Nel 1262 si ha notizia della costituzione in Bovegno di una confraternita intitolata a San Glisente (in zona esisteva pure altra chiesetta a lui dedicata), mentre da una pergamena riguardante lo stesso paese triumplino, si evince che il 22 luglio 1299 le comunità di Berzo e di Bovegno provvedevano a nominare i propri rappresentanti (in numero di quattro per vicinia) incaricati di transare un arbitrato per definire i confini civici nei pascoli e nei boschi di "Valle Brixiana, Stabolo fiorito" e altre località circa i quali verteva dall'anno precedente una dannosa questione. I prescelti avrebbero dovuto radunarsi -portando con loro tutte le necessarie "rationes et cartas et sententias"- "in ecclesia Sancti Glisenti" il primo agosto in presenza di tempo sereno, altrimenti l'incontro si sarebbe rinviato alla domenica successiva. Citazioni del sacello si leggono nella visita condotta l'8 maggio 1459 da don Benvenuto Vanzio, delegato del vescovo di Brescia Bartolomeo Malipiero, in occasione della quale il rettore di Berzo, il presbitero Raimondo di Ossimo, rendeva noto che la chiesa rizzata "in summitate montis", priva di qualsiasi entrata, si trovava ormai "discooperta et ruinosa"; alla stessa si registrava comunque un considerevole concorso di fedeli in coincidenza della festa della Natività di Maria Vergine (l'8 settembre). Il sacerdote aggiungeva poi piuttosto sibillino -e con la prudenza di chi preferisce evitare di schierarsi- che "aliqui dicunt quod est ibi corpus sancti Glisenti, tamen ipse nescit si sit vel non". Semplicemente menzionata negli atti pastorali del vescovo Domenico Bollani il 9 settembre 1567 (che rilevava come fosse curata dalla vicinia ed officiata nel giorno della ricorrenza del Santo) e di Cristoforo Pilati nel settembre 1573, trovò un meticoloso ispettore nell'incaricato di cufia don Giorgio Celeri che il 28 agosto 1578 vi fece sopraluogo e la descrisse con l'usuale sua recisione: l'oratorio, della lunghezza di 15 braccia, non risultava consacrato; era munito di porta maggiore e di altra apertura laterale più modesta, sul fianco sinistro; il coro si mostrava involtato e dipinto ad affresco; il pavimento in terra battuta necessitava di impellente riattamento; l'altare era un po' troppo piccolo. Il Celeri appuntava come non vi si celebrasse già da tre anni per decisione scoccata dall'ordinario diocesano, essendosi praticate nel recente passato esuberanti veglie contrarie alla pubblica moralità. Nel 1580 Carlo Borromeo confermava il rigido divieto al culto avendo appurato che nel corso della festa in discussione i "fedeli" erano soliti abbandonarsi gioiosamente a sfrenati balli lascivi commettendo -tra un appassionato volteggio ed una stretta audace- piccanti ed innominabili turpitudini; ordinava inoltre di convertire il legato a suo tempo disposto dal defunto notaio Tommaso Coletti a favore di San Glisente quando non impiegato, entro sei mesi, a beneficio del medesimo oratorio- negli urgenti bisogni dell'abborracciata parrocchiale.Nel 1581, stando alla notizia che ne dà il cappuccino Obizio Griotensio, "il generale delli eremiti della diocese di Brescia detto l'Agricano" aveva introdotto alcune migliorie edilizie al diroccato santuario. Questo "romito messer Agricano, homo invero sazente in opere et sermone", lo si ritrova nel mese di giugno 1586 stabilito presso l'oratorio delle Sante Liberata e Faustina di Capo di Ponte, impegnato nello sforzo di sollecitare presso i villici del circondario la prestazione di "di vino, miglio, lana, calcin gname, ferro, opere, ve fieno et altre cose" -con lo "appresso questa gente" paragonabile a quello che "hebbe Amphion à Thebe"- al fine di poter concludere felicemente l'iniziato ampliamento di quel sito anacoretico.