale della scena, colui che in quel momento ha il
potere di decidere concentrato nelle proprie mani. È lui l'ago della bilancia.
La mano di padre Davanzati con la bacchetta, quando parla a Gostanza, viene a
trovarsi esattamente nella croce.
Obiettivo 20
Provano.
P: "Lucia, ottimo. Ma tutta la scena deve essere più liscia, senza teatro. Anche
tu Valentino: devi essere severo ma non arrabbiato, non devi alzare il tono di
voce. E Lucia devi essere austera nella prima parte, poi però diventare
confidenziale, e poi ritornare austera sul finale. Sono soltanto due i passaggi,
i cambiamenti di stato d'animo".
Per quello che sto riuscendo a recepire, il lavoro che Paolo porta avanti con
gli attori è teso a raggiungere l'essenzialità della recitazione, senza alcun
fronzolo o forzatura, ed a costringerla entro limiti precisi di toni e volumi
bassi, che talvolta debordano nel sussurro puro e semplice.
È buona già la prima, a parte alcune imprecisioni di memoria.
P: "Stavolta però me ne fate un'altra più sottotono, Valentino non alzare la
voce. Severo, ma non alzare la voce. La tensione deve essere interiore, non
esteriore. E tu, Lucia, hai degli scatti di velocità che non vanno bene. Cerca
di non farli. Altrimenti non si capisce nemmeno cosa dici".
I fonici mettono un radiomicrofono a Gostanza, seduta, immobile.
Il microfonista segue soltanto Padre Davanzati.
Venerdì 5 novembre - Cappella del
Loretino - ore 15,00
Scena XVI/83 bis (l'83 è stata modificata).
Interno giorno.
Da piano medio a piano ravvicinato. Ingresso di Gostanza scortata dalle guardie
nella sagrestia adiacente la Cappella del Loretino. Giunta presso una tenda da
cui provengono delle voci, Gostanza accosta l'orecchio per ascoltare.
Obiettivo: 32
Chiesa del Loretino: "Costruita alla fine
del secolo XIII. Alle pareti affreschi di tarda scuola giottesca ispirati alla
vita di Gesù Cristo. Di un artista senese del Trecento - Conte di Lello Orlandi
- l'elegante cancello in ferro battuto che divide la Cappella in due parti.
All'altare pregevole icona lignea dorata del Cinquecento".
Nel vuoto della sagrestia troneggia la copia della trecentesca Madonna di
Cigoli, gentilmente messa a disposizione del film dal prete di Cigoli. Aleggia
su di essa l'ombra dreyeriana di una fantomatica porta con inferriate. Simboli
di prigionia onnipresenti.
Al fianco sinistro della Madonna, la porta di legno scuro che aprendosi lascia
intravedere la profondità del corridoio dal quale entrano nella stanza le
guardie che scortano la strega. Sulle pareti del corridoio si intravedono le
bacheche lignee degli albi comunali.
Paolo, nel costruire l'inquadratura, vuol avere ben chiaro dove arriva l'anta
sinistra della porta, che è del resto a filo con il margine sinistro
dell'inquadratura. Chiede a Stefano di arrivare al margine dell'anta con la
macchina da presa. Dal nostro monitor non si riesce a distinguere bene i
contorni, poiché sono tutti neri.
Risolto il problema della porta, ci si sofferma sulle bacheche.
P: "Stefano, cosa ne pensi delle bacheche?".
S: "Le bacheche ci spezzano il muro bianco".
P: "Se si levano le bacheche si vede molto bene il disegno di Aldo, la grata sul
muro".
Effettivamente si tolgono le bacheche. In un primo momento, il muro candido del
corridoio fa un effetto molto bello, di ambiente di coercizione, col suo fulgido
bianco tagliente. Poi viene proiettato su esso il disegno delle sbarre del
fantomatico cancello, proprio come porta su di sé la Madonna. Concettualmente
non è possibile che l'ombra sia la stessa che si proietti sia sulla statua che
sul muro, ma simbolicamente, la ridondanza è un effetto stilistico di grande
suggestione.
P: [riferendosi alla nuova sistemazione con l'ombra delle grate] "Vuoi mettere,
rispetto a prima! Se vuoi lasciamo l'ultima bacheca... anzi no... leviamole
tutte. Il disegno diventa più essenziale. Aldo, se vuoi puoi abbassare la luce,
ma questo disegno mi piace molto".
Provano il movimento.
P: "Lucia, devi essere più inclinata con la testa, così prendi luce anche sul
volto!".
A: "Ma non è bello. Vedi che solo il naso prende luce?".
Lucia si inclina in modo diverso.
P: "Non ci deve essere aria tra Lucia e l'armatura di sinistra. Sono le armature
che danno i riferimenti! Aldo, l'ombra nel corridoio si può ritoccare? Si può
fare più alta, in modo che la diagonale vada a battere nell'angolo a sinistra in
alto?".
