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Gabriella Sartori in Avvenire, 29-10-2002

Gianmario Villalta sul Gazzettino del 19 novembre 2002

Aluisi Tosolini sul sito di Pavonerisorse.it

 

Giovani, un diario in comune fra zainetti ed e-mail (torna su)

Dal Friuli l'esperimento dei "post@ccioni": dialoghi in forma elettronica per esplorare con rispetto il pianeta ragazzi DA PORDENONE GABRIELLA SARTORI

Sono i "post@ccioni": così decidono di auto-definirsi una decina di studenti pordenonesi di scuole diverse (classico, scientifico, tecnico industriale) che, pur non conoscendosi inizialmente fra loro, accettano di partecipare ad una "conversazione" generale via e-mail, proposta e condotta per tutto l'anno scolastico 2000-2001 dal loro insegnante di religione, il professor Giorgio Zanin, l'unico che li conosca tutti, cui si affianca il professore di greco, Paolo Venti. Il tutto, attenendosi a temi e a regole precise ma liberamente accettate, onde evitare "sbrodolamenti e lamentele" capaci di rovinare tutto. Ne nasce La post@ sul banco (pubblicato da Campanotto nella collana "Rifili"), uno straordinario "diario collettivo di scuola" che spalanca le porte sull'"interno" dei nostri ragazzi quotidiani : quelli di cui gli "esperti" e i mass media (che di loro si interessano soltanto quando la cronaca è nera) non si occupano mai.

Genialmente collocati dentro a questa classe "virtuale", Sara , Luca e Sarabeth, Paolo, Paoletto e Annina, e Lucia, Matteo e Letizia vi portano dentro tutto il loro mondo e quello delle loro classi di provenienza, quelle "reali". E lo fanno con la freschezza dell'età, ma anche con la libertà e la profondità di idee e sentimenti indotti dalla regia sapiente di due insegnanti innamorati del loro lavoro. Nonché dalla natura stessa del mezzo tecnologico non a caso prescelto, il pc : ormai, nelle nostre convulse giornate, è davanti al suo schermo bianco, alla sua inanimata tastiera che si rifugiano i rari momenti di silenzio e di solitudine, senza dei quali non si riesce né a guardare senza filtri dentro a se stessi né a "vedere" il mondo e gli altri. Con il fantasioso linguaggio giovanil-telematico che è ormai un "caso" per gli studiosi, i "post@ccioni" lo fanno alla grande: partendo da temi apparentemente banali (quei "non luoghi" della scuola che sono la corriera o il treno con cui si viaggia tra casa e scuola; lo zaino: chi direbbe che l'avventura di conoscere se stessi può cominciare col rovesciare sul letto il contenuto del proprio mitico "invicta"?), i nostri "parlano", discutono e approfondiscono, si arrabbiano e ridono e si conoscono. Nascono idee e storie, avventure e amicizie. E così, senza volerlo, essi danno voce a milioni di loro coetanei e colleghi seppelliti nell'oblio in tutte le scuole della penisola. Che, se non fossero popolate da studenti e docenti come questi, sarebbero già crollate da un pezzo. Ad un certo punto, il "diario", pur restando saldamente radicato nella cronaca, diventa un vero e proprio romanzo in cui tutti sono insieme autori e personaggi. Nessuna meraviglia che, ad un tratto, ci si imbatta nel più stupefacente colpo di scena, capace di dare una decisa sterzata al racconto. Che prosegue con un'altra "faccia" e con un di più di "verità" fino alla fine.

Questa Post@ dovrebbe esser obbligatoriamente letta da chiunque abbia a che fare con la scuola e con i giovani, primi fra tutti, secondo il pedagogista professor Nanni che firma la post-fazione, tutti i ministri della Pubblica Istruzione presenti, passati e futuri. Si tratta infatti di un libro vero, attualissimo, che evita i luoghi comuni, senza mai cadere nelle trappole del patetico o negli imbuti della retorica. Non ha paura di essere intelligente né si vergogna di traboccare di vitalità. Al famoso editore che, pur trovandolo molto bello, non l'ha pubblicato perché gli autori si sono a loro volta rifiutati di"aggiungerci un po' di pepe (sesso, droga, eccetera)",come pretendeva, auguriamo di mordersi le dita per il disappunto, visto il successo che La post@ sta incontrando in libreria. A tutti gli altri lettori, auguriamo di leggerselo tutto d'un fiato, divertendosi. E di rileggerlo a lungo, con calma: pensando. In nessuno dei due casi ci si annoia.

