Tecnicizzazione, violenza e deperimento dell’esperienza

 

Non bussare. La tecnicizzazione rende le mosse brutali e precise, e cosi gli uomini. Elimina dai gesti ogni esitazione, ogni prudenza, ogni garbo. Li sottopone alle esigenze spietate, vorrei dire astoriche delle cose. Così si disimpara a chiudere piano, con cautela e pur saldamente una porta. Quelle delle auto e dei frigidaires vanno sbattute con forza, altre hanno la tendenza a scattare da sole e inducono chi entra alla villania di non guardare dietro di se, di non custodire l’interno che l’accoglie. Non si fa giustizia al nuovo tipo umano senza la coscienza di ciò che subisce continuamente, sin nelle fibre più riposte, dalle cose del mondo circostante. Che cosa significa per il soggetto che le finestre non hanno più battenti da aprire, ma lastre di vetro da far scorrere con violenza, che i pomi girevoli hanno preso il posto delle molli maniglie, che non ci sono più vestiboli, soglie verso la strada, mura intorno al giardino? Quale chauffeur non sarebbe indotto, dalla forza stessa del suo motore, a filare a rischio e pericolo delle formiche della strada, passanti, bambini e ciclisti? Nei movimenti che le macchine esigono da coloro che le adoperano c’è già tutta la violenza, la brutalità, la continuità a scatti dei misfatti fascisti. Tra le cause del deperimento dell’esperienza c’è, non ultimo, il fatto che le cose, sottoposte alla legge della loro pura funzionalità, assumono una forma che riduce il contatto con esse alla pura manipolazione senza tollerare quel surplus - sia in libertà del contegno che in indipendenza della cosa – che sopravvive come nocciolo dell’esperienza perchè non è consumato dall’istante dell’azione.

 

ADORNO, Minima moralia, Torino 1954, pagg. 29-30