Oggi7 Magazine
LINGUAIO
Modi di dire dell’Italia d’oggi
Otello a Mazara del Vallo
Nell’Italia multiculturale d’oggi, il celebre
Moro di Venezia si trasferisce nell’area di Lampedusa
di Luigi Fontanella
Scrivo da Roma, la mia odiata/amata
città (beh, diciamo più amata che odiata) nella quale
oggi si mescolano gerghi e parlate varie, anche a causa della massiccia
immigrazione e urbanizzazione avvenuta in quest’ultimo decennio. Ho
puntato il dito proprio sul plurilinguismo espressivo della nostra
capitale perché intendo con il Linguaio odierno segnalare una
commedia (per la precisione una “tragica commedia”, come recita
l’opuscolo del programma), scritta e diretta da Francesco Randazzo,
intelligente animatore dell’Associazione Culturale degli Ostinati.
La commedia, che s’intitola “Otello. Il Nivuru di Mazzaria”, è
andata in scena, al Teatro dell’Orologio dal 28 al 30 dicembre e poi
dal 4 al 16 gennaio, ed è costruita con un magnifico impasto
linguistico in cui prevale il siciliano, ma arricchito di movenze
idiomatiche, tratte ora dall'oralità degli extracomunitari, ora
dal tardo Cinquecento (la commedia di Randazzo è infatti
liberamente ispirata a una novella di Giambattista Giraldi Cinzio,
autore e teorico del cosiddetto teatro “orroroso”, novella che
ispirò la nota tragedia scespiriana).
Ed eccone il breve riassunto – risultato di questo gradevole impasto, -
come viene presentato nel dépliant: “Un Nìvuru
'stracomunitario, 'ntegrato e assorbito intella società civili e
sdemocratica 'taliana, si piglia pir mogliera Disdemina, una fimmina di
Mazzaria del Valium: il turpe Iaco sodomita, un suo compare,
ambicuamente ‘nnamorato di lui, accosa essa di adulterio al marito suo
e combina di 'mmazzari l'adultera. Ci finisce a schifio di sanguine e
ammazzamenti. Non ostanti il confritto d'interessi del Nìvuru e
la sua 'mmunità politica, la Giustizzia alla fini, ma proppio
alla fini, forsi doppo della fini, attrionfa. Non c'è morali,
è inutili a circarla. Solamenti vi c'appresentamo li fatti como
ci accapitarono”.
Ho riportato questo stralcio dal dépliant proprio per dare
un’idea di questa ricca e spassosissima lingua teatral-dialettale con
cui è costruita questa commedia. In pratica, la novella del
Giraldi Cinzio viene trasposta ai nostri giorni fra Mazara del Vallo e
Lampedusa, dunque nel crocevia d’immigrazione dell’Africa alla Sicilia,
nel marasma di sbarchi clandestini, promiscuità, giochi
d’interesse, brutalità, razzismo, ignoranza e sfruttamento.
Una storia beffarda e spudorata con continui riferimenti
all’attualità italiana, in un clima esasperato, sboccato e
sfrontato, ma anche tremendamente significativo per le implicazioni al
nostro travagliato presente. Interpreti di questa “tragica commedia”
sono Dario Tacconelli (nella parte di Otello, il Nìvuru, giovane
e talentuoso attore romano e anche promettente scrittore: sto leggendo
proprio in questi giorni “Grafite” la sua opera prima assai
coinvolgente); Cristina Colonnetti (nella parte di una vivacissima e
deliziosa Disdemina); Rossana Veracierta (molto brava nella parte di
una sorniona Iemilia); e Giovanni Carta (nella parte di Iaco, un attore
multiforme, mostruosamente bravo e travolgente: è, in pratica,
il motore o l’asse portante dell’intera commedia).
L’economia dello spazio non mi permette qui di dilungarmi, ma voglio
lanciare un pubblico “appello”: vogliamo fare in modo di portare questa
compagnia e in particolare questa commedia nelle nostre
università? È davvero un’occasione da non perdere, sia
per la lingua (assolutamente ricca e coinvolgente, stavo per scrivere
“contagiosa”) con cui è stata scritta, sia per i numerosi motivi
socio-culturali italiani, estremamente attuali, ad essa sottesi.
INSCENA – n.2 2005
IL MORO DI VENEZIA PARLA SICILIANO
di Giorgio Taffon
Sulla scena agiscono quattro giovani attori molto bravi, ben preparati
dall’autore-regista Francesco Randazzo, e credibili nel parlare un
pastiche in versi che ha nel dialetto siciliano lo strato linguistico
di base. Il protagonista Otello (interpretato da Dario Tacconelli),
immigrato di colore che vende il pesce a “Mazzaria del Valium”, sia nel
dialogo che nella gestualità porta efficacemente il segno di una
civiltà diversa, i cui segni sono la fisicità e la
sessualità prorompenti, il desiderio di riscatto socioeconomico
(che porterà il personaggio a prostituirsi al potere), la
gelosia possessiva che lo spingerà immancabilmente ad ammazzare
l’amata. Tratti dalle fonti, e cioè la novella “orrorosa” del
Giraldi Cintio e la tragedia di Shakespeare, si accampano su una scena
che ci porta ai nostri giorni, invasa simbolicamente dal lezzo del
pesce, anche una Disdemina(Cristina Colonnetti) vivace nell’erotismo
come nel carattere; uno Iaco (Giovanni Carta) gay di provincia
sbrindellato, esibizionista e improbabile ideatore di un troppo
impegnativo progetto sanguinolento; una Iemilia (Rossana Veracierta)
casalinga ingenua e arrendevole. Otello, il “nivuru” di “ Mazzaria del
Valium”, conquista Disdemina e poi potere e sostanze, elimininando,
d’accordo con le autorità, nel mare di Pantelleria i clandestini
in arrivo, magari suoi connazionali; ma Iaco, innamorato del “nivuru”,
riuscirà a convincerlo del fatidico adulterio commesso da
Disdemina; i due faranno così fuori, in una vera mattanza, sia
quest’ultima che Iemilia; infine le sirene delle volanti sebrerebbero
annunciare il trionfo della “Giustizzia”. I personaggi, novelli
“scarrozzanti” testoriani trapiantati in Sicilia, o ultimi discendenti
dei comici dell’Arte, o personaggi “recitanti” pirandelliani, ribaltano
il sublime della tragedia di origine, ponendo un’ironica distanza tra
la loro performance e il taglio ovviamente tragico della vicenda,
portando lo spettatore a ridere “di traverso”; perché poi amori
e amorazzi, tresche e inganni, amplessi e ammazzamenti, tutto è
portato all’esasperazione, al paradosso, all’osceno,
all’espressionistico, calato nel contesto di una “s-democrazia”, dove
regna disperatamente la stolidità del potere. La trasposizione
realizzata da Randazzo rivitalizza davvero sapientemente la tradizione,
per offrire una cruda metafora dei nostri “orrorosi” anni; speriamo che
abbia lunga vita, in spazi scenici più accoglienti per dare
maggiore dinamicità alle azioni e alle voci.