Da Avvenire, martedì 29 ottobre

SCUOLA La posta della vita (torna su)

Diario collettivo da due insegnanti all'avanguardia, Giorgio Zanin e Paolo Venti

di Gian Mario Villalta

Un libro che nasce da una buona idea, questo di Giorgio Zanin e Paolo Venti (La post@ sul banco, Campanotto editore 2002, Euro 15,50, illustrazioni di Renata Gallio): servirsi di uno strumento accattivante per gettare uno sguardo su un mondo, quello degli adolescenti e dei post-adolescenti, sempre più difficile da decifrare.

Una strizzata d'occhio a Internet e a un sistema di comunicazione (ancora per poco, si dice) extrascolastico, per attivare riflessioni e reazioni più o meno spontanee sulla quotidianità, non, solo scolastica,, dei ragazzi delle scuole superiori. Il gioco funziona cosi: un insegnante (Zanin) attiva una prima serie di scambi di messaggi a tema, rivolgendosi a un numero ristretto di studenti, con una vera e propria lettera iniziale di convocazione, che in seguito coinvolgerà anche altri ragazzi della scuola. L'altro insegnante (Venti) mette in atto uno stratagemma letterario, che gli permette di attivare dall'interno i dialoghi, modificando il proprio ruolo soltanto in un secondo momento, quando finalmente gli scambi di messaggi sono già vivaci, anzi, quando si è passati agli incontri personali. Un po' diario scolastico, un po' confessionale del Grande Fratello, questo susseguirsi di interventi nello spazio della rete permetterebbe di dire e proporre moltissimo, lasciandoci gettare uno sguardo sul linguaggio, sulle aspirazioni, sulle paure di questi ragazzi apparentemente mimetizzati nel mondo dei consumi dei genitori e dei fratelli maggiori.

L'unico limite, del resto inevitabile, è la presenza del professore-referente, che non può non limitare la spontaneità dell'espressione da parte dei ragazzi. Limite necessario, e forse aggravato da un di più e di troppo di paternalismo da parte di Zanin nel dare indirizzo ai discorsi. A meno che non sia stato tutto concordato fina dall'inizio, un gioco delle parti del tipo poliziotto buono poliziotto cattivo, nel quale toccava a Venti il ruolo del "discolo"' e del provocatore. A naso non credo che sia così, ma così in parte funziona, perché in effetti i due profi si giocano i ruoli abbastanza serenamente all'interno del libro.

Diario collettivo di scuola, dice il sottotitolo, e la scuola in effetti è sempre presente nei temi proposti. Ma giocoforza Annina, Luci, Sarabeth, Leti, Luca, Cinethik, Paoletto, Paviel e Sarà - questi i nickname postali dei ragazzi partecipanti -fanno entrare a scuola anche il loro mondo di tutti i giorni, con le amicizie, i luoghi, le famiglie. Non viene meno però l'ambizione pedagogica, nel tentativo di promuovere un sapere che passa attraverso l'interesse e l'esperienza personale, un sapere che si costruisce attraverso il dialogo, a partire da domande concrete, radicate nelle ore della giornata. La centralità della scuola e l'intento, da parte, degli insegnanti, di non tradire lo sfondo scolastico, vanno fortemente sottolineati: sarebbe stato più facile (e con risultati più "divertenti") lasciare che i ragazzi andassero a ruota libera? Sarebbe stata la solita furberia editoriale, con tutta probabilità più accattivante, ma sicuramente di minor valore. Abbiamo invece di fronte due insegnanti che ci credono,, senza per questo essere degli illusi. Sono attivi, capaci, vogliono quindi capire, esplorare nuovi territori. Come a dire: la scuola non cambia niente, allora cambiamo noi qualcosa". Perché è vero, purtroppo, la scuola non cambia, almeno in confronto alle necessità e alle aspettative: chi si ricorda cosa era stato promesso con la famosa autonomia scolastica? Che cosa si erano prefigurati alcuni insegnanti? Oh, certo!, una parte consistente dei mancati cambiamenti è da imputare anche all'immobilismo interno, al fatto che nessun insegnante vuole modificare nulla, perché cambiare è crearsi dei problemi, affrontare forse dei fallimenti, ricominciare da dove si credeva di essere già arrivati. Ma a costo zero, anzi, tagliando sulle dotazioni scolastiche, è difficile modificare e migliorare insieme.

