CESARE PAVESE
Nel mondo così visse la solitudine

di Massimo Canetta - elemax@tiscalinet.it

Seconda parte

CIAU MASINO

Questa raccolta di racconti si articola su due filoni: il primo è quello dell'intellettuale Masino, intellettuale in senso lato; l'altro riguarda la vita dell'operaio Masin.

Masino e Masin: due nomi così simili ma non uguali; non a caso il primo intellettuale, scrittore di canzonette ritmate a blues - già qui Pavese aveva ben chiaro il suo sogno americano - si realizza a livello personale, vive spensieratamente, passa le serate nelle osterie con gli amici; insomma, Masino riesce addirittura ad ottenere l'autorizzazione per andare in America (che è sempre stato il sogno di Pavese, che non riuscirà mai a realizzare).

Masin, al contrario, operaio, è una figura triste, dall'inizio alla fine; la storia di un fallimento, antiteticamente a quella di Masino, che è tutta un realizzarsi.

La vita di Masino è simbolica di tutto ciò a cui Pavese tendeva.

Masin, invece, per contrasto, rappresenta l'impossibilità dell'operaio di inserirsi in una vita che non sia contrassegnata sempre da una lotta continua e senza speranza.

Masin è un fallito; a lui manca qualcosa che Masino possiede: il riuscire nella vita. Non a caso, infatti, Masin è un nome dialettale, paesano, mentre Masino è un nome italiano.

Il dialetto entra in evidenza, anche perché Masin nella raccolta risulta più importante di Masino, più significativo, per il fatto che nasce da un'autentica invenzione letteraria, mentre per Masino, Pavese aveva dei modelli ben precisi.

Vorrei citare alcune tra le disavventure accadute a Masin, che reputo importanti e di piacevole lettura: la prima disavventura capitata a Masin è quella di un tema - si era iscritto alle scuole serali per uscire dal suo ghetto psicologico e sociale - su Pietro Micca, che egli svolge in modo irriverente per il sottofondo politico che lo anima: irridendo Pietro Micca, Masin irride gli ideali di patria, gli ideali della società patriottico-borghese e per questa ragione viene espulso da scuola. Il
titolo del tema era il seguente:

"Parlate del gesto eroico di Pietro Micca. Suo rapporto coll'idea di famiglia e l'idealità del sacrificio. La perenne giovinezza della figura dell'eroe.".

Svolgimento: "Pietro Micca fu un eroe del 1706. I torinesi si difendevano contro il re Vittorio Amedeo III. Una notte mentre la città era nell'infausto riposo i francesi, cercarono di penetrare dentro le mura sotterranee, dentro questi luoghi c'erano le polvere e uno dei soldati chiamato Pietro Micca di Biella, mediante l'erismo e il sacrificio nel sentire il rumore tese gli orecchi e pensò che erano in cantina e mandando un soldato a portargli da bere per passare il tempo. Il compagno che bevvero insieme gli disse di fuggire con lui, ma Pietro Micca gli rispose che erano sul dovere di sentinella e non dovessero abbandonare il posto. Pietro Micca fu quando che comandò bene il picchetto e ha detto sempre; state pronti ragazzi che abbiamo la patria in pericolo. Ma l'eroe biellese non sapendo che tutti gli uomini hanno grande paura e mentre egli solo beveva nel barile i commilitoni insieme erano tutti scappati. Onde Pietro Micca si mise sull'attenti e pensando alla patria, perché bevette un'ultima volta ch'era proprio l'ultima e fece scoppiare la mina con una grande fiammata che s'incendiò nel corridoio e così è stata salvata la patria e le rovine le vedono ancora sicché il monumento sorge, qui l'eroe s'immortalò tenendo vicino sulla piazza il barile dove bevè l'ultima volta prima di morire.".1

Questo tema di Masin è un modello dal punto di vista linguistico, una pagina d'antologia che oggi, alla rilettura, costituisce una sorpresa per l'impasto fra lingua e dialetto in cui Pavese crea una lingua nuova.

