Didone riaffiora e ripercorre la sua tragedia come in una reviviscenza che attraversa i detriti della storia per giungere fino a noi con la forza dell’ineluttabilità e la potenza “barbara” del personaggio, fino alla sua totale annichilazione nell’amore.



Didone errante
un monologo  di  Francesco Randazzo
liberamente tratto
dal libro IV dell’Eneide di  Virgilio
e da Heroides di  Ovidio

interpretato da 
Giorgina Cantalini

costume di Dora Argento

musiche a cura e di  Calogero Giallanza

movimenti coreografici di  Giovanna Summo

direzione di scena Monica Mariotti

ideazione scenica e  regia  di   Francesco Randazzo

Didone appare dal tempo mitico nel nostro, vestita d'un abito da sposa abbandonata prima delle nozze, scava tra rifiuti, adopera oggetti di scarto e li ingloba nella sua storia, ascolta o dialoga con suoni e musiche etniche o rock, classiche o minimaliste, si muove come un'eroina, una bambina, una selvaggia, danza e si esalta come in discoteca, striscia come una vittima o incede come una regina, piange come una donna di oggi e s'infuria come un'erinni femminista. Si dissolve nell'ineluttabilità del proprio destino. Ma pur nella sconfitta dimostra la superiorità del femminile rispetto alle viltà e agli opportunismi maschili.
E dunque, rendere la sua tragicità epica vivente e attiva attraverso il tessuto contemporaneo è stata la ragione prima di questo nostro allestimento.

Teatro Due Roma
sala Aldo Nicolaj
Vicolo dei Due Macelli , 37
tel. 06 6788259
dall’ 1 al  20 Aprile 2008

info scuole e gruppi: 06 5880406 actingsociety@fastwebnet.it
Lo spettacolo
nasce da una ricerca sul personaggio di Didone e da un’elaborazione drammaturgica tratta dal IV canto dell’Eneide di Virgilio e dalla Lettera di Didone delle Heroides di Ovidio, rendendo il testo uno stream del personaggio che ripercorre la sua tragedia come in una reviviscenza che attraversa i detriti della storia per giungere fino a noi con la forza dell’ineluttabilità e la potenza “barbara” del personaggio. La scomposizione di questi attraverso la fisicità reale che si trasfigura in un flusso gestuale simbolico e astratto, mediato dalle interpolazioni tecnologiche e multimediali di riprese video in diretta che falsandone la presenza fisica ne esaltino la ricettività, come in una sorta di “reality” tragico. Il movimento fra suono, gesto e parola, in continua simbiotica trasfusione di senso, dinamica e immagine. Il tentativo della tragicità epica nel tessuto contemporaneo. L’affiorare del latino come elemento primordiale, quasi animalesco, portatore di pura emozione, grido del mito.
La figura femminile ante-litteram di Didone

Una donna in fuga, una donna che trasforma la propria sfortuna in avventura e riesce grazie alla propria intelligenza a rifondare la propria vita, a creare una città. Una donna volitiva che nonostante gli ostacoli riesce ad ottenere stima e rispetto, e diviene modello di forza e determinazione. Questa è Didone, regina di Tiro, cacciata dal fratello che le uccide il marito, approdata sulle coste africane, dove riesce a fondare una città che diverrà la grande Cartagine: Didone la volitiva, la donna di potere, corteggiata dai potenti, dei quali tutti lei rifiuta le proposte di matrimonio, in nome della promessa di fedeltà data anche oltre la morte al suo defunto sposo. Eppure questa donna ha nascosto nel cuore il calore, l’enorme potenza del sentimento, represso e piegato all’onore, alla dignità della promessa. Ma resiste. Finché a Cartagine non approda Enea, anche lui fuggitivo. Forse è proprio questa somiglianza, questa comune storia di perdita e fuga, questo implulso al viaggio e alla fondazione, che colpisce Didone. Per sua stessa ammissione, subito dopo averlo incontrato, confessa che “Se non avessi dato sacro giuramento irrevocabile,/mai più, mai più io sposa, dopo la morte di Sicheo/mio primo amore, morte crudele e odiosa, io solo/a lui avrei voluto cedere…” 
Ma la forza del suo giuramento di fedeltà ha la meglio. Didone ha però, da questo momento in poi in sé il germe destabilizzante del sentimento, represso, sopito, pronto a riesplodere (“riconosco i detriti dell'antica fiamma!”). Ciononostante, probabilmente, sarebbe riuscita a resistere, il suo carattere, fino a quel momento saldo come una roccia, porta a pensarlo. Ma a questo punto entrano in campo, oltre alla sorella di lei, che incarna la voce sopita all’interno del cuore di Didone, le divinità che plasmeranno gli eventi, fabbricando una serie di circostanze che in un crescendo d’ineluttabilità condurranno Didone all’abbandono del sentimento, alla totale annichilazione nell’amore. Enea è suo, s’illude.

Ma Enea l’abbandona, va verso il suo destino, verso altre coste, a fondare la sua città. Il sogno di Didone s’infrange. Il dolore e la rabbia, la vergogna per la sua mancata promessa, il senso di perdita sono assoluti in lei.  Si ucciderà con la spada che Enea le ha donato, accanto a un rogo: l’immagine è potente e simbolica, il suo impatto arriva fino a noi. Di lei Virgilio ci consegna nell’Eneide la storia, il libro IV del poema epico è in realtà la tragedia di Didone, un altissimo ritratto eroico; Ovidio invece nella sua Lettera di Didone, nelle “Heroides”, ci mostra la donna nel suo estremo atto di asservimento all’amore, la sua umanità straziata, il suo dolore e la sua rabbia.
Da questi precendenti di straordinaria impressività e carichi di motivi tematici irradianti, nasce l’idea di un testo e di uno spettacolo su questa figura di donna, un personaggio che attraversa la Storia e il Mito, giungendo fino a noi, in una reviviscenza che trasfonde la sua esperienza dal territorio dellla classicità a quello contemporaneo, rinsanguando e riportando a noi come vive e presenti le vicende, l’anima e il corpo di un personaggio che ancor oggi può essere di straordinario impatto visivo ed emotivo, nel nostro tempo, per la nostra umanità, per rendere al nostro presente la forza e la vitalità del mito, del linguaggio e di tematiche universali, fervide e fertili. Didone ritorna fra noi. La sua voce e la sua presenza ci rendono l’accadere infinito di questa donna, in fuga da millenni, la sua lotta contro il destino, l’appassionante catarsi della sua scelta finale, estremo atto di liberazione.

francesco randazzo
Prima rappresentazione:  Genova il 30 luglio 2007,  Festival "In una notte d'estate"





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