O.L.F.A
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ANNO
VI/VII. NN. 29/30 NOVEMBRE-DICEMBRE/GENNAIO-FEBBRAIO 2002/2003 FERRARA
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200 ANNI FA NACQUE LAJOS KOSSUTH
(1802-1894)
- A cura di Meta Tabon -
Lajos Kossuth
Disegno © di Ágnes Preszler
Lajos
(Luigi) Kossuth, politico, uomo di Stato, patriota, un esemplare, eccellente pubblicista ed
oratore (Monok , 19 settembre 1802 - Torino, 20
marzo 1894).
Come ministro delle Finanze nel primo governo
ungherese (1848) si impegnò per l'attuazione di riforme sociali e politiche.
Partecipò alla rivoluzione e guerra d'indipendenza dell'Ungheria (1848/1849),
ma il suo mandato durò pochi mesi. Infatti, dopo l'intervento del russo Nicola
I che troncò la rivoluzione, Kossuth fu costretto a fuggire.
Kossuth e
parecchie migliaia di patrioti trovarono rifugio presso l'impero ottomano.
L'asilo del quale godevano, tuttavia, traeva origine da ragioni personali
piuttosto che da motivi politici. Inizialmente Kossuth si stabilì con i suoi
collaboratori più vicini a Šumen, in Bulgaria, quindi fu trasferito a Kütahya,
in Asia Minore, nella primavera del 1850. Nell'isolamento più totale, Kossuth
preparava i progetti di un'ulteriore risurrezione armata e di una nuova
costituzione democratica; la corazzata Missisipi lo sottrasse al
suo esilio a testimonianza del consenso dell'opinione pubblica internazionale.
Nei porti
italiani, francesi e inglesi, le folle accorrevano sulle banchine per acclamare
questo eroe della libertà. Kossuth fece un ingresso trionfale a Londra, a
Manchester, a Birmingham e in altre città; il suo viaggio negli Stati Uniti
(dicembre 1851 - luglio 1852) fu un vero trionfo, come fu pure memorabile
l'accoglienza a New York, Filadelfia e Boston. Agli occhi degli Americani,
Kossuth rappresentava lo spirito di libertà del vecchio continente, alla stessa
stregua di ciò che Giorgio Washington era stato nel Nuovo Mondo.
Durante
gli anni di esilio, Kossuth si dedicò esclusivamente alla preparazione dei
sopraccitati progetti. Stabilitosi a Londra, rimase in contatto con i
protagonisti delle rivoluzioni europee - in particolare con Mazzini -, e si
preoccupò di organizzare le società segrete in Ungheria.
La
notizia della guerra fra l'Italia ed l'Austria diede nuovo vigore agli emigrati che erano già sul punto di
disperdere le loro forze. Kossuth, László (Ladislao) Teleki e György (Giorgio)
Klapka, nel 1859, crearono la Direzione
nazionale ungherese, una sorta di
governo in esilio. Concluse un accordo con l'imperatore Napoleone III, in base
al quale venne istituita una legione ungherese in Italia, ma si decise che si
sarebbe dato il segnale della rivolta nazionale solo nel caso in cui fossero
arrivati alle frontiere eserciti italiani o francesi. Dopo la rapida vittoria
dei francesi e degli italiani, però, la guerra si avviò rapidamente a
conclusione, senza comunque che l'unità d'Italia fosse completata, né che
fossero venuti in aiuto degli
ungheresi. Liberata a metà, l'Italia era in piena effervescenza. Kossuth si
recò a Genova, quindi si stabilì definitivamente a Torino, al fine di poter
seguire da vicino il corso degli avvenimenti.
Molti
ufficiali e soldati ungheresi presero parte, nel 1860, alla campagna di
Garibaldi, distinguendosi in maniera particolare nella presa di Palermo e nei
combattimenti presso Napoli. István (Stefano) Türr fu anche promosso generale e
divenne uno dei collaboratori più vicini di Garibaldi. Nell'estate del 1860
Kossuth e Cavour raggiungevano un accordo segreto per la liberazione dei loro
paesi e poiché la resistenza interna stava rafforzando le sue posizioni,
sembrava possibile un intervento dall'esterno che risolvesse la questione
ungherese. Ma le speranze svanirono negli anni seguenti: la guerra contro
l'Austria non ebbe più luogo, Cavour morì, e la legione ungherese venne
sciolta.
Nella
terza fase della sua attività in esilio, Kossuth ripose le sue speranze non più
sulle promesse delle grandi potenze dell'epoca, ma sull'idea di un'alleanza fra
i piccoli popoli del Danubio. Dopo che Klapka, Teleki e gli altri avevano preso
contatto con gli uomini politici serbi e romeni, Kossuth nel 1862 lanciò l'idea
di una Confederazione danubiana della Romania, della Serbia, della Croazia e
dell'Ungheria, in cui gli affari esteri, le guerre e l'economia sarebbero stati
affidati a un Consiglio federale controllato da un Parlamento, all'interno del
quale sarebbero state rappresentate tutte le nazioni. «Unità concorde,
fraternità fra ungheresi, slavi e romeni: tale è il mio voto più ardente. Ecco
un avvenire felice per tutti». Disgraziatamente, un tale progetto era di fatto
irrealizzabile, sia per le condizioni della politica estera e interna
dell'epoca, sia a causa del tipo di mentalità, ancora inadatta a tale processo.
Poiché la
soluzione offerta dalla generosa utopia di Kossuth non era accettabile per la
vecchia direzione della politica ungherese, questi a poco a poco finirono per
riavvicinarsi all'idea di una riconciliazione con l'Austria.
Kossuth,
che fino al 1866 confidava sull'appoggio dell'esercito prussiano e sperava
anche nell'eventuale sfascio dell'impero di Francesco Giuseppe, si impegnò -
immediatamente dopo la conclusione della pace fra Prussia ed Austria - a
impedire la riconciliazione dei suoi compatrioti con Vienna. Legare il destino
dell'Ungheria all'impero austriaco ormai votato alla disfatta era un gesto
suicida, sosteneva egli nei suoi scritti: «L'Ungheria sarà il rogo sul quale la
logica implacabile della storia brucerà l'aquila austriaca. Anche all'ultimo
momento, nel 1867, Kossuth indirizzò una lettera aperta al suo amico di altri
tempi, Ferenc (Francesco) Deák, supplicandolo di non coinvolgere la nazione
oltre quei limiti che le avrebbero impedito di costruire il proprio avvenire.
Dopo il
compromesso austro-ungarico del 1867, Kossuth si ritirò progressivamente
dall'attività politica. Si occupò di botanica, d'astronomia e del riordino dei
suoi scritti, cercando consolazione nei libri di storia.
Morì a Torino, dopo un esilio di 45 anni.
Solo le sue ceneri poterono ritornare in Ungheria. Il suo funerale divenne una
immensa manifestazione nazionale, testimonianza dell'attaccamento degli
ungheresi a quegli ideali per i quali egli non aveva mai smesso di lottare.