In Masin c'è il desiderio di evadere, di trovare una condizione di libertà; di poter disporre di se stesso senza eccessivi condizionamenti, soprattutto senza padrone. Ma la vita di Masin è un susseguirsi di disavventure.

Infatti uscito dalla scuola, Masin, che è un collaudatore di macchine, durante il suo lavoro investe e uccide una persona. Gli viene tolta la patente e viene licenziato. Nel breve volgere di due giorni Masin si trova ad essere uno sbandato. Decide allora di rifugiarsi nelle Langhe in cerca di lavoro.

C'è quindi già dai primi anni di Pavese scrittore, la mitizzazione della terra langhigiana.

Dopo successivi cambiamenti di lavoro, licenziamenti, Masin torna a Torino, dove comincia a frequentare il mondo del varietà e dei locali notturni. Anche questo ha un suo significato: il giovane Pavese aveva una certa curiosità per il mondo dell'avanspettacolo, simbolo della perdizione.

Grazie a questa esperienza letteraria e stilistica e già avendo alle spalle l'esperienza di Lavorare stanca, Pavese può cominciare a scrivere Il carcere.


IL CARCERE

Negli scritti giovanili e soprattutto in Ciau Masino, Pavese ha bruciato molte delle storie e delle infatuazioni che altrimenti lo avbrebbero, forse, accompagnato per tutta la vita.

Quando uscì Il carcere, pubblicato insieme a La casa in collina in Prima che il gallo canti, alla critica sembrò strano, dato che insieme ai racconti Pavese aveva inserito le date di compilazione dei singoli racconti, (Il carcere '38/39; La casa in collina '47/48) che un piccolo capolavoro quale fu definito Il carcere fosse scaturito dalla penna di uno scrittore con così poca esperienza.

Pavese rispose che le date erano effettivamente quelle e che non gli era costata nessuna fatica la produzione del racconto.

Il Pavese in prosa, se escludiamo Ciau Masino, comincia dal 1936 e dal '31 abbiamo il lavoro saggistico e di traduzione sulla letteratura americana.

E' vero che Pavese non scrive racconti e romanzi, ma in fondo è abbastanza giustificato, in questo periodo, dal fatto che da un lato abbiamo il periodo più ricco di Lavorare stanca e dall'altro abbiamo il forte impegno nelle traduzioni e nei saggi sulla letteratura americana.

Cioè è vero che Pavese non scrive racconti e romanzi, ma tutte le sue forze sono concentrate in questa ricerca che darà frutti più precisi in seguito.

Nel '36, infatti, Pavese sente ormai che l'idea della poesia-racconto viene ad essere un qualche cosa di sperimentato al massimo, viene in sostanza ad essere un approccio letterario ormai meccanico e, a quel punto, allora il discorso si allarga naturalmente e dalla poesia si sfocia nel racconto.

(...) "i racconti che Pavese comincia a scrivere nel '36 sono a loro volta degli esperimenti che portano avanti il lavoro iniziato con Lavorare stanca, ma che di per sè già costituiscono come un'esperienza precisa e valida di per sè. Quindi documento, è vero, di un trapasso tecnico dalla poesia alla prosa, ma anche un documento di un lavoro letterario non casuale, non occasionale, non estraneo al lavoro di Pavese. Questi racconti, a partire da Terra d'esilio, del '36, sono tutti perfettamente inseriti nell'opera di Pavese.". (...) "In fondo, Pavese non scrive racconti per scrivere racconti, come spesso capita a molti scrittori. Non dimentichiamoci che allora le condizioni storiche e letterarie erano ben diverse: scrivere sulla terza pagina di un giornale, significava scegliere una determinata tendenza letteraria. Allora, tra il '30 e il '40, prima si scriveva un racconto, poi si pensava a pubblicarlo. E quindi, proprio per questo, i racconti acquistano nell'ambito dell'opera pavesiana un pregio e un peso letterario tutt'altro che indifferente, perché sono il documento di una ricerca condotta giorno per giorno nell'ambito della ricerca letteraria.".2

Comunque, dopo questa parentesi sulla formazione del racconto pavesiano, passiamo al 1949. A Prima che il gallo canti; perché risulta composto tra il '38 e il '48.