In tal modo la diagonale dell'ombra viene a coincidere con la diagonale
dell'inquadratura.
Paolo si fa dare un pezzetto di carta e cerca (con metodo tipico del pittore) di
tracciare una linea immaginaria sul monitor, prolungando la diagonale dell'ombra
fino al centro del mirino dell'inquadratura.
Si prova di nuovo, poi si gira e vengono bene quasi subito. D'altro canto il
movimento è abbastanza semplice. Paolo usa ripetutamente il foglietto, cercando
proporzioni e distanze fra le cose. Invita infine Stefano a spostare la macchina
da presa verso sinistra "di un centimetro e mezzo".
Infine esclama soddisfatto: "La quarta era perfetta! Sembrava fatta col
calcolatore!".
Scena XII/71: Cappella del Loretino
Da totale a figura intera dal basso.
Una porta si spalanca rumorosamente nel buio. Un manipolo di armati irrompe
nella stanza facendosi luce con numerose lanterne. Gli uomini, avanzando verso
di noi, si fermano davanti ad una preziosa cancellata in ferro battuto. Il capo
degli sbirri apre il cancello con le chiavi. Due dei suoi uomini, con uno
spintone, gettano una donna al di qua del cancello. La donna, perdendo
l'equilibrio, cade. Il cancello viene serrato e il drappello si allontana
uscendo dalla stanza. Quando la porta della cappella viene richiusa, la m.d.p.
si muove in panoramica a cercare la donna. Questa, distesa sul pavimento, fissa
con occhi sbarrati la porta dalla quale sono usciti gli sbirri. Vediamo una
giovane contadina la cui bellezza è stata precocemente consunta da una vita di
stenti. Dopo pochi attimi, la giovane si mette in ginocchio e si volge
mostrandoci la nuca. La m.d.p., seguendo quello sguardo, si solleva rivelando la
presenza di un prezioso altare dorato, al centro del quale troneggia una
statuetta lignea della Vergine. La giovane sconosciuta, giungendo le mani,
prende a recitare sommessamente l'Ave Maria. Alla fine della preghiera
l'immagine si oscura nel fondu.
Fuori, in strada, i soliti due fari da
5000 watt proiettano l'ombra nella cappella.
Al posto della consueta statua della Madonna del Loretino (copia della Madonna
nera di Loreto), troneggia nell'archetto una statua in legno della Vergine,
molto bella, anche se non molto imponente.
Nella coro della Cappellina, Aldo ha posto una candela accesa, solitaria su un
piedistallo.
Paolo non è affatto convinto di questa candela, e più volte la guarda, la fa
spostare, la fa spegnere, poi riaccendere, ecc.
Una candela, secondo Paolo, non è giustificata. A parere di Aldo invece ci sta
bene. Dopo molti ripensamenti, infine, si decide di lasciare la candela, accesa
nel posto in cui l'aveva originariamente messa Aldo.
Dopo le prime, difficili, prove del movimento di macchina, gli animi di tutti
cominciano a tendersi.
P: "Non vi chiedo virtuosismi allucinanti!".
S: "No, immagino che operatori con trent'anni di esperienza sulle spalle la
farebbero più velocemente".
P: "Il fatto è che non può che essere perfetta. O è perfetta o è perfetta!".
Poi, nel generale silenzio, si eleva la preghiera della donna disperata alla
Vergine....
P: "Se nel silenzio sale questa preghiera alla Madonna, mi sembra altissimo...".
Lunedì 8 novembre - Cappella del Loretino
- ore 16,00
Scena XV/82: interno giorno.
Obiettivo: 20
M.d.p. in picchiata inquadra il movimento delle guardie schierate sull'attenti
ed armate di picche. Il capo delle guardie si fa sulla soglia ed entra,
precedendo di qualche passo i tre religiosi ed il notaio. L'armigero, raggiunta
la cancellata che divide la navata dal vano presbiteriale, la apre, introduce i
quattro e richiude il cancello, rimanendo all'esterno.
Si sente il rumore del portone della Cappella che si chiude.
La m.d.p. è collocata a quattro metri di
altezza circa, su un balconcino che domina la navata della Cappella.
Lele entra, percorre la navata tra le due file di armigeri schierati, supera il
cancello in ferro battuto. La m.d.p. lo segue e si alza fino ad inquadrare
l'altare nella sua completezza. L'ombra di Lele occupa tutta la lunghezza della
navata.
La cosa più significativa, ed anche la più difficoltosa della scena, è il
movimento in sincrono delle guardie schierate sull'attenti. Il movimento, che
proveremo più e più volte, deve essere all'unisono, e molto, molto vigoroso e
preciso.
Scena XVII/90: Gostanza e Lisabetta al
Loretino.
Interno giorno.
