OTELLO
il Nìvuru di Mazzaria


Tragica commedia di Francesco Randazzo

Rassegna Stampa

L'UNITA'

IN SICILIA OTELLO DIVENTA AFRICANO, JAGO GAY
E LA TRAGEDIA UN BUON HORROR

COSÌ NELLA REINVENZIONE DELLA CELEBRE STORIA PER MANO DI FRANCESCO RANDAZZO

lunedì 03 gennaio 2005

di Aggeo Savioli

Otello è un africano approdato sulle coste siciliane, ai tempi nostri. Così nella reinvenzione della celebre storia per mano di Francesco Randazzo (testo e regia), con spregiudicato riferimento alla novella del Giraldi Cinzio, ispiratrice a sua volta della grande opera di Shakespeare. Uomo di mare, pescivendolo di mestiere, ma non alieno dall'uso delle armi, il Nivuru di Mazzaria («Il negro di Mazara») è stato arruolato da gente di potere, in odore di mafia, per sbarrare la strada all'immigrazione clandestina di tanti sventurati in cerca di fortuna o di scampo. Ha sposato, il nostro, una giovane di buona famiglia, Disdemina, casalinga inquieta stregata dal piccolo schermo, donde peraltro giungono a lei, donna del Sud, intemerate e reprimende dall'inequivocabile accento nordico. Insomma, non mancano qui riflessi evidenti dell'attualità italiana.

Ma la cosa si complica per il manifestarsi dell'insana passione che, verso Otello, nutre il conterraneo Iaco, indurito non solo nel nome rispetto al suo mellifluo modello: omosessuale dichiarato, costui, che ama indossare vesti (soprattutto sottovesti) femminili, in ogni possibile occasione. Iaco insinua pesanti sospetti in Otello circa il comportamento della moglie, chiamando in causa anche la propria consorte Iemilia, di Disdemina leale amica. La vicenda precipita verso accadimenti sanguinosi, del resto più narrati che visualizzati. Non per caso, tuttavia, quella che ci viene proposta è qualificata «tragica commedia» (ciò che, per inciso, può rammentare certe diciture tipiche del Teatro dell'Assurdo transalpino). Negli sviluppi conclusivi della trama, non troppo dissimili da quelli noti a chi di qualche precedente Otello abbia conoscenza, domina infatti un timbro di umorismo macabro, di «horror» avvolto nell'ironia e da essa riscattato. È dunque un riso amaro quello che affiora alle labbra di noi spettatori o che, piuttosto, ci resta rinserrato nella gola, diventando stimolo ad allarmate considerazioni sociali ed esistenziali.

Lo spettacolo, due ore abbondanti, breve intervallo incluso, è ben degno di nota, in questo scorcio di stagione povero di novità. D'insolito rilievo l'apporto degli attori, alle prese con un tessuto verbale intriso di dialetto e di lingua, che impegna insieme una vocalità a tratti esasperata e una gestualità eccentrica. Sono Dario Tacconelli, Otello; Giovanni Carta, Iaco; Cristina Colonnetti, Disdemina; Rossana Veracierta, Iemilia. La scenografia di Dora Argento disegna felicemente un interno domestico dove una gran vasca di pesci rossi evoca la vicinanza delle acque mediterranee (la stessa firma recano i costumi). La colonna musicale, a cura di Calogero Giallanza, comprende, per varietà di allusioni, stagionate marce militari e canzoni d'epoca, primeggiante su tutte la sempreverde Buongiorno tristezza. Ostinati è l'insegna della Officina Teatro che ha dato vita all'impresa. E confidiamo sia di buon augurio per il seguito delle rappresentazioni, avviatesi nello spazio raccolto della Sala Gassman al romano Teatro dell'Orologio; e che, dopo la pausa di Capodanno, riprendono da domani al 16 gennaio.