Dieci anni, dieci anni di lavoro per la composizione e la pubblicazione di un volume di due romanzi brevi? No, Il carcere, primo romanzo; il secondo, La casa in collina, tra il '47 e il '48.

Cominciamo con l'analizzare il primo dei due romanzi, lasciato in sospeso per dieci anni, cosa che a Emilio Cecchi parve priva di senso.

In una lettera del 17 gennaio '49, Pavese scrive in questi termini, rispondendo alle allusioni di Cecchi:

"Caro Cecchi, si rassegni, Il carcere, il primo dei racconti del Gallo canti, non venne più ritoccato dopo il 1938, se non nei nomi propri per ragioni di discrezione. Pare strano anche a me, ma lo scrissi così, nel primo tentativo di uscire dal mondo di Lavorare stanca, e due mesi prima di buttarmi, stimolato dal postino di Cain, a Paesi Tuoi. Il curioso è che me n'ero finora vergognato, e soltanto accorgendomi che La casa in collina gli faceva da riscontro, m'indussi a pubblicarlo.".3

Pavese quindi si vergognava di un suo libro e si decise a pubblicarlo solo dopo essersi reso conto delle affinità che lo avvicinavano ad un romanzo appena terminato. Non meno significativa è la risposta di Cecchi alla lettera di Pavese:

"Curiosità, io avrei creduto ci fosse stata una patinatura o una casellatura in data più relativamente recente. Se ne impara sempre.".4

Dunque il carcere che ha un precedente in Terra d'esilio, Pavese lo scrive ben prima di Paesi tuoi, che, fino ad allora era considerata l'opera più significativa di Pavese. Il carcere è quindi molto importante nell'ambito della storia pavesiana perché è l'anello che congiunge l'esperienza di Lavorare stanca e Paesi tuoi.

Come già detto, Pavese è un grande sperimentatore. In Ciau Masino, si sentiva, quasi premonitoriamente, il sogno americano del giovane autore e, da un punto di vista letterario, ciò che di utile ci poteva essere al fine di una perfezione di stile. Ora , che anche con Il carcere ha superato la poesia-racconto di Lavorare stanca, si fa avanti con tematiche che a livello di contenuti sono simili alle precedenti, ma che mirano ad un perfezionamento della forma.

Passiamo allora a citare brevemente ciò che Pavese propone ne Il carcere.

Questo racconto sviluppa la storia di un confinato politico durante il fascismo; è infatti la storia di Pavese stesso, anche perché il luogo del confino è Brancaleone calabro e il personaggio, Stefano, rispecchia emotivamente l'uomo Pavese.

Stefano è un ragazzo introverso che non riesce a comunicare né con il maresciallo dei carabinieri (rappresenta in questo caso l'autorità costituita e cioè tutto il mondo dell'ufficialità che Pavese non accettava) né con gli abitanti del luogo.

I suoi rapporti con il luogo erano più aperti, soprattutto nei confronti del mare (luogo mitico per Pavese; si noti anche la traduzione dell'opera americana Moby Dick) che Pavese definisce come "la quarta parete della sua prigione, una vasta parete di colori e di frescura dentro la quale avrebbe potuto scordare la cella.".5

Questo per quanto riguarda i rapporti col luogo, mentre per i rapporti umani vi è un cambiamento; infatti questi rapporti, poi, prendono un loro ritmo di confidenza e Stefano diventa amico, non solo del maresciallo, ma anche degli abitanti del posto.

