LE
CRITICHE
«Gostanza da
Libbiano»
La Stampa (23/2/2001) Lietta Tornabuoni
Paolo
Benvenuti, regista pisano diverso da tutti, già autore di film
straordinari quali «Il bacio di Giuda» e «Confortorio», si ispira ai
verbali del processo a una strega della Toscana del Cinquecento pubblicati
dall’editore Laterza a cura di Franco Cardini nel volume «Gostanza, la
strega di San Miniato». Nell’anno 1594 Gostanza da Libbiano, contadina
sessantenne, guaritrice di mestiere, viene arrestata per ordine del
vescovo di Lucca, accusata di stregoneria. Viene sottoposta a tali
tormenti e torture che dopo qualche tempo rinuncia a proclamarsi
innocente, assume il personaggio della strega inventando un mondo
fantastico e metafisico di magìe, crimini, vampirismi, metamorfosi, voli
notturni, baccanali alla Città del Diavolo, ammaliando i suoi inquisitori
ecclesiastici, difendendo l’acquisita identità di strega anche davanti al
Grande Inquisitore di Firenze, lasciandosi vincere soltanto dal destino
minacciato a una vedova indicata come sua complice. Girata in bianco e
nero, la storia della donna accusata di essere strega e che con orgoglio e
creatività vuole davvero essere strega è resa ancora più appassionante e
terribile dall’interpretazione di Lucia Poli.
Film TV (27/5/2001) Bruno Fornara
Volete fare una
deviazione dalle parti del cinema allo stato puro, pensato inquadratura
per inquadratura, messo in scena con la consapevolezza e il gusto per la
bellezza e la passione? "Gostanza da Libbiano", quarto lungometraggio di
Paolo Benvenuti, Gran Premio Speciale della Giuria di Locarno, è quel che
ci vuole. Ultimo atto di una trilogia sul potere con "Il bacio di Giuda" e
"Confrontorio", il film si rifà ai documenti di un processo ad una strega,
tenutosi a San Miniato, vicino a Pisa nel 1594. Il potere ecclesiastico ha
il volto di due inquisitori all’antica che vorrebbero mandare la donna sul
rogo e amen, e di un terzo inquisitore sottile e moderno, padre
Costacciaro, che sei anno dopo processerà Giordano Bruno e che vuole
invece negare alla donna ogni identità, soprattutto quella, pericolosa, di
strega, indice di femminilità eversiva, sessualmente provocatoria. Una
battaglia tra libertà e paura, cento inquadrature lavorate una per una, un
film altro dal cinema consueto, una donna strega che confessa e ti
tramortisce, un viaggio nella stregoneria che è una discesa dentro se
stessi. Lucia Poli straordinaria. E un Benvenuti che non sfigura nel
confronto con un grande, il Dreyer di "Dies Irae", del cinema stregonesco,
con o senza rogo.
Sole 24 Ore (11/3/2001) Roberto Escobar
"E andammo
via con il vento in lontani paesi... alla casa del diavolo". Così, nel
1594, Monna Gostanza da Libbiano (una grande Lucia Poli) dice ai suoi
accusatori, agli occhiuti difensori della fede che la tormentano per
cavarle fuori la "verità". Impegno tanto forte, questo dei santi
inquisitori, che lo si deve intendere alla lettera. Gliela cavan fuori
dalle membra, appunto, quella verità. Le legano le mani dietro la schiena,
a un capo d'una fune che scende dal soffitto, e la tiran su, lasciandola a
penzolare. Poi, quando la "strega" si dichiara vinta, la calano sul
pavimento, dove il boia con un colpo secco le riaggiusta le articolazioni
delle spalle. Di quel suo gesto atroce a noi, in platea, giunge il
crepitio, breve e secco come l'urlo di Gostanza. Tuttavia, non è questa la
violenza più terribile raccontata in Gostanza da Libbiano (Italia, 2000,
90'). Ben più impietosa è quella che alla sua anima fanno gli "amorevoli"
persecutori: prima il Reverendo Messer Tommaso Roffia (Valentino
Davanzati) e l'inquisitore vicario Padre Mario Porcacchi da Castiglione
(Paolo Spaziani ), poi anche Padre Dionigi da Costacciaro, inquisitore
generale (Renzo Cerrato). A loro con penna d'oca e calmaio e senza un
fremito d'orrore, presta i suoi servigi ser Vincenzo Viviani, notaio
fiorentino (Lele Biagi). Alla sua solerzia puntigliosa e glaciale si deve
se ora Paolo Benvenuti può affidare i dialoghi del suo film a un "copione"