IL TEMPO

Mercoledì 5 Gennaio 2005

Shakespeare riscritto da Randazzo diventa commedia L’Otello immigrato in Sicilia

di FEDERICA VALLUZZI

UNO splatter dalla cupa e dissacratoria ironia. L’«Otello-il Nìvuru di Mazzaria», ispirato ad una delle cento novelle di Giraldi Cinzio, fonte letteraria dell'omonima opera Shakespeariana, è commedia nera ed ambigua, ambientata oggi fra Mazzara del Vallo e Lampedusa. Nel crocevia del flusso immigratorio dall'Africa alla Sicilia. Due atti, per la regia di Francesco Randazzo, che incuriosiscono e stupiscono tra il brivido del noir e il riso amaro del grottesco. E che tracciano la rotta da un turbinio di oscure passioni verso una precisa contestualizzazione politica e sociale. L'incontro di culture diverse: la realtà degli immigrati africani in Sicilia. Ecco allora un Otello extracomunitario dal primitivismo esasperato (Dario Tacconelli), e una maliziosa Disdemina (Cristina Colonnetti), dai tratti e le movenze nordiche che, gatta in amore, segue il suo uomo dalla virilità animale. E ancora uno psichedelico Iaco, che il coinvolgente Giovanni Carta caratterizza con maestria adattandosi alle trasformazioni del personaggio. Il diabolico confidente del Moro, si trasmuta in egocentrico ed eccentrico omosessuale, spinto all'intrigo e alla menzogna dall'implacabile passione amorosa per il Nìvuru.
Passione che neanche l'infelice consorte del traditore, Iemilia (Rossana Varacierta) riuscirà a comprendere e controllare. In una quotidianità scandita dall'attività della pesca si inserisce una mass-mediatica Disdemina che incantata dalla Tv veicolerà la chiave politica del secondo atto. Ma per tutta la pièce scorre una vena di licenziosità che abbatte ogni vincolo morale. Un'atmosfera lasciva agrodolce che della promiscuità fa la sua virtù. Promiscuità impudica svelata negli amplessi grottescamente simulati su un tavolo al centro della scena. Promiscuità lussuriosa, ma mai gratuita, trasmessa da un linguaggio teatrale intimamente contaminato dove la seduttiva sonorità del dialetto siciliano viene assorbita da etimi latini, volgari e italiani, frutto di una colta ricostruzione filologica, tipica dei testi teatrali di Randazzo. Promiscuità nella musica, curata dall'autore siciliano Calogero Giallanza, che a temi della cultura popolare siciliana alterna canzoni degli anni '50 e '60 come «Buongiorno tristezza». Musica che con le sue dissonanze contribuisce a creare il quadro di una società eccessiva che per ignoranza e menzogna tende alla distruzione.


IL CORRIERE LAZIALE

31 dicembre 2004

Gli Ostinati portano Otello a teatro
Lo spettacolo sarà in scena nella Sala Gassman del Teatro dell’Orologio fino al 16 gennaio