I rapporti con le donne, invece, svelano il vero carattere di Stefano, vale a dire la solitudine, ch'egli stesso chiama vigliaccheria, in sostanza la sua incapacità a comunicare, che riflette anche uno stato d'animo, che è quello di Pavese stesso.

Così sembra che ogni volta che si offra amicizia e amore a Stefano egli ne abbia paura, mentre sembra attratto da ciò che è fuori dal proprio mondo.

Questo si era già notato anche in Ciau Masino in cui Masin, personaggio scaturito dalla pura fantasia di Pavese, era il personaggio chiave dei due racconti proprio per questo motivo.

Tornando a Stefano de Il carcere, entrano a questo punto in gioco i due personaggi femminili: Elena, la padrona di casa, che è remissiva, quasi materna, che gli si concede e che ad un certo punto vorrebbe veramente essere amata come lei ama Stefano. Questi però non prova nulla per lei, non sente nessun desiderio, poiché tutti i suoi desideri sono rivolti ad un'altra donna, a Concia, la ragazza che aveva veduto girare in paese.

Pavese così la descrive:
"la sola con un passo scattante e contento, quasi una danza impertinente, levando erta sui fianchi il viso bruno e caprigno con una sicurezza che era un sorriso. Era una serva, perché andava scalza e a volte portava acqua.".6

Da un lato quindi, Stefano vede la realtà subita, quindi Elena, la Elena sottomessa e, dall'altro, antiteticamente, la realtà, non subita, ma quella fantastica.

Segue che a Stefano giunga il messaggio di un altro confinato politico che lo invita a trovarsi e ad incontrarsi per avviare un dialogo. Questo messaggio permetterebbe a Stefano di uscire dal guscio dei due contrari sopracitati che lo circonda. Stefano, invece, si lascia sfuggire questa possibilità, non rispondendo all'invito. Poi, successivamente, arriva il condono e Stefano può tornare a casa.


LA CASA IN COLLINA

Cronologicamente parlando, ora si dovrebbe passare a Paesi tuoi, ma la curiosa affinità che lega Il carcere a La casa in collina non può che attrarre verso un'analisi del secondo racconto di Prima che il gallo canti: appunto La casa in collina.

E' anche questa la storia di Pavese, ma più recente sia cronologicamente, per quanto affermato più volte in precedenza, sia come contenuto.

E' appena finita la guerra e, come già visto nelle tappe cronologiche della vita di Pavese, sappiamo che egli dal '43 si era, fino al '45, rifugiato nel Monferrato per sfuggire alla guerra civile allora in corso.

Così il personaggio del racconto, come Pavese stesso (si noti l'ennesima affinità Pavese-personaggio), sfugge alla guerra rifugiandosi in collina.

Siamo nel '43 e il luogo non è più il mare di un paese in tempo di pace, bensì una città in rovina, bombardata, che come le altre città subisce la dura legge della guerra.

Il protagonista, Corrado, un intellettuale, è un professore che vive questo dramma osservando tutto quanto accade intorno a lui. Corrado prende sempre un atteggiamento di distacco, preso com'è dal problema di capire cosa sta realmente accadendo. Soprattutto cerca di capire sè stesso in certi frangenti.

Corrado si rifugia dunque in collina, una collina diversa da ogni altro possibile luogo ove rifugiarsi, perché, come afferma Pavese stesso, è un aspetto delle cose e diventa addirittura un modo di vivere. Corrado in collina è ospite di due donne, ed una, Elvira, lo ama segretamente senza che Corrado corrisponda a questo sentimento.

Appena può, egli si reca in un'osteria dei dintorni, Le Fontane, dove si ritrova la gente che per sfuggire ai bombardamenti si reca sulle colline la sera, lasciando Torino.

Lì si parla chiaramente di politica, della possibile ed ormai imminente caduta del fascismo. Si ascolta Radio Londra e tutto questo è l'immagine tipica del '43.