ateatro
(94) 22/01/06
Otellooooooooo!
Otello il nivuru di Mazzaria di Francesco Randazzo
di Anna Maria
Monteverdi
OTELLO IL NIVURU DI MAZZARIA di
Francesco Randazzo
è il vincitore della XIV edizione del Premio Ugo Betti (Comune
di
Camerino) per la Drammaturgia. L'opera è stata scelta dopo
un'accurata
selezione che la giuria ha fatto sui 249 copioni pervenuti.
"Otello è un pescatore extracomunitario, un nero che si
è
perfettamente integrato a Mazara del Vallo, anzi "del Valium",
diventando un'autorità cittadina incaricata di occuparsi degli
emigrati
clandestini che sbarcano a Lampedusa, da lui in segreto cucinati e
inscatolati a puntino. La gelosia che scatena il tragicomico finale
questa volta non ha per pomo della discordia Cassio ma Emilia, la
moglie di Iago, accusata di rapporti omosessuali con Desdemona, mentre
è proprio Iago, travestito spesso da donna, a fare frequenti e
insistenti avances a Otello (motivo del resto già implicito in
Shakespeare).Tra gambe tagliate e teste mozze in un crescendo
volutamente inverosimile, il finale è in due tempi: nel primo,
Otello e
Iago la fanno franca, addossando i delitti ai soliti extracomunitari
(nonostante la testimonianza della testa mozzata ma parlante di
Desdemona); nel secondo finale, raccontato epicamente da Emilia, i due
delinquenti hanno quello che si meritano: Otello è ucciso in
carcere e
Iago viene fatto fuori dalla stessa Emilia che getta l'asciugacapelli
nella vasca da bagno".
Questa la sintesi dell'opera - permeata di "sicilitudine" e di
oscenità
- tratta dalla motivazione del premio al testo - già messo in
scena
dalla compagnia degli Ostinati - di Francesco Randazzo, giovane
drammaturgo siciliano particolarmente talentuoso, che ha già
saccheggiato vari altri premi nazionali; Otello è dunque un
extracomunitario immigrato in Italia che ora nella zona del porto di
Mazzara del “Valium” fa il pescivendolo, anzi, un vero commercio di
carni umane pescate: nella sua pescheria macella, tritura, e inscatola
corpi tirati su dal mare di poveracci come lui, e per tirare avanti
seduce pure con toni più che espliciti, la figlia di un mafioso.
Come non ricordare che sono anni che nel canale di
Sicilia - nella zona del 'mammellone' tra la Libia e la Sicilia -
finiscono nelle reti dei pescatori non solo pesci ma cadaveri e resti
di uomini e donne morti mentre tentavano di arrivare sulle coste
dell'isola..... Mazzara del Vallo è effettivamente il comune
italiano
che registra la maggior densità di immigrati residenti, in
particolare
tunisini e maghrebini; ha una delle più grandi comunità
islamiche in
Italia e la questione dei CPT e dei nuovi centri di identificazione
(“galere etniche”, le definisce il settimanale “Carta”) è ancora
calda
e mette in luce la debolezza della legge Bossi-Fini. Un'umanità
alla
deriva che nella geniale finzione drammaturgica in siciliano di
Randazzo genera addirittura una nuova economia, magari "sommersa" e un
bel po' di indotto!
Sfrontata, sboccata, kitsch, addirittura oscena: l'opera è
così, trama,
linguaggio e personaggi sono così, eccessivi nella loro
carnalità,
nella loro ignoranza, nella loro nefandezza, nella loro irriverenza. In
modo molto poco anglosassone le donne s'accapigliano per gli uomini,
gli uomini pensano solo a fottere persone dell'altro sesso o del loro,
nel magna magna generale, tra mafiosi, travestiti, fuorilegge e
poliziotti accomodanti, ne esce un ritratto non così lontano
dalla
realtà, tutto sommato, di un mondo che s'arrangia come
può, che sfrutta
i deboli, che si inebetisce di reality per non pensare alle tasse,
all'economia in crisi, al lavoro che non c'è. E' l'Italia
“sdemocratica” e del “confritto d’interesse” del nano milanese che
garantisce Internet e inglese per tutti, ancor più marcia e
ancor più
prigione della Danimarca, dove chissà se davvero prima o poi, la
giustizia “alla fini, ma proprio alla fini, forsi doppo della fini,
attrionfa” .