Resta, come sempre, la buona volontà degli insegnanti. Ma non bisogna neppure applaudire il gratuito, questo si sa. C'è anzi bisogno che l'insegnante si metta in gioco, creda lui per primo in quello che fa, provi piacere a farlo e ci trovi un senso. Questo dev'esserci, anche a costo di inventarsi qualcosa per raggiungere lo scopo. Può sembrare che la scuola abbia perduto la sua centralità nella crescita delle ragazze e dei ragazzi, e un po' alla volta anche nella loro istruzione. Se fosse davvero così, sarebbe già un buon punto di partenza su cui ragionare. Da una lettura attenta di questo libro di Giorgio Zanin e Paolo Venti si evince qualcosa di assolutamente diverso, ma, in realtà ancora più allarmante.

La scuola italiana è ancora pienamente al centro della crescita e dell'istruzione delle ragazze e dei ragazzi, ma è un centro vuoto, che non sa vitalizzare, non sa proporre attenzione. Tutta la vita dei giovani partecipanti a questo diario scolastico ruota intorno alla scuola (ai voti soprattutto, al numero di pagine da studiare), ma lo fa in mancanza di qualsiasi alternativa, senza porre in discussione alcuna scelta. Questi ragazzi non sono proprio simpatici: si presentano quasi sempre appiattiti in una melassa di pochi desideri piccoli e di continui lamenti: Ma di fronte all'accettazione delle banalità come valori sono ancora pronti a scartare via, sono ancora capaci di dire il famoso "Preferirei di no", in nome di un'affettività pulita, di una testardaggine non ancora domata. Lode quindi a Zanin e a Venti che riescono a stimolare il dialogo e la confessione, a scatenare umori e rabbie (forse anche gli umori, come scrisse Cioran, sono i nostri pensieri in embrione).

E però, mentre ci divertiamo a leggere il libro, interessiamoci anche alla realtà di cui ci sta parlando.

Gazzettino di Pordenone di Martedì 19 novembre 2002

La post@ sul banco (torna su)

Giorgio Zanin e Paolo Venti sono due insegnanti che lavorano nel nord-est, in provincia di Pordenone. Recentemente hanno dato alle stampe un volume di grandissimo interesse e molto originale. Non si tratta tanto di un testo sulla scuola (di questi ce ne sono tantissimi e non vi sarebbe nulla di originale). Al contrario potremmo dire che si tratta di un testo DALLA scuola, una lettera (visto anche il titolo) spedita da quello strano mondo che è la scuola.
Il volume nasce infatti da una interessante intuizione. Zanin e Venti hanno pensato di invitare alcuni studenti delle scuole superiori della provincia a partecipare alla scrittura di un diario collettivo via posta elettronica su alcuni temi proposti a scansione settimanale. Ne è uscito un diario collettivo particolarmente stimolante. E ciò per almeno tre motivi:

1) a parlare sono i ragazzi, quegli essere normalmente annoiati che stancamente si affollano nelle scuole superiori. L’immagine resa dal diario conferma certamente il rischio noia ma evidenzia anche una carica di sottile ironia, una vivacità ed una ricerca di relazione umana assolutamente centrale. Da più parti oggi ci si chiede se "la scuola sia il luogo buono dove far crescere i nostri figli". Alcuni sostengono che no (personalmente inizio a propendere per questa ipotesi…ma questa è un’altra faccenda): leggendo il diario collettivo degli studenti di Pordenone e dintorni si può intuire il punto di vista dei giovani che a scuola ci vivono. Punto di vista che si potrebbe riassumere con la consapevolezza che forse davvero questa scuola ha ormai esaurito il suo compito e quindi potrebbe benissimo andarsene in pensione. Ma anche, che un’altra scuola non solo è possibile ma è necessaria. Deve però essere altra.

