L'Aquila un anno dopo

Il ricordo di una terribile esperienza.

 

Tutte le volte che la realtà mi mostra la sua faccia più dura, il desiderio di poterla modificare per renderla più sopportabile si fa incontenibile. Quelle volte, agendo come un efficacissimo Photoshop, è la fantasia che interviene in mio aiuto apportando le modifiche dovute. Tanto più dura è la realtà, tanto più forte è la speranza che i protagonisti di quel reale possano in qualche modo essere risarciti. Una speranza così accesa da andare contro anche a quelle che sono le proprie personali convinzioni. 

Un anno è passato e quella notte sembra essere già così lontana, quasi non reale. E’ come se il tempo abbia tentato di cancellare, a suo modo, la paura e il dolore di quei momenti che io invece non riesco proprio a dimenticare, forse perché sono gli ultimi che ho vissuto. Ma il tempo, in realtà, non fa altro che il suo dovere. Lenisce amorevolmente ogni ferita aiutando l’anima di chi resta a sopportare ciò che resta. Il tempo è uno sciamano, guarisce il male tramite lo stordimento provocato dai giorni che continuano ad inseguirsi senza sosta e si trascinano dietro gli affanni dei problemi esistenziali e la caducità delle gioie effimere. Adesso, qui nel posto dove sono, che non so dove si trova e non so se esiste, riesco finalmente a vedere ogni cosa con la dovuta chiarezza. Tutto quello che un anno fa mi sembrava essere così terribilmente angustiante mi appare ora come inondato da una luce diversa che riesce a smascherare la pochezza di quelle difficoltà che prima erano come macigni franati sulla mia strada. Soltanto adesso che sono morto, perdonatemi il gioco di parole, riesco ad essere pienamente vivo, senza più ansie, senza inutili affanni, senza più falsi traguardi. Vista da qui, con il senno di poi, la vita si manifesta vestita con il suo abito più bello e senza il peso di nessuno di quei futili accessori che prima, invece, sembravano essere necessità irrinunciabili. L’Aquila è ancora la mia città, lo è e lo sarà per sempre. Tornerà ad essere quella città bellissima che noi abruzzesi, puntigliosamente e orgogliosamente, non faremo morire abbandonandola come una inutile cosa rotta. Da questo posto, che si trova in nessun posto ma che è ovunque, posso capire quanto L’Aquila a cominciare da quella notte abbia sofferto, quanto di buono per lei è già stato fatto e quanto ancora dovremo fare. Ma noi abruzzesi siamo “capatosta” e ci riusciremo, rimettendo ogni pietra al proprio posto, facendo rivivere ogni casa. Io intanto me ne sto qui insieme a mio figlio dal quale ora non mi separo più perché niente può avere più valore del nostro vicendevole abbraccio. E si, mio figlio. Anche lui è qui con me, insieme a tutti gli altri di quella notte. Adesso, se anche qui ci fosse il bisogno di misurare il tempo nel modo in cui si fa da voi, mio figlio avrebbe 12 anni. Quella notte, quando anche la mia casa ha cominciato a tremare, stava dormendo nel suo letto e non si è accorto di nulla, nemmeno che, nella paura e nella polvere di quella scossa più forte, sono andato istintivamente ad abbracciarlo pensando in questo modo, come solo un padre può pensare, di poter essere per lui quel cemento armato che avrebbe impedito al soffitto di crollarci addosso e con il quale la nostra casa avrebbe dovuto essere costruita se l’ingordigia, il cinismo, il folle tornaconto di costruttori e amministratori non avesse lesinato sull’utilizzo dei giusti materiali. Ora mi raccontano addirittura che subito dopo quanto ci è successo ci sia stato qualcuno che abbia addirittura sorriso al pensiero di arricchire grazie alla successiva ricostruzione e che abbia pensato ai propri guadagni quando ancora i nostri corpi giacevano incastrati sotto le macerie. Può sembrare assurdo, ma ho sentito anche notizie simili. Non credo però che sia possibile tanto cinismo, non voglio crederlo. Non ho pensato a tutto questo quella notte, ho cercato solo di salvare mio figlio abbracciandolo ed è in questo modo che insieme siamo passati dal buio alla luce più assoluta. E abbracciati, dopo tanto scavare, hanno ritrovato ciò che di noi è restato nel vostro mondo. Un padre