di Francesca Romana Di Santo

“Un nìvuru resta sempre nìvuru. È una cosa più interna del colore scuro/ È una cosa scura che ci sta di dentro/ Pirchè c’è un punto dentro di esso/ Un punto che coincide/Con tutto quello che di lui è vitale […]/ E il Nìvuru è sempre Nìvuru/ Nel punto segreto/Che coincide con se stesso/Solo quando muore/Il punto si dissolve/ Soltanto allora il Nìvuru sembra soltanto uomo/Pirché quando è vivo/Il Nìvuru è di meno o di più di un uomo/ Mai semplicemente un uomo”.
Gli Ostinati portano in scena “Otello” ispirato da Giovan Battista Giraldi Cinzio, trasponendo la vicenda ai giorni nostri fra mazzara del vallo e Lampedusa, nel crocevia d’immigrazione dall’Africa alla Sicilia.
Lo spettacolo ci mostra il marasma di sbarchi clandestini, promiscuità e giochi d’interesse, brutalità e gelosie, bugie e confusioni fisiche e mentali, la storia diviene una grottesca, sanguinaria pittura di una società eccessiva che corre verso la distruzione attraverso la menzogna e l’ignoranza. Quella di Francesco Randazzo è una messa in scena dissacrante e provocatoria, divertente ma con l’acido che raspa in gola. “Non c’è morali è inutile a circarla... solamenti vi c’appresentamo li fatti como ci accapitarono”, suggerisce la Vox che, leggera e disincarnata quasi come un’annunciatrice fuori campo, riassume la trama dell’opera. Niente paura, dunque, la distanza di sicurezza da un messaggio eccessivamente serio sembra garantita, a partire dalla metamorfosi della solennità del prologo nella vivacità di una voce dialettale.
Eppure qualcosa non torna, per quanto si rida, e il comico si mescoli al grottesco e alla tragedia, non si riesce ad evitare che nella mente dello spettatore prenda forma un inquietante sospetto: forse dietro la farsa dell’Italia “sdemocratica” del “confritto d’interessi”, della “immunità politica” si nasconde un significato che non è per nulla divertente? Forse la puzza da cui Disdemina cerca di sottrarsi non proviene solo dai pesci del marito. In quel paese c’è del marcio ancora più pestilenziale. Qualcuno forse penserà ai “signuri” che sfruttano i “nìvuri”, e magari si ricorderà che al nano dall’accento milanese interessano ben poco le sorti delle casalinghe meridionali. I quattro personaggi, Otello, Iaco, Disdemina, Iemilia sono i rappresentanti di un mondo basso e volgare, un’umanità cruda e dura, ignorante e meschina, tutta dedita solo al proprio interesse e piacere. Un mondo privo di morale e di coscienza civile. Al posto del nobile guerriero straniero che approda a Cipro, ci ritroviamo con un immigrato di professione pescivendolo, interpretato dal bravissimo Dario Tacconelli, che per integrarsi nella “società civile” si mette al servizio di autorità locali legate alla mafia. A sua volta, il perfido alfiero della novella del Cinzio si trasforma nel “turpe Iaco sodomita”, l’esilarante e dirompente Giovanni Carta, perdendo ogni raffinatezza nell’arte del male. I suoi stratagemmi si riducono a rozzi espedienti di un piccolo criminale e ai luccicanti travestimenti di una strampalata drag queen. Per quanto riguarda la coppia Otello-Disdemina, la riscrittura di Randazzo fa esplodere il sottotesto sessuale presente nella novella del Cinzio e, molto più esplicitamente, nel dramma di Shakespeare. La messa in scena dell’appetito sessuale, qui più concreta che metaforica, scatena non tanto inquietudine, quanto ilarità, dando a chi guarda l’illusione di compiere, di risata in risata, un percorso relativamente indolore. Anche le due attrici, Cristina Colonnetti nella parte di Disdemina e Rossana Veracierta nei panni della moglie di Iaco, Iemilia, sono molto brave, divertenti e generose con il pubblico. Le scenografie e i costumi, dal valore simbolico e sopra le righe, come lo spettacolo richiede, sono di Dora Argento. La musica è di Calogero Giallanza. In scena dal 28 al 30 dicembre e dal 4 al 16 gennaio.


