Non ti muovere di Margaret Mazzantini

 

Per caso una collega me lo aveva consigliato, dicendomi che era il libro migliore che avesse letto negli ultimi tempi; per caso un'amica me lo ha regalato. Il mio approccio con il libro non è stato però dei migliori: a me era toccata la Mazzantini, al mio compagno l'ultimo Lucarelli, per me il libro "femminile", al mio compagno quello che sarei stata interessata a leggere. Eppure tre circostanze mi hanno spinta a tentare: una frase citata dalla mia collega, ripresa dalla controcopertina: "La amo come un taglio nel vetro", il fatto che a volte mi è capitato di innamorarmi di libri che all'inizio non mi avevano attratto minimamente, infine una nota biografica dell'autrice: il suo essere sposata a Sergio Castellitto, il quale, dopo "L'ora di religione", mi sembrava garanzia sufficiente anche per la scrittura della propria compagna.

"Gli storni affollavano la luce cinerea, folate di piume e garriti…": il primo paragrafo mi è scivolato addosso come una doccia rinfrescante: il linguaggio mi sembrava pregnante e, nel contempo, poetico… e poi cercavo quanto annunciato nella presentazione: "una scrittura che prima di farsi leggere si fa vedere…".

Divincolandomi dalle note autobiografiche, veniamo ora al testo vero e proprio. Vi è l'uso di qualche corsivo, bruschi cambiamenti di tempo e pochi altri accorgimenti tecnici, ma niente di più. Certamente non mi aspettavo le pagine in libertà o il funambolismo grafico di un Marinetti o uno Sterne (per citare due nomi scelti a random), ma quello che trovo è persino meno dell'ipotesi di trascrivere a mano i biglietti dell'assassino ne "La Metà Oscura" di Stephen King. Quanto promesso dal punto di vista della grafica è quindi altamente disatteso (a meno che non abbia frainteso il senso della presentazione).

Il racconto in se stesso, invece, procede su due binari paralleli: da un lato, la perizia di un Redi nella descrizione dell'intervento chirurgico della figlia del protagonista che, a volte, rischia di precipitare il lettore nella sterile descrizione di un dolore troppo profondo per essere descritto e, quindi, come la felicità di Balzachiana memoria, andrebbe amputata anziché essere minuziosamente dissecata. Per sfuggire al tranello della facile emozione mi approprio del libro per ciò che fondamentalmente rimane: un oggetto, e ne leggo il finale, quindi passo al secondo "binario".

Per oltre cento pagine l'autobiografia, in prima persona, del protagonista può facilmente riassumersi in un coito ininterrotto, il linguaggio si fa triviale ma la mise en abîme è in tono minore (si scivola nel ridicolo con una citazione di cattivo gusto di Saigon, forse pensando di esprimere erotismo paragonando il protagonista a un militare americano…). Quest'uomo, che scopriamo essere, nel "tempo libero", un chirurgo quotato e addirittura un primario, passa dal letto della moglie a quello dell'amante. Le continue e grevi metafore: "mi muovo nel suo cesto di ossa come un predatore dentro un nido usurpato", " m'infilavo dentro di lei come un cane", " la prendo come una capra" scadono nella volgarità senza mai tingersi di depravazione.

Dopo un centinaio di pagine circa, il tentativo di una donna scrittrice, che cerca di immaginarsi cosa provi un uomo, ma che finisce per esprimere le più frustranti fantasie e i più veteri pregiudizi sulla sensibilità maschile di una massaia piccolo-borghese, si trasforma finalmente in un teleromanzo della Rai o di Mediaset, indifferentemente.

La moglie del chirurgo si accorge della tresca, si trasforma in una "strega" e, durante un amplesso trash, resta incinta; anche l'amante del chirurgo resta incinta, ma l'amante va a abortire dagli zingari (rifiutando un normale ospedale pubblico e il libro rischiando di cadere nella disinformazione sulla legge per l'interruzione di gravidanza pur di ottenere un "coup de théâtre"), mentre la moglie partorisce una bella bambina. La storia, in breve, sembra proprio un feuilleton, la scrittura non si tinge mai di poesia e lo squallore rasenta la noia. Di tanto in tanto, però, giusto per riempire qualche pagina con una "sontuosa descrizione proustiana", la scrittrice si dilunga coi salotti borghesi, come da buon manuale televisivo: il divano è "da design", gli amici si chiamano Gabry e Lodolo, Martine e Bambi, e naturalmente qualcuno muore di cancro e qualcun altro divorzia o va "a puttane", mentre continua imperterrita la comparazione degli abiti sintetici dell'amante confrontati con le stoffe preziose dei completi impeccabili della moglie. La quale, nonostante questo, a un certo punto, senza nessun approfondimento psicologico, si trasforma nella mente del protagonista da un'affermata giornalista e donna di classe in un'estranea con "lo sguardo ottuso e la faccia un po' abbovata".

Verso la fine, "Dallas si cangia in Terra Nostra" e la nascita della figlia si tinge di note edificanti: la piccola non respira a causa del cordone ombelicale che le si era arrotolato al collo e il padre promette, in cambio della vita della neonata, di non rivedere più l'amante e finalmente l'amante, novella eroina verdiana, muore a causa di una setticemia provocata proprio dall'aborto, il protagonista tenta di salvarla con le proprie mani ma non ci riesce e… a questo punto mi sembra di poter spegnere la televisione.

Le conclusioni purtroppo sono amare: questo libro ha vinto il Premio Strega 2002. Il livello è talmente basso che stento a credere che tale capacità di accozzare biechi stilemi del peggiore melodramma e della spazzatura televisiva quotidiana possa essere considerata letteratura. Stento a credere che un paio di corsivi diventino innovazioni grafiche. A sostenere un racconto in prima persona, in stile impersonale, ci vuole l'abilità tecnica dei modernisti inglesi dei primi del Novecento oppure una tale conoscenza della lingua da fondere le voci nelle "Onde" di un flusso poetico ininterrotto, ma rimanendo anche all'Italia, basterebbe rileggersi un Rosso Melpelo, crudo e vibrante nel distaccato ritratto dell'autore, basterebbe forse persino meno, basterebbe sentire veramente quello che prova il personaggio che ci si ostina a creare, invece di imitare modelli esteriori in trame preconfezionate.

Margaret Mazzantini, Non ti Muovere, Mondadori - 2002

 

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