Semitotale in controcampo. Davanti alla preziosa cancellata in ferro battuto che
separa il presbiterio dalla navata, Lisabetta osserva Gostanza che sta a testa
bassa. Il capo delle guardie apre il cancello, afferra la giovane per un braccio
e la conduce verso l'uscita della cappella, fra due file di armigeri. Sul fondo,
udiamo la porta aprirsi e richiudersi con tonfo cupo. Roffia entra di spalle e
si rivolge a Gostanza. Parla. A capo chino, Gostanza non risponde. Il suo
sguardo è assente. La m.d.p., avanzando lentamente, la isola in primo piano.
Solo allora Gostanza parla sommessamente. Poi solleva lentamente lo sguardo.
Piccolo carrello avanti.
Obiettivo: 24
P: "Lucia, usa le mani. Voglio sentire le
mani".
L: "Forse è meglio se questa la faccio come più astratta e trasognata, più
astratta dalla sofferenza, come già morta. Nell'altro caso ero più sofferente, e
più vera".
La girandola della attrici che Paolo aveva pensato per la parte ha visto
partecipare da Vanessa Redgrave a Alida Valli, per poi fermarsi su Lucia che con
il suo recuperabile accento, dà alla pellicola quel tanto di toscanità così
necessaria e presente nella storia. Del resto, degli attori originariamente
pensati per le parti rimangono soltanto lei e Padre Davanzati. Cambiamenti più
recenti hanno sconvolto il volto del film in profondità.
Sabato 20 novembre - Tabaccaia alla
Catena, stanza della Tortura - ore 12,00
Scena VI/36.
Interno giorno.
Figura intera. Di fianco alla grande finestra chiusa, Padre Porcacchi ci volge
le spalle. Sembra teso, contratto. L'indistinta litania che bisbiglia ci fa
immaginare i grani di un rosario che non vediamo. Roffia, sopraggiungendo alle
sue spalle, gli bisbiglia qualcosa. Sobbalzando appena, il giovane frate solleva
una mano senza voltarsi e la agita nervosamente in segno di diniego. [...] Il
reverendo Roffia si rivolge ai carnefici puntando la bacchetta verso l'alto.
[...] Poi si avvia al suo scranno, fuori campo. Sinistri cigolii di carrucola e
sommessi lamenti ci fanno intuire che Gostanza viene calata. Il giovane frate,
sempre di spalle, dopo un lungo momento di immobilità e di preghiera, sospira a
fondo, si volta ed esce di campo, a capo chino, con in mano il suo rosario.
Obiettivo: 24
La finestra, ancora una volta, ha
ipotecato tutta l'inquadratura. Non è tuttavia centrale, come ci si potrebbe
aspettare, bensì leggermente spostata verso destra, rispetto all'asse centrale
dell'inquadratura.
Il giovane Porcacchi, almeno per ciò che posso cogliere dal pessimo monitor, non
è niente più che una silhouette nera che si staglia sul chiarore del vetro
opaco. Roffia, da fuori campo, entra in campo dal centro in basso e percorre
l'asse verticale dell'inquadratura, fino a giungere alla finestra, vicino a
Porcacchi.
Finalmente, dopo una settimana che mi era
stato chiesto di non salire sul set, sono tornata al mio amato ruolo di
osservatrice del lavoro altrui. Siamo quasi al termine delle riprese, e le
tensioni all'interno della troupe sono sempre più forti.
Si sommano problemi di ogni genere, sindacali, di salute (Paolo è molto malato),
meteorologici (è piovuto moltissimo e una gru con sopra un faro si è
impantanata), stanchezza dopo oltre un mese di duro lavoro, Lucia che nelle
scene più impegnative ha chiesto che nessuno fosse sul set, tranne le persone
strettamente necessarie. È una conclusione di riprese un po' sofferta. Paolo è
molto teso, e i rapporti con la troupe risentono di questa tensione.
Ieri gli ho parlato. Generalmente mi chiama quando mi vuol dire qualcosa che
secondo lui è importante per la mia tesi. Ieri mi ha raccomandato di evidenziare
il fatto che il momento delle riprese è quello in cui si ha la possibilità di
lavorare con minuzia e agio su ogni singolo "mattoncino" (inquadratura) che
andrà a comporre il film. Ma chi tiene le fila di tutto, chi deve orientarsi tra
tutti questi mattoncini, conservando il respiro della totalità, l'armonia e il
ritmo dell'intero film, ecco, questi è il regista. Ciò implica per lui, via via
che il materiale girato aumenta, una crescente tensione interiore, un sempre
maggiore bisogno di concentrazione, una sorta di incessante possessione, che lo
porta ogni giorno di più ad astrarsi dal resto della troupe, anche ad essere
sgarbato, impaziente.
Le riprese, cercando di colmare un piccolo ritardo, si concludono lunedì 22 novembre.
1 Questa e le successive citazioni provengono dalla sceneggiatura tecnica del film, ancora intitolato, nel maggio 1999, La strega Gostanza