NonSoloTeatro

Otello e Desdemona tra Africa e Sicilia
di Tonino Scaroni

"Un Nìvuru 'stracomunitario, 'ntegrato e assorbito intella società civili e sdemocratica 'taliana, si piglia pir mogliera Disdemina, una fimmina di Mazzaria del Valium: il turpe Iaco sodomita, un suo compare, ambicuamente 'nnamorato di lui, accosa essa di adulterio al marito suo e combina di 'mmazzari l'adultera. Ci finisce a schifio di sanguine e ammazzamenti. Non ostanti il confritto d'interessi del Nìvuru e la sua 'mmunità politica, la Giustizzia alla fini, ma proppio alla fini, forsi doppo della fini, attrionfa. Non c'è morali, è inutili a circarla. Solamenti vi c'appresentamo li fatti como ci accapitarono".
Questo è il breve riassunto di un "Otello" messo in scena dalla Compagnia degli Ostinati che ha come sottotitolo "il Nìvuru di Mazzaria", tragica commedia di Francesco Randazzo (che firma anche la regìa), liberamente ispirata alla "novella orrorosa" di Giambattista Giraldi detto Cintio: una delle sue centotredici contenute nella raccolta intitolata, appunto, "Gli Ecatommiti", e pubblicata nella seconda metà del 1500, da cui si ispirò Shakespeare. A proposito di Shakespeare, si può ricordare che la fonte inglese di "Misura per misura" fu "Promos and Cassandra", un dramma di George Whetstone, il quale poi tradusse un'altra novella del Giraldi Cinzio che aveva ispirato il suo dramma insieme alla tragedia "Epitia" dello stesso Giraldi (stampata a Venezia nel 1583 ma probabilmente circolante manoscritta già prima).
La vicenda raccontata da Giambattista Giraldi è trasposta ai nostri giorni fra Mazara del Vallo e Lampedusa, nel crocevia d'immigrazione dall'Africa alla Sicilia, nel marasma di sbarchi clandestini, promiscuità e giochi d'interesse, brutalità e gelosie, confusioni fisiche e mentali: la storia diventa una "grottesca, sanguinaria pittura" di una società eccessiva che corre verso la distruzione attraverso la menzogna e l'ignoranza, un mondo basso e volgare, un'umanità dura e meschina dedita soltanto al proprio interesse. Un mondo privo di morale e di coscienza civile.
Di questa storia raccontata - come anticipa una nota di presentazione - in maniera esplicita e beffarda, senza pudori, in cui tutto è esasperato, sboccato e sfrontato - sono interpreti Dario Tacconelli, Cristina Colonnetti e Giovanni Carta con Rossana Veracierta. Scene di Dora Argento, musica di Calogero Giallanza.
Dal 28 al 30 dicembre e poi dal 4 al 16 gennaio nella Sala Gassman del Teatro dell'Orologio (via de' Filippini 17 a - tel. 06/ 6875550).

AMERICA OGGI

Oggi7 Magazine

LINGUAIO
Modi di dire dell’Italia d’oggi

Otello a Mazara del Vallo

Nell’Italia multiculturale d’oggi, il celebre Moro di Venezia si trasferisce nell’area di Lampedusa

di Luigi Fontanella

Scrivo da Roma, la mia odiata/amata città (beh, diciamo più amata che odiata) nella quale oggi si mescolano gerghi e parlate varie, anche a causa della massiccia immigrazione e urbanizzazione avvenuta in quest’ultimo decennio. Ho puntato il dito proprio sul plurilinguismo espressivo della nostra capitale perché intendo con il Linguaio odierno segnalare una commedia (per la precisione una “tragica commedia”, come recita l’opuscolo del programma), scritta e diretta da Francesco Randazzo, intelligente animatore dell’Associazione Culturale degli Ostinati.
La commedia, che s’intitola “Otello. Il Nivuru di Mazzaria”, è andata in scena, al Teatro dell’Orologio dal 28 al 30 dicembre e poi dal 4 al 16 gennaio, ed è costruita con un magnifico impasto linguistico in cui prevale il siciliano, ma arricchito di movenze idiomatiche, tratte ora dall'oralità degli extracomunitari, ora dal tardo Cinquecento (la commedia di Randazzo è infatti liberamente ispirata a una novella di Giambattista Giraldi Cinzio, autore e teorico del cosiddetto teatro “orroroso”, novella che ispirò la nota tragedia scespiriana).
Ed eccone il breve riassunto – risultato di questo gradevole impasto, - come viene presentato nel dépliant: “Un Nìvuru 'stracomunitario, 'ntegrato e assorbito intella società civili e sdemocratica 'taliana, si piglia pir mogliera Disdemina, una fimmina di Mazzaria del Valium: il turpe Iaco sodomita, un suo compare, ambicuamente ‘nnamorato di lui, accosa essa di adulterio al marito suo e combina di 'mmazzari l'adultera. Ci finisce a schifio di sanguine e ammazzamenti. Non ostanti il confritto d'interessi del Nìvuru e la sua 'mmunità politica, la Giustizzia alla fini, ma proppio alla fini, forsi doppo della fini, attrionfa. Non c'è morali, è inutili a circarla. Solamenti vi c'appresentamo li fatti como ci accapitarono”.
Ho riportato questo stralcio dal dépliant proprio per dare un’idea di questa ricca e spassosissima lingua teatral-dialettale con cui è costruita questa commedia. In pratica, la novella del Giraldi Cinzio viene trasposta ai nostri giorni fra Mazara del Vallo e Lampedusa, dunque nel crocevia d’immigrazione dell’Africa alla Sicilia, nel marasma di sbarchi clandestini, promiscuità, giochi d’interesse, brutalità, razzismo, ignoranza e sfruttamento.
Una storia beffarda e spudorata con continui riferimenti all’attualità italiana, in un clima esasperato, sboccato e sfrontato, ma anche tremendamente significativo per le implicazioni al nostro travagliato presente. Interpreti di questa “tragica commedia” sono Dario Tacconelli (nella parte di Otello, il Nìvuru, giovane e talentuoso attore romano e anche promettente scrittore: sto leggendo proprio in questi giorni “Grafite” la sua opera prima assai coinvolgente); Cristina Colonnetti (nella parte di una vivacissima e deliziosa Disdemina); Rossana Veracierta (molto brava nella parte di una sorniona Iemilia); e Giovanni Carta (nella parte di Iaco, un attore multiforme, mostruosamente bravo e travolgente: è, in pratica, il motore o l’asse portante dell’intera commedia).
L’economia dello spazio non mi permette qui di dilungarmi, ma voglio lanciare un pubblico “appello”: vogliamo fare in modo di portare questa compagnia e in particolare questa commedia nelle nostre università? È davvero un’occasione da non perdere, sia per la lingua (assolutamente ricca e coinvolgente, stavo per scrivere “contagiosa”) con cui è stata scritta, sia per i numerosi motivi socio-culturali italiani, estremamente attuali, ad essa sottesi.

