Dalla raccolta “Rime e Ritmi” la poesia

 

Piemonte      di Giosuè Carducci

 

Su le dentate scintillanti vette

salta il camoscio, tuona la valanga

da' ghiacci immani rotolando per le

                       selve scroscianti:

 

ma da i silenzi de l'effuso azzurro

esce nel sole l'aquila, e distende

in tarde ruote digradanti il nero

                       volo solenne.

 

Salve, Piemonte! A te con melodia

mesta da lungi risonante, come

gli epici canti del tuo popol bravo,

                      scendono i fiumi.

 

Scendon pieni, rapidi, gagliardi,

come i tuoi cento battaglioni, e a valle

cercan le deste a ragionar di gloria

                      ville e cittadi:

 

la vecchia Aosta di cesaree mura

ammantellata, che nel varco alpino

èleva sopra i barbari manieri

                      l'arco di Augusto:

 

Ivrea la bella che le rosse torri

specchia sognando a la cerulea Dora

nel largo seno, fosca intorno è l'ombra

                     di re Arduino:

 

Biella tra 'l monte e il verdeggiar de' piani

lieta guardante l'ubere convalle,

ch'armi ed aratri e a l'opera fumanti

                      camini ostenta:

 

Cuneo possente e pazïente, e al vago

declivio il dolce Mondoví ridente,

e l'esultante di castella e vigne

                      suol d'Aleramo;

 

e da Superga nel festante coro

de le grandi Alpi la regal Torino

incoronata di vittoria, ed Asti

                      repubblicana.

 

Fiere di strage gotica e de l'ira

di Federico, dal sonante fiume

ella, o Piemonte, ti donava il carme

                      novo d'Alfieri.

 

Venne quel grande, come il grande augello

ond'ebbe nome; e a l'umile paese

sopra volando, fulvo, irrequïeto,

                      - Italia, Italia -

 

egli gridava a' dissueti orecchi,

a i pigri cuori, a gli animi giacenti:

- Italia, Italia - rispondeano l'urne

                      d'Arquà e Ravenna:

 

e sotto il volo scricchiolaron l'ossa

sé ricercanti lungo il cimitero

de la fatal penisola a vestirsi

                      d'ira e di ferro.

 

- Italia, Italia! - E il popolo de' morti

surse cantando a chiedere la guerra;

e un re a la morte nel pallor del viso

                      sacro e nel cuore

 

trasse la spada. Oh anno de' portenti,

oh primavera de la patria, oh giorni,

ultimi giorni del fiorente maggio,

                      oh trionfante

 

suon de la prima italica vittoria

che mi percosse il cuor fanciullo! Ond'io

vate d'Italia a la stagion piú bella,

                      in grige chiome

 

oggi ti canto, o re de' miei verd'anni,

re per tant'anni bestemmiato e pianto,

che via passasti con la spada in pugno

                      ed il cilicio

 

al cristian petto, italo Amleto. Sotto

il ferro e il fuoco del Piemonte, sotto

di Cuneo 'l nerbo e l'impeto d'Aosta

                      sparve il nemico.

 

Languido il tuon de l'ultimo cannone

dietro la fuga austriaca moría:

il re a cavallo discendeva contra

                      il sol cadente:

 

a gli accorrenti cavalieri in mezzo,

di fumo e polve e di vittoria allegri,

trasse, ed, un foglio dispiegato, disse

                      resa Peschiera.

 

Oh qual da i petti, memori de gli avi,

alte ondeggiando le sabaude insegne,

surse fremente un solo grido: Viva

                      il re d'Italia!

 

Arse di gloria, rossa nel tramonto,

l'ampia distesa del lombardo piano;

palpitò il lago di Virgilio, come

                      velo di sposa

 

che s'apre al bacio del promesso amore:

pallido, dritto su l'arcione, immoto,

gli occhi fissava il re: vedeva l'ombra

                      del Trocadero.

 

E lo aspettava la brumal Novara

e a' tristi errori mèta ultima Oporto.

Oh sola e cheta in mezzo de' castagni

                      villa del Douro,

 

che in faccia il grande Atlantico sonante

a i lati ha il fiume fresco di camelie,

e albergò ne la indifferente calma

                     tanto dolore!

 

Sfaceasi; e nel crepuscolo de i sensi

tra le due vite al re davanti corse

una miranda visïon: di Nizza

                     il marinaro

 

biondo che dal Gianicolo spronava

contro l'oltraggio gallico: d'intorno

splendeagli, fiamma di piropo al sole,

                     l'italo sangue.

 

Su gli occhi spenti scese al re una stilla,

lenta errò l'ombra d'un sorriso. Allora

venne da l'alto un vol di spirti, e cinse

                     del re la morte.

 

Innanzi a tutti, o nobile Piemonte,

quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria

diè a l'aure primo il tricolor, Santorre

                     di Santarosa.

 

E tutti insieme a Dio scortaron l'alma

di Carl'Alberto. - Eccoti il re, Signore,

che ne disperse, il re che ne percosse.

                     Ora, o Signore,

 

anch'egli è morto, come noi morimmo,

Dio, per l'Italia. Rendine la patria.

A i morti, a i vivi, pe 'l fumante sangue

                     da tutt'i campi,

 

per il dolore che le regge agguaglia

a le capanne, per la gloria, Dio,

che fu ne gli anni, pe 'l martirio, Dio,

                     che è ne l'ora,

 

a quella polve eroica fremente,

a quella luce angelica esultante,

rendi la patria, Dio; rendi l'Italia

                     a gl'italiani.