A Corrado interessa soprattutto una ragazza, Cate, con la quale ebbe una relazione in anni ormai lontani. Cate ha ora un bambino che potrebbe essere figlio di Corrado e porta il suo nome.

Qui egli vorrebbe capire se la vita al fianco di Cate e di fronte al bambino, possa avere un senso. Ma Cate lo rimprovera di non essere in grado di amare qualcuno e soprattutto di uscire dal suo isolamento. Successivamente gli avvenimenti precipitano: cade il fascismo, arrivano i tedeschi, inizia l'attività partigiana e i rastrellamenti.

Non sfugge a questi ultimi nemmeno l'osteria frequentata da Corrado, nella quale il suo gruppo viene arrestato dai tedeschi. Corrado è l'unico a salvarsi, con il bambino, Dino, col quale si rifugia dapprima in un collegio ma, data l'insicurezza del posto, abbandona il bambino e ritorna sulle sue colline, questa volta nelle Langhe, dove si sente più sicuro.

In questi luoghi che non sono distrutti dalla guerra, dove la miseria da essa provocata non è stata fonte di contagio, Corrado sembra ritrovi una certa tranquillità.

Non fugge più, non ha più paura; tra i campi può osservare il trascorrere della vita.

Nei campi la vita è regolata dalle stagioni, dal rinnovarsi della natura, ossia sono fatti che mantengono un loro corso che è estraneo, incondizionabile dalle crudeltà alle quali si abbandona l'uomo.

Nell'ultima pagina del racconto Pavese scrive alcune delle righe più umane che abbia mai scritto. Vale la pena di citarle per intero:

"Non so se Cate, Fonso, Dino e tutti gli altri torneranno, certe volte lo spero e mi fa paura. Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso. "Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccende altrui, non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei morti tenga noialtri inchiodati a vederli e a riempircene gli occhi.".7

A questo punto è chiaro che non aver partecipato alla Resistenza è per Pavese un senso di colpa, dal quale non riesce a staccarsi, ma anche l'aver visto tutta la crudeltà della morte lascia in lui un altro senso di colpa: sentirsi inutile di fronte a tutti quegli uomini uccisi, falciati dalla crudeltà della guerra.

Non tutti però sono fatti per la guerra fisica; c'è chi, dal canto suo - come Pavese - la sua guerra, come scrittore, l'ha combattuta in modo degno di considerazione. L'affinità tra i due romanzi, Il carcere e La casa in collina, ora la si può trovare con facilità.

Stefano e Corrado sono due personaggi che formano un uomo, Pavese, con tutte le sue caratteristiche: paura, amori contrastati e contrastanti, incomunicabilità col sistema: Stefano e l'autorità costituita, Corrado e la guerra (prima i fascisti, poi i tedeschi), incomunicabilità con l'ambiente: Stefano e Brancaleone calabro, Corrado e la Torino invasa dalla guerra.

Poi i personaggi femminili: Elena ed Elvira hanno lo stesso problema, cioè non riescono a farsi amare dal protagonista; Cate e Concia sono le donne che, rispettivamente Corrado e Stefano vorrebbero avere, la realtà fantastica.

Comunque, l'importanza di questo libro sta nel fatto che Pavese non si limita a far muovere i suoi personaggi nello sfondo di uno scenario che è quello dell'Italia durante il fascismo e la Resistenza, ma è riuscito a costruire delle relazioni simboliche. Infatti ogni personaggio è un simbolo, è andare oltre la realtà, è costruire una realtà propria sul fascismo e sulla Resistenza.

Ma ora, dobbiamo fare un passo all'indietro; abbiamo infatti saltato dieci anni nella storia pavesiana.

Tornando al '39, ritroviamo Pavese che scrive Paesi tuoi.


PAESI TUOI

Il periodo storico è molto importante, siamo alle soglie della seconda guerra mondiale.