INSCENA – n.2 2005

IL MORO DI VENEZIA PARLA SICILIANO

di Giorgio Taffon

Sulla scena agiscono quattro giovani attori molto bravi, ben preparati dall’autore-regista Francesco Randazzo, e credibili nel parlare un pastiche in versi che ha nel dialetto siciliano lo strato linguistico di base. Il protagonista Otello (interpretato da Dario Tacconelli), immigrato di colore che vende il pesce a “Mazzaria del Valium”, sia nel dialogo che nella gestualità porta efficacemente il segno di una civiltà diversa, i cui segni sono la fisicità e la sessualità prorompenti, il desiderio di riscatto socioeconomico (che porterà il personaggio a prostituirsi al potere), la gelosia possessiva che lo spingerà immancabilmente ad ammazzare l’amata. Tratti dalle fonti, e cioè la novella “orrorosa” del Giraldi Cintio e la tragedia di Shakespeare, si accampano su una scena che ci porta ai nostri giorni, invasa simbolicamente dal lezzo del pesce, anche una Disdemina(Cristina Colonnetti) vivace nell’erotismo come nel carattere; uno Iaco (Giovanni Carta) gay di provincia sbrindellato, esibizionista e improbabile ideatore di un troppo impegnativo progetto sanguinolento; una Iemilia (Rossana Veracierta) casalinga ingenua e arrendevole. Otello, il “nivuru” di “ Mazzaria del Valium”, conquista Disdemina e poi potere e sostanze, elimininando, d’accordo con le autorità, nel mare di Pantelleria i clandestini in arrivo, magari suoi connazionali; ma Iaco, innamorato del “nivuru”, riuscirà a convincerlo del fatidico adulterio commesso da Disdemina; i due faranno così fuori, in una vera mattanza, sia quest’ultima che Iemilia; infine le sirene delle volanti sebrerebbero annunciare il trionfo della “Giustizzia”. I personaggi, novelli “scarrozzanti” testoriani trapiantati in Sicilia, o ultimi discendenti dei comici dell’Arte, o personaggi “recitanti” pirandelliani, ribaltano il sublime della tragedia di origine, ponendo un’ironica distanza tra la loro performance e il taglio ovviamente tragico della vicenda, portando lo spettatore a ridere “di traverso”; perché poi amori e amorazzi, tresche e inganni, amplessi e ammazzamenti, tutto è portato all’esasperazione, al paradosso, all’osceno, all’espressionistico, calato nel contesto di una “s-democrazia”, dove regna disperatamente la stolidità del potere. La trasposizione realizzata da Randazzo rivitalizza davvero sapientemente la tradizione, per offrire una cruda metafora dei nostri “orrorosi” anni; speriamo che abbia lunga vita, in spazi scenici più accoglienti per dare maggiore dinamicità alle azioni e alle voci.


ateatro
(94) 22/01/06

Otellooooooooo!

