GABRIELE AGOSTI

Zancan1.jpg (86987 byte)Arte di luce quella della fotografia, si sa. Un'arte che realizza il vecchio sogno dell’uomo di imprimere per sempre uno scorcio, un paesaggio, un viso che nella transitorietà e nella rapidità delle vicende umane si cancellano nel tempo in cui si formano. Ma questo è forse solo il primo dei gradini che la fotografia consente di salire, e Gabriele ne ha saliti ormai parecchi. Decine di migliaia di fotogrammi segnano un percorso quasi ventennale di prove, esperimenti che sarà partito dal paesaggio (e non manca un significativo archivio di documentazione storica), dal ritratto, ma che ha trovato una sua dimensione e un suo agio soprattutto nella macro, la fotografia fatta da vicino, quella che ingrandisce a dismisura, che ingigantisce il dettaglio. E già si dispiegano possibilità nuove dell’obiettivo che sa vedere anche di più della pupilla: più lontano col teleobiettivo, con un raggio più ampio se usiamo il grandangolo, la tecnica che forse Gabriele preferisce, in un gioco che diventa sfida, nel rifiuto quasi di tutto ciò che non sia pellicola e apparecchio fotografico (no filtri, no grafica al computer!). Ecco allora che la macchina, forzata nelle sue possibilità, consente di scoprire particolari che sfuggono all’occhio: la tessitura di una scopa di saggina alterata nei colori, il mondo lillipuziano dei bottoni e di mille Zancan.jpg (179484 byte)altri dettagli. E poi i riflessi sull’acqua, le tessiture dei tetti e dei muri che creano forti effetti di straniamento. Ma ancora più avanti c’è la ricerca di geometrie, di asimmetrie che deformino l’ortogonalità dell’alto-basso: tetti sghembi sullo sfondo di cieli infiniti, teorie improbabili di finestre. E soprattutto l’attenzione ai particolari, estrapolati da un contesto, colti nella loro assurdità metafisica, elementi di disturbo talora di un paesaggio condannato altrimenti ad una desolante banalità, espressione straordinaria di una alienazione che è dei nostri tempi: ecco che una parete coperta di vite americana può diventare un prato su cui a sorpresa pare aprirsi una finestra, autentico trompe-l’oeil che sorprende e pone interrogativi. Prospettive impossibili, come quella che trasforma le nervature di una volta gotica in un enorme e inquietante millepiedi. E infine i colori, spinti fino alla loro saturazione da pellicole sensibilissime, in contrasti e stridori che riescono a sottolineare sensazioni nuove e a salvare le cose dalla confusione dell’indistinto. E per concludere la via più recente della fotografia nella fotografia, quasi un'arte matura che finisce per giocare in qualche modo con se stessa.