2) I temi affrontati non sono frivoli (che so, storie di sesso, droga e altro) ma neppure altisonanti. Insomma: al centro del diario c’è la vita quotidiana: la strada per arrivare a scuola, la descrizione del proprio compagno di banco, la relazione con i bidelli, il ricevimento genitori, le vacanze, i voti, l’amore, la musica, la tecnologia, le gite, i corridoi, i laboratori. Ne esce uno spaccato generazionale che rischia di lasciare di stucco: chi non avesse esperienza di scuola superiore potrebbe (legittimamente) sostenere che in quei luoghi avvengano come due vite parallele che non comunicano fra di loro: la vita della scuola istituzione e la vita dei giovani. Quale delle due è finzione? Forse nessuna. Il dato interessante però è un altro: mentre gli studenti vivono spesso tutte e due le vite, quasi fossero dei postmoderni uno nessuno centomila, gli insegnanti raramente riescono ad entrare nell’universo della vita parallela che gli studenti costruiscono a scuola. Per questo il volume di Zanin-Venti può essere paragonato ad una esplorazione di un continente sconosciuto ai più. Esplorazione estremamente rispettosa del territorio indagato visto che sono gli stessi abitanti del luogo a "dirsi".

3) La tecnologia come luogo di emersione del soggetto e momento di costruzione di storia collettiva. Spesso a scuola ci si affanna attorno al nodo computer e tecnologie. Il diario collettivo degli studenti di Pordenone evidenzia come spesso i docenti si facciano delle grandi "pare mentali" (per usare un gergo giovanilista). In realtà gli studenti hanno un approccio molto più creativo all’uso delle tecnologie. L’intuizione dei docenti è stata, in questo caso, quella di applicare ad un momento antichissimo e perenne della vita umana (il racconto di sé) le nuove modalità di relazione, cooperative e collaborative, offerte dalle TIC.

A questo punto, oltre a fornire i riferimenti del testo (Giorgio Zanin – Paolo Venti, La post@ sul banco, Pasian di Prato – UD, Campanotto editore, 2002), non resta altro che giustificare una simile presenza nella rubrica interculturale di Pavonerisorse. I motivi mi paiono due, semplici semplici…

Il primo: visto che da ormai un decennio stiamo ragionando sulla riforma della scuola (con alterne fortune, direi) sarebbe forse giunto il momento di sapere anche che ne pensano i diretti interessati, gli studenti. Ma non solo per sapere che scuola vorrebbero ma anche per sapere se, quando diciamo la parola scuola, ci intendiamo. Oppure se parliamo di cose diverse.

Il secondo motivo, quello interculturale. Quando si sostiene che viviamo in una società multiculturale non lo diciamo solo perché siamo in presenza di una pluralità di culture provenienti dal mondo intero. Lo diciamo anche perché all’interno della stessa cultura dobbiamo iniziare a fare i conti con le differenze generazionali. Se mai esistesse una cultura italiana, di certo questa sarebbe molto (ma molto!!) diversa a seconda che ci si riferisca agli anziani, ai quarantenni, ai giovani, ai bambini. Gli studiosi narrano di incomunicabilità inter-generazionale oppure di mondi di vita organizzati orizzontalmente e con scarsi scambi verticali. Se così è (e io credo che sia proprio così) allora l’educazione interculturale ha molto a che fare con il volume di Zanin-Venti. E la posta sul banco è una cartolina che attende risposte ben più complesse rispetto a semplici giochi di ingegneria scolastica.

Recensione apparsa nel dic. 2002 sul sito
http://www.pavonerisorse.to.it/intercultura/

Aluisi Tosolini