Otello il nivuru di Mazzaria
di Francesco Randazzo

di Anna Maria Monteverdi

OTELLO IL NIVURU DI MAZZARIA di Francesco Randazzo è il vincitore della XIV edizione del Premio Ugo Betti (Comune di Camerino) per la Drammaturgia. L'opera è stata scelta dopo un'accurata selezione che la giuria ha fatto sui 249 copioni pervenuti.



"Otello è un pescatore extracomunitario, un nero che si è perfettamente integrato a Mazara del Vallo, anzi "del Valium", diventando un'autorità cittadina incaricata di occuparsi degli emigrati clandestini che sbarcano a Lampedusa, da lui in segreto cucinati e inscatolati a puntino. La gelosia che scatena il tragicomico finale questa volta non ha per pomo della discordia Cassio ma Emilia, la moglie di Iago, accusata di rapporti omosessuali con Desdemona, mentre è proprio Iago, travestito spesso da donna, a fare frequenti e insistenti avances a Otello (motivo del resto già implicito in Shakespeare).Tra gambe tagliate e teste mozze in un crescendo volutamente inverosimile, il finale è in due tempi: nel primo, Otello e Iago la fanno franca, addossando i delitti ai soliti extracomunitari (nonostante la testimonianza della testa mozzata ma parlante di Desdemona); nel secondo finale, raccontato epicamente da Emilia, i due delinquenti hanno quello che si meritano: Otello è ucciso in carcere e Iago viene fatto fuori dalla stessa Emilia che getta l'asciugacapelli nella vasca da bagno".



Questa la sintesi dell'opera - permeata di "sicilitudine" e di oscenità - tratta dalla motivazione del premio al testo - già messo in scena dalla compagnia degli Ostinati - di Francesco Randazzo, giovane drammaturgo siciliano particolarmente talentuoso, che ha già saccheggiato vari altri premi nazionali; Otello è dunque un extracomunitario immigrato in Italia che ora nella zona del porto di Mazzara del “Valium” fa il pescivendolo, anzi, un vero commercio di carni umane pescate: nella sua pescheria macella, tritura, e inscatola corpi tirati su dal mare di poveracci come lui, e per tirare avanti seduce pure con toni più che espliciti, la figlia di un mafioso.



Come non ricordare che sono anni che nel canale di Sicilia - nella zona del 'mammellone' tra la Libia e la Sicilia - finiscono nelle reti dei pescatori non solo pesci ma cadaveri e resti di uomini e donne morti mentre tentavano di arrivare sulle coste dell'isola..... Mazzara del Vallo è effettivamente il comune italiano che registra la maggior densità di immigrati residenti, in particolare tunisini e maghrebini; ha una delle più grandi comunità islamiche in Italia e la questione dei CPT e dei nuovi centri di identificazione (“galere etniche”, le definisce il settimanale “Carta”) è ancora calda e mette in luce la debolezza della legge Bossi-Fini. Un'umanità alla deriva che nella geniale finzione drammaturgica in siciliano di Randazzo genera addirittura una nuova economia, magari "sommersa" e un bel po' di indotto!
Sfrontata, sboccata, kitsch, addirittura oscena: l'opera è così, trama, linguaggio e personaggi sono così, eccessivi nella loro carnalità, nella loro ignoranza, nella loro nefandezza, nella loro irriverenza. In modo molto poco anglosassone le donne s'accapigliano per gli uomini, gli uomini pensano solo a fottere persone dell'altro sesso o del loro, nel magna magna generale, tra mafiosi, travestiti, fuorilegge e poliziotti accomodanti, ne esce un ritratto non così lontano dalla realtà, tutto sommato, di un mondo che s'arrangia come può, che sfrutta i deboli, che si inebetisce di reality per non pensare alle tasse, all'economia in crisi, al lavoro che non c'è. E' l'Italia “sdemocratica” e del “confritto d’interesse” del nano milanese che garantisce Internet e inglese per tutti, ancor più marcia e ancor più prigione della Danimarca, dove chissà se davvero prima o poi, la giustizia “alla fini, ma proprio alla fini, forsi doppo della fini, attrionfa” .