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Noto
Antica Testi di
Salvatore Trincali e Rosanna La Rosa Foto di Sebastiano Ramondetta Quando il
terremoto del 1693 la distrusse, dandole l’occasione per rinascere nella
magnificenza del barocco, Noto era già custode di una memoria civile tra le
più prestigiose nell’ambito isolano e soprattutto di quella parte che proprio
da essa traeva il nome di “Vallo di Noto”. In realtà la storica tripartizione
dell’Isola nelle circoscrizioni amministrative dei valli, non deve
necessariamente collegarsi ad una supremazia istituzionale della città
intestataria, ma tuttavia nel caso di Noto, più che in quello di Mazara e di
Messina, l’intestazione rileva un sicuro prestigio della città che, ad un
certo punto della Storia, fu sicuramente più alto di quello di altre
magnifiche città vicine, quali Catania, Ragusa, Modica e persino la
nobilissima e vetusta Siracusa. La città dell’Alveria,
una costa calcarea quasi incastrata tra altre altrettanto aspre, a ridosso
delle terrazze dell’estremo versante sud-orientale ibleo, fu occupata dai
Siculi, che ne organizzarono la struttura urbana. La città avrebbe conosciuto il suo momento più esaltante sotto
la signoria del principe siculo Ducezio, che tanto influenzò le vicende
politiche siciliane della sua epoca, sia in guerra che in pace. Sempre forte del
suo ruolo strategico, orgogliosa del suo imperio culturale, che per lunghi
secoli emulò quello siracusano, Noto attraversò il periodo imperiale romano e
poi un lungo Medioevo senza nulla perdere del suo prestigio. Il primo
Rinascimento l’arricchì di architetture monumentali di rara bellezza. Vi nacque e vi
crebbe Matteo Carnilivari, un architetto le cui prime opere si fusero con
quelle degli ingegneri militari di Carlo V, che dotarono la città di
sofisticati approntamenti strategici, soprattutto la cinsero di potente
bastionata ben capace di resistere a cannonate nemiche, che peraltro mai
giunsero. Giunsero invece
i terremoti. Il primo, devastante, del 1593 che quasi rase al suolo tutta la
città; l’altro, catastrofico, del 1693. Se qualcosa dell’antica Noto forse
rimase sulle creste del monte Alveria, verosimilmente fu molto di più di quanto
si è portati a credere, nessuna memoria, se non quella di una passata e
reiterata grandezza si trasferì a valle, dove l’aristocrazia laica e
religiosa pensò e ineffabilmente produsse la nuova città. |