ufficiale, esso stesso puntiglioso e glaciale, percorso da espressioni
ormai desuete, che anche per questo hanno una sonorità inquietante. In un
bianco e nero intenso, Gostanza e i suoi carnefici si fronteggiano per
quasi tutto il film. Nonostante la sua solitudine inerme, nonostante
l'abbandono cui è condannata dal suo ruolo di donna e di strega, lei sta
loro "di fronte", appunto, reggendone lo sguardo e la prepotenza. Il
dolore fisico vince più d'una volta la sua coscienza, ma sempre le riesce
di capovolgere la sconfitta in un attacco, in un'affermazione impossibile
di dignità e autonomia. Ogni sua frase, ogni oggetto della sua vita, ogni
sua azione e affetto, tutto agli occhi degli inquisitori vale come prova
del suo crimine, della sua complicità con il Nemico. Non c'è scampo per la
vecchia levatrice, per la guaritrice che allevia con erbe e oli le
sofferenze dei contadini. Per quanto dica - che sia veritiera o che menta
-, sempre i persecutori ne traggono conferme di colpevolezza. Questa è la
violenza più radicale: quest'impossibilità di prender davvero la parola,
di esser parte nel giudizio, e non solo pretesto processuale, vittima
designata. Gostanza è povera ed è donna: in lei si sommano due
marginalità, due potenziali mostruosità. Inoltre è levatrice. Dunque, sia
sul limite della vita, alla soglia dell'essere, in un luogo ambiguo e di
confine, colmo di possibilità d'angoscia, di prodigio e di spavento.
Insomma, è una di quegli infelici che in ogni tempo e in ogni luogo,
seppur in modi diversi, sono esposti alla violenza e all'odio. La loro
persecuzione e il loro dolore sono rimedi antichi, arcaiche vie di fuga
dalle paure diffuse, dalle ansie individuali e sociali, dalle insicurezze
dei potenti, e più in genere dallo spaesamento e dalla fatica del dubbio.
Che cosa può fare, la vittima inerme, fisicamente e moralmente nuda,
abbandonata ai suoi aguzzini? La regia di Benvenuti e la grandezza
d'attrice di Lucia Poli trovano qui risposte emozionanti. Una prima volta,
con le ossa doloranti, Gostanza guarda dritta negli occhi del Reverendo
Roffia e del Padre Porcacchi. Il suo sguardo non è d'una povera vecchia
vinta, ma d'una donna in rivolta. Sono una strega, afferma con orgoglio,
ho fatto "malie" mortali, e voi stessi ne subirete danno. Il ruolo che le
è imposto si capovolge da negativo in attivo: la vittima, la marginale, la
strega si ribella, si "solleva" in quanto vittima, marginale, strega. Poi,
dopo altra solitudine e sconfinato terrore, richieste di pietà e tentativi
di resa, di nuovo non le resta che quel capovolgimento. Con occhi colmi di
un'ultima, estrema felicità, Gostanza racconta e vive il suo rapporto con
il Nemico. Non c'è altro modo, per lei, di fingersi e anzi d'essere "via
nel vento". Il suo ruolo di donna e di strega non è più la sua prigione:
almeno nell'attimo in cui i suoi occhi risplendono, è la sua libertà. La
manderanno assolta, i persecutori (ma per sempre sarà spiata,
controllata). Se non lo facessero, se non proclamassero ce Gostonza mente,
dovrebbero riconoscere la verità profonda della sua felicità e libertà.
Ben altra, infatti è la verità del loro Nemico di quello che si son
costruiti a immagine e somiglianza.
Ciak (1/4/2001) Marco Balbi
Ci vuole un certo
coraggio, a Giubileo appena concluso, presentare un film sulla Santa
Inquisizione! Ma Paolo Benvenuti, uno dei più rigorosi e coerenti (e anche
dei meno conosciuti al grande pubblico) registi italiani, segue un suo
preciso percorso artistico senza porsi problemi di mode o convenienze.
L'ultima tappa di questo itinerario morale è rappresentato da Gostanza
(un'intensa Lucia Poli), presunta (verrà assolta) strega toscana,
sottoposta a torture nel 1594 per costringerla a confessare le sue
malefatte. Raramente in un film si raggiunge un mix così riuscito di
elementi: i temi «alti» e intriganti (il pregiudizio, la seduzione del
Male), i dialoghi dai ritmi arcaicamente lenti, ma mai noiosi, la preziosa
fotografia che con un rigoroso bianco e nero ci restituisce inquadrature e
atmosfere degne di un Settimo sigillo o di un Dies Irae. |