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Pollock Dicono di lui Recensione (parziale) del film di Harris |
Da
un'intervista di William Wright per la
stazione radio di Sag Harbor (1951) Per me l'arte moderna
non è altro che l'espressione degli ideali dell'epoca in cui viviamo […]
Penso che nuove esigenze richiedano nuove tecniche. E gli artisti moderni
hanno trovato nuovi modi e nuovi mezzi per affermare le loro idee. Mi sembra
che un pittore moderno non possa esprimere la nostra epoca, l'aviazione,
l'atomica, la radio, nelle forme del Rinascimento o di un'altra cultura
passata. Ogni epoca ha la propria tecnica […]abbiamo mezzi meccanici per
rappresentare gli oggetti della natura: il film, la foto. L'artista moderno,
mi pare, lavora per esprimere un mondo interiore; in altri termini: esprime
l'energia, il movimento e altre forze interiori. […] Penso che non si
debba cercare [qualcosa nell'arte moderna], ma guardare passivamente -
cercare di ricevere quello che il quadro ha da offrire e non avere un
soggetto o una aspettativa preconcetta. […]Non utilizzo
il caso, perché nego il caso. Da
un'intervista di Howard Putzel, in "Arts and architecture", febbraio 1944 L'idea di una
pittura americana autonoma, che qui da noi era così diffusa negli anni '30,
mi pare assurda, come sarebbe assurda l'idea di creare una scienza matematica
o fisica puramente americana. In altre parole il problema non esiste; o, se
esiste, si è risolto da solo: un Americano è un Americano e la sua pittura
sarà naturalmente segnata da questo fatto, che lui lo voglia o no. Ma i
problemi fondamentali della pittura contemporanea sono indipendenti da ogni
nazionalità. Dichiarazione apparsa con il titolo La mia
pittura, in "Possibilities", New york, inverno 1947-48 […] Quando sono nel
mio quadro, non sono cosciente di quello che faccio. Solo dopo una specie di
"presa di coscienza" vedo ciò che ho fatto. Non ho paura di fare dei
cambiamenti, di distruggere l'immagine ecc. perché un quadro ha una vita
propria. Tento di lasciarla emergere. Solo quando perdo il contatto con il
quadro il risultato è caotico. Altrimenti c'è armonia totale, un rapporto
naturale di dare e avere e il quadro riesce. Commento
al film di Hans Namuth e Paul Falkenberg, 1950-51 […] Voglio esprimere
i miei sentimenti, non illustrarli. La tecnica è semplicemente un mezzo per
arrivarci. Dicono di lui […] ho visto
crescere i suoi quadri. Molti, molti di quelli più astratti, nascevano da
immagini più o meno riconoscibili: teste, parti del corpo, creature
fantastiche. Una volta ho chiesto a Jackson perché non smetteva di dipingere
dopo aver raggiunto una data immagine. Mi ha risposto: "Voglio velare
l'immagine. " Ecco cos'era la sua pittura. Credo che fosse
più sensibile al ritmo che a qualsiasi altro elemento espressivo. In effetti
non è sbagliato affermare che le sue opere maggiori sono attraversate da un
ritmo intenso e violento, condizionato solo da un innegabile rispetto per la
superficie piana del supporto: la sua è un'arte virile, lirica, misurata,
sebbene nasca da un istinto primitivo e originale, come una danza celtica.
Per me, il ritmo significava anche questo. […]Pollock era un
uomo essenzialmente passivo che a volte, e a un prezzo emotivo il cui solo
pensiero mi sgomenta, superava la passività con una attività convulsa, che
diventava metafisica quando si mescolava con la sua sensibilità pittorica.