Paesi tuoi è importante a sua volta, in quanto rompe con la cultura dell'epoca in cui la retorica fascista primeggiava.

Insomma, è come una provocazione, perché sconvolge tutti gli schemi e tutte le idee che allora si facevano della letteratura.

La trama è molto dura e violenta. Si riscontra un'altra volta l'impronta di Ciau Masino, in quanto il personaggio-narratore della vicenda, Berto, è un meccanico finito in prigione per aver investito ed ucciso - come era successo a Masin - un ciclista.

Ancora si ritrova il mito: in questo racconto la trebbiatura ha un suo significato mitico, anche perché non a caso, poco prima del rito della trebbiatura, muore, o meglio viene uccisa, Gisella, sorella di Talino, dallo stesso fratello.

Questo rappresenta il classico atto sacrificale che viene consumato prima del rito religioso.

Il paesaggio non viene descritto come in precedenza, ma con una serie di metafore.
Ad esempio, le famose colline langhigiane, che ritroviamo in quasi tutti i racconti di Pavese, vengono soprannominate mammelle ed acquistano un significato simbolico dal punto di vista sessuale.

Un altro esempio: la terra viene associata alla figura del corpo femminile per sottolineare ancora di più il simbolo della fertilità naturale ed umana.

In pratica, il paesaggio in Paesi tuoi non ha il comune ruolo di sfondo e di arricchimento della vicenda; il paesaggio è - il paesaggio che Pavese inventa - un paesaggio funzionale; quasi un personaggio che ha un suo peso nell'ambito della vicenda.

Talino, che è il secondo personaggio - Berto è il primo, in quanto narratore, ma ha la stessa importanza di Talino - era in carcere perché aveva bruciato una piccola cascina nelle Langhe.

Qui sta la base della violenza presente nel racconto; è da essa che si scatenerà una serie di rancori e desideri di vendetta.

Ma non è che l'inizio delle tematiche violente del racconto.

Berto viene invitato da Talino al suo paese e, dopo vari rifiuti, accetta. Al paese viene a conoscenza del fatto che Talino aveva sedotto la sorella Gisella, che verrà poi uccisa dal fratello stesso a causa di un banale litigio.

Incesto, vendetta, morte: ecco la base del racconto.
Ci troviamo comunque ancora di fronte ad un ambito dialettale, perché Berto, che è un cittadino, si trova a contatto
col parlato contadino pesantemente dialettale; si trova a dover parlare due lingue.
Berto, personaggio che fa da tramite fra i due mondi, non è altro che la proiezione di Pavese scrittore che imprime la vicenda di carattere simbolico che lo fa emergere dall'uso metaforico del linguaggio. Ovvero, anche il linguaggio di Paesi tuoi è a due piani e riproduce questa duplice vicenda: quella della famiglia di Talino e quella del simbolo.

L'importanza di Paesi tuoi, dunque, va vista non tanto per quelle caratteristiche, pur importanti, che la critica vi ha trovato al suo apparire, ma per questa vena simbolica che, attraverso una dichiarata violenza, non fa altro che riproporre la violenza della storia dell'uomo, il fato, il destino a cui nessuno può sottrarsi.

In sostanza, Paesi tuoi, è la proiezione della dimensione tragica della vita.

(fine seconda parte)
Tratto da: http://www.agonet.it/cafe/dada/max

Note al testo
1 C:PAVESE, Racconti, Torino, ed. Einaudi, pagg. 24-25
2, 3 e 4 PAUTASSO, Dispense di storia della letteratura italiana, Milano, Istituto universitario di lingue moderne.
5 C.PAVESE, Prima che il gallo canti, Il carcere, Torino 1959, ed. Einaudi, pag. 9
6 C.PAVESE, op. cit., pag. 16
7 C.PAVESE, Prima che il gallo canti, La casa in collina, Torino 1959, ed. Einaudi, Pag. 297