ANTON CECHOV

 

"Prendi qualcosa dalla vita reale, d' ogni giorno, senza trama e senza finale". Così, nel giugno del 1887, Anton Cechov scriveva in una lettera a suo fratello Aleksandr e proprio in queste sue parole sono racchiusi il significato e l' originalità della sua arte.


Nato nel 1860 a Taganrog in una famiglia modesta ma molto unita, Anton Pavlovic Cechov, dopo aver terminato il ginnasio nella sua città natale, raggiunse il resto della famiglia a Mosca dove si iscrisse alla facoltà di medicina, in cui si laureò nel 1884. Tuttavia, non si dedicò mai alla professione medica, ma decise di guadagnarsi da vivere scrivendo. Esordì pubblicando una serie di raccolte di racconti comici che gli decretarono un discreto successo e gli permisero di ottenere un lavoro presso uno dei più importanti quotidiani del tempo, " Novoe vremja", diretto dal romanziere e critico letterario Suvorin, con cui Cechov strinse subito una profonda amicizia.
A questo periodo appartiene, inoltre, uno straordinario libretto dal titolo " L' isola di Sachalin ", che Cechov scrisse a testimonianza delle terribili e disumane condizioni in cui vivevano i galeotti in Siberia, un testo di grande intensità ed acutezza, scritto con oggettività e compartecipazione al tempo stesso.


Ma la grandezza di Cechov è soprattutto legata al suo teatro. Dopo aver scritto Ivanov, la sua prima opera teatrale rappresentata a Mosca nel 1887, Cechov decise di proseguire per questa strada scrivendo delle commedie leggere di un unico atto che ebbero non solo un certo riscontro di pubblico, ma contribuirono a diffondere il suo nome negli ambienti letterari russi del tempo.
Tuttavia, nel 1895, decise di abbandonare la sua vena comica ed elaborò il suo primo dramma serio, "Il gabbiano", messo in scena per la prima volta al Teatro di Stato di San Pietroburgo. L' aneddoto legato a questa rappresentazione è davvero poco felice. L' opera, mal compresa e mal recitata dagli attori, si rivelò un fallimento e Cechov, in preda alla delusione, fuggì dal teatro dopo il secondo atto, rifugiandosi a Melichovo, una località a circa settanta chilometri da Mosca dove aveva acquistato un pezzo di terra e una casa per sé e per la sua famiglia.
Nel frattempo, però, il ricco mercante moscovita Stanislavskj ed il drammaturgo Demchenko avevano fondato a Mosca il Teatro dell' Arte e riuscirono ad ottenere "Il gabbiano" per una delle loro rappresentazioni. Grazie anche all' impegno della compagnia, l' opera fu finalmente un successo e spinse Cechov a continuare a scrivere per il teatro e a produrre, così, gli altri suoi tre grandi capolavori: "Zio Vania " del 1900, "Le tre sorelle " del 1901 e "Il giardino dei ciliegi" del 1904. Il sentimento della vita che traspare dai suoi personaggi, dai loro gesti, dalle loro parole, dai loro sguardi è tutto ciò che contribuisce a dare forza ed intensità al teatro cechoviano. I suoi drammi non sono drammatici ( dalla parola greca "drama" cioè azione ), ma statici; non vi è in essi lo sviluppo lineare di una trama nel senso tradizionale e non vi è una conclusione vera e propria. Spesso l' opera termina lasciando nello spettatore un senso di vuoto, di sospensione, di attesa, quasi di malinconica tristezza, una sensazione di insoddisfazione inconsolabile che è proprio quel sentimento della vita e sulla vita che aveva Anton Cechov. Perché anche i suoi personaggi parlano come parlerebbe lui, dicono ciò che direbbe lui in una disconnessa coralità di voci che sembrano quasi non ascoltarsi e non comprendersi tra loro. In questo Cechov fu anche un grande innovatore ed uno stupefacente precursore del teatro contemporaneo. Pensiamo, per esempio, al teatro dell'Assurdo di Beckett e Ionesco, al dramma dell' incomunicabilità tra gli uomini, al senso di vuoto che nasce nei loro personaggi dalla consapevolezza della loro impotenza di fronte alla futilità e all' inutilità dell' esistenza umana. Ma mentre in loro anche il linguaggio ha perso ormai ogni significato e valore comunicativo, in Cechov conserva ancora tutta la sua carica espressiva ed emotiva. Personaggi come Nina in "Il gabbaino", per esempio, oppure Sonia di "Zio Vania" riescono a penetrarci dentro, a trasmetterci il loro pathos, la loro disperazione entrandoci nell' anima, forse senza più abbandonarci. Insomma, quello di Cechov è un teatro non solo da guardare, ma soprattutto da sentire, un teatro fortemente introspettivo in cui i personaggi mettono a nudo il proprio mondo interiore lasciandosi esplorare dal di dentro.


Ma Cechov fu anche un brillante scrittore di racconti tra cui spiccano soprattutto quelli scritti a partire dal 1890, quando l' autore cominciò ad acquisire uno stile più personale e maturo. Tra questi "La steppa","Il duello", "La stanza numero 6", "Il monaco nero", " La signora con il cagnolino", "Nel burrone", "La mia vita" eccellono sicuramente per unità architettonica, costruzione di atmosfera ed equilibrio nei dettegli. In genere i suoi racconti sono condotti dal punto di vista di un personaggio centrale che dà coesione al racconto e lo rende un tutto unico, organico e compatto, difficilmente scindibile in episodi o momenti, proprio come una lirica.
Malato ai polmoni, Anton Cechov fu costretto a trascorrere più di metà della sua vita tra la costa meridionale della Crimea ed alcune località climatiche della Francia e della Germania con la speranza di curare il suo male. Purtroppo, nell' estate del 1904, a Badenwillen, una cittadina della Foresta Nera in cui andavano generalmente a curarsi proprio i malati di tisi, Anton Cechov si spense all' età di soli quarantaquattro anni sotto lo sguardo della moglie, l' attrice Olga Knipper, con cui si era legato in matrimonio tre anni prima.
Io vorrei ricordarlo non solo, come ho fatto, per la sua straordinaria produzione letteraria, ma soprattutto per quella sua grande tensione all' espressione onesta ed incondizionata della verità. In un paese e in un tempo in cui non c' era libertà di stampa e di coscienza, Cechov ha saputo dipingere la vita così com' era facendo proprio della letteratura uno strumento fondamentale di rivendicazione di uno dei beni più preziosi dell' umanità: la libertà.

Marvi