Nessun artista può fare di più. Quelli che agiscono così sono eroi, e Pollock
è tra questi. Non è un eroe intimamente americano come Gary Cooper, ma un
eroe moderno e internazionale, come gli avvenimenti hanno dimostrato. Il che
è tanto più eroico, dato il luogo e l'epoca. Dal 1943 al 1947
- anno in cui lasciai l'America - mi dedicai a lui. Era fortunato perché sua
moglie, Lee Krasner, lei stessa pittrice, si prendeva molta cura di lui:
rinunciò anche a dipingere per un certo periodo perché Pollock aveva preteso
che si dedicasse interamente a lui. Quando perdetti Max [Ernst, con cui era stata sposata,
NdElisa], diventò lui il mio nuovo protetto. La mia relazione con Pollock
era unicamente quella mecenate-artista e Lee ci faceva da intermediaria.
Pollock aveva un carattere difficle, beveva troppo e poteva diventare molto
sgradevole, addirittura infernale. Ma Lee mi faceva notare, quando mi
lamentavo di lui, che aveva anche dei lati angelici, ed era vero. Per me era
come un animale in trappola, che non avrebbe mai dovuto lasciare il Wyoming
dove era nato. Una cosa che ho
imparato sull'arte di Pollock che, sono sicuro, qualsiasi studente d'arte sa
già, ma che per me è stata come una rivelazione, è che Jackson credeva
veramente e viveva secondo questo motto: 'Non uso il caso, perché nego il
caso'. Non si può neppure cominciare ad approssimare l'opera di Pollock a
meno che ciascun colpo di spatola, ciascun gocciolamento, ciascun getto,
ciascuna scossa, ciascun schizzo e ciascun spruzzo non abbiano un'intenzione
precisa. Recensione
del film Pollock diretto da Ed
Harris Il film in sè non
è male. Ma non sono sicuro che aumenti il numero di coloro che capiscono
Pollock o l'Espressionismo Astratto. Ciò che segue sono le impressioni di uno
storico dell'arte - che sospetto siano diverse da quelle che avrebbe un
critico cinematografico riguardo la medesima produzione. Sembra essersi
creata all'interno di Hollywood un'incapacità, davanti a personalità
artistiche, di evitare una certa quantità di clichè propri del Romanticismo
ottocentesco. Di solito questo si riassume nell'espressione micidiale di
"sindrome dell'orecchio tagliato". In mezzo a questi stereotipi
troviamo l'artista che "lotta" (parola ripetuta a oltranza nel film),
la meschinità dei cirtici e dei mercanti d'arte (le persone più spregevoli
che appaiono sullo schermo sono Peggy Guggenheim e Clement Greenberg), e la
normalità in mezzo a individui creativi affetti da alcolismo, disfunzioni
sessuali e autodistruzione (tutto recitato perfettamente). Poichè Pollock,
più della maggior parte dei suoi colleghi, si adatta a questi stereotipi, il
film di Harris parla di questo, e di poco altro.[…] Ed Harris ha
vinto la sua scommessa e ha avuto la possibilità che era stata negata a molti
altri: ha sceneggiato la vita di Pollock, ci ha fatto un film, e ha ottenuto
due nomination all'Oscar. Ma la "lente di rimpicciolimento" della
cinepresa è riuscita per lo più a registrare i clichè: lo spregevole
ubriacone, la pisciata nel caminetto, la vernice sul pavimento, il tavolo
rovesciato, la brutalità del mondo artistico, il matrimonio tumultuoso,
l'incidente d'auto… tutto ciò che il pubblico sa del mito universale di
Pollock è qui - quasi sempre col cast giusto, ben filmato, decentemente
recitato, e diretto in modo eccentrico. Ma cosa offre di più al pubblico -
che non sia un'impressione falsata della vita vera ottenuta con omissioni
arbitrarie, dell'arte con riproduzioni tremende, e della reputazione di
Pollock, quando lascia che lo spettatore se ne vada chiedendosi come mai
questo disastro di uomo sia reputato il più grande artista d'America? (NdR: ho perso la
fonte di questo articolo, appena la ritroverò aggiornerò questa pagina col
nome dell'autore) |
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