GLI IPOGEI DI CONTRADA LARDIA (SORTINO)

Riduzione da Beatrice Basile

Foto di Sebastiano Ramondetta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La contrada Lardia, a nord-ovest di Sortino, comprende una breve pianura delimitata da due dossi collinari di forma allungata. Ai due lati della valle si disloca, disposta irregolarmente in diversi livelli sulle opposte pendici dei colli, una serie di ipogei, arcosoli e grottoni che denuncia la presenza di un abitato paleocristiano.

Agli inizi degli anni Sessanta, Giuseppe Agnello individua la necropoli di contrada Lardia e avanza la datazione in età postcostantiniana, tra la fine del IV e la prima metà del V secolo d.C.

Nell’estate del 1989 iniziano i lavori di pulitura e scavo, finanziati dall’Assessorato regionale Beni Culturali e Ambientali. Questi scavi hanno interessato in particolare tre ipogei, situati a breve distanza l’uno dall’altro che si affacciano a nord, sulla valletta, con un’entrata preceduta da un breve corridoio d’accesso a cielo aperto, scavato nel pendio roccioso della collina.

Il primo è costituito da un ampio camerone a pianta trapezoidale delle dimensioni massime di m. 8,50 x 11 x m. 3,30 di altezza; all’interno si accede mediante due bassi gradini ricavati nella roccia. Presenta complessivamente 14 tombe. Lo spazio centrale è occupato da due sepolcri a baldacchino. Sulle pareti laterali si apre una serie di arcosoli bisomi. Si notano anche frammenti di lastroni di copertura delle tombe. La presenza, fra il materiale recuperato, di frammenti di lucerne, permette l’inquadramento cronologico nell’ambito del V secolo d.C.

Al secondo ipogeo si accede mediante un’apertura rettangolare alta e stretta. Le dimensioni massime sono m. 10,50 di larghezza, m. 6,70 di lunghezza e m. 1,90 di altezza. La pianta è irregolari e piuttosto chiare sono le tracce di successivi ampliamenti subiti dall’ipogeo nel corso del tempo, sicuramente non breve, della sua utilizzazione. Alcune nicchiette semicircolari servivano come alloggiamento per lucerne. Frammenti ceramici, di vasellame di vetro, lucerne africane e una monetina di bronzo di tipo costantiniano permettono di datare il periodo di utilizzazione dell’ipogeo fra il IV e il V secolo d.C.

Il terzo ipogeo è il più vasto dei tre (m. 13,50 x m. 13 x m. 2,20 di altezza), presenta una pianta articolata, frutto di ampliamenti avvenuti nel tempo e contiene 38 tombe. Sulla parete di fondo si nota l’abbozzo di un arcosolio, che induce ad avanzare l’ipotesi di un abbandono abbastanza brusco dell’ipogeo, per cause che non è possibile accertare. I ritrovamenti sono: frammenti di lucerne africane, piatti, scodelle, fibbie di bronzo, anelli digitali di bronzo, un orecchino d’oro, orecchini di bronzo, monete di bronzo di tipo vandalico, una moneta di Tiberio II, una collana di osso e uno spillone crinale di osso. Questi ritrovamenti permettono la datazione fra il IV e il VI secolo d.C.

In conclusione, la geometricità rigorosamente organizzata e le rifiniture abbastanza rozze (la regolarità del taglio è ricercata soltanto nelle tombe di particolare importanza) dimostrano l’appartenenza ad una società dal tenore di vita non troppo elevato; l’insediamento, quindi, pur se consistente sotto il profilo numerico, doveva essere a carattere prevalentemente agricolo e solo relativamente interessato da scambi economici con la costa.