GOSTANZA DA LIBBIANO
di Ezio Alberone
Dalla rivista Panoramiche, inverno 2000


        Il cinema di Paolo Benvenuti è fuori dal tempo: nel senso che è lontano dalle mode e dall'imperativo dell'attualità. È un cinema che si ricollega a grandi maestri inattuali (rispetto al cinema "mainstream") come Rossellini (di cui Benvenuti fu assistente), Dreyer e Bresson. La forma del processo, l'elemento della scrittura, l'isolamento in cui vivono le sue figure (il traditore di Il bacio di Giuda, gli ebrei condannati di Confortorio, il brigante Tiburzi, la "strega" Gostanza), il loro antagonismo rispetto a un sistema e a un potere sono caratteristiche che si riscontrano anche nei cineasti ricordati (per non parlare della comune idea di un cinema basato sulla forza espressiva e sul mistero dei corpi, sulla visione "architettonica", depurata e essenzializzata della messinscena). Certo, Gostanza da Libbiano non è Giovanna d'Arco ("presenza" che, significativamente, ricorre nelle filmografie di Rossellini, Bresson e Dreyer), ma come lei è una figura storica messa sotto processo, una persona che si scontra con il potere costituito, un esempio di potenzialità "femminile" coartata dal giogo "maschile".
        Il nucleo ispiratore del suo cinema è stato indicato dallo stesso Benvenuti nel Vangelo: "Sono inciampato nel Vangelo e vi ho scoperto la matrice di ogni pensiero veramente libertario. La forza più rilevante del testo si ricava dallo scontro di Gesù con le strutture politiche; il Gesù che combatte lo strapotere del Sinedrio è profondamente antisecolare. Forse proprio per questo le stesse strutture politiche, rinnovatesi in suo nome, hanno poi cercato nella storia qualcuno o qualcosa contro cui esercitare la supremazia "morale" oltre che di fatto: gli ebrei, cioè, in quanto più vicini, i veri infedeli, e le donne, trasformate in streghe e démoni per la loro femminilità. I libri che mi hanno più formato in tal senso e che, assieme al Vangelo, ho tenuto per lunghi periodi vicini sono L'opera del tradimento di Mario Brelich e il Gesù di Dreyer" (in "Cineforum", n. 386, luglio-agosto 1999, p. 36).
        L'attenta ricostruzione del caso di Gostanza da Libbiano - processata per stregoneria nel 1594 - lo conferma. La natura "cristica" del personaggio è icasticamente scolpita dall'inquadratura in cui, dopo che gli inquisitori si allontanano, la macchina da presa compie un leggero movimento verso il basso (tanto più significativo in un cinema di quadri fissi) in modo da nascondere e inscrivere perfettamente il corpo di Gostanza nella sagoma del crocifisso. Ampliando il discorso potremmo anche dire che il nucleo generatore del cinema di Benvenuti è costituito dallo scontro tra l'immaginazione e il potere, il desiderio e la legge, la trasgressione (fino al tradimento) e la ripetizione dello schema. Ma dovremmo sempre precisare che, prima ancora della vicenda, è la scrittura cinematografica (il "cinematografo" direbbe Bresson) di un film come Gostanza da Libbiano a sviluppare il discorso attraverso la contrapposizione elementare del bianco e nero, i geroglifici delle ombre nella luce, l'inchiostro sulla carta.
        Cinema della scrittura, dunque, nella doppia accezione che David Bordwell individuava già per Dreyer: "sociale e profetica". Da un lato infatti si pongono gli elementi di senso univoco che caratterizzano un sistema socio-culturale: le parole dette e scritte nei verbali del processo, e poi le sbarre della prigione, la fune della tortura che penzola… (proprio questo tipo di scrittura sociale, espressione di un sistema dogmatico, che non ammette contraddizioni, paradossalmente non è in grado di sopraffare completamente Gostanza). D'altro canto si dispongono i segni di una scrittura simbolica leggibile solo dai "veggenti": il dipinto della Madonna con Bambino (il Dio che nasce dalla donna) e dell'angelo con l'ampolla (l'aura e il potere salvifico della natura). Nello stesso volto dolce e fiero di Lucia Poli, nei suoi capelli candidi e scarmigliati, nel contatto appena accennato tra due mani di donna si avverte la vertigine della complessità e dell'ambiguità del femminile. Gostanza, interrogata, dice che per vivere fila, fa nascere i bambini e prepara medicinali a base di erbe. Tessere (stoffe o racconti), generare (bambini o sogni), curare (persone o dolori): questo è il femminile all'opera. La risorsa della fantasia, la passione per la vita, il contatto con la natura: questi sono i "peccati" di Gostanza. Ed è questo che gli inquisitori vogliono cancellare in lei (quanti fantasmi di morte, e quanti bambini uccisi ci sono nelle "confessioni" di Gostanza! Ma l'inestirpabile capacità di racconto, di creare un "textum" fantastico, che manda a gambe all'aria la coerenza logica e teologica dei suoi giudici, impedisce a Gostanza di soccombere).
        Gostanza da Libbiano racconta certo l'arroganza della Chiesa (anche quando non condanna), la sua incapacità di accogliere l'altro e di confrontarsi con il diverso (quando il film è stato presentato e premiato a Locarno, nell'estate 2000, era fresco il ricordo della polemica, ben poco evangelica, mossa dalla gerarchia romana verso il "Gay Pride"). Ma racconta soprattutto l'irriducibilità dell'individuo (e di un'idea di cinema) a qualsiasi schema, ci fa intravedere le contraddizioni e il mistero del cuore umano, ci lascia intuire la potenza del femminile.
        In questo senso il cinema "fuori dal tempo" di Benvenuti, nella sua inattualità ci sembra essere il cinema più "contemporaneo" e, insieme, "profetico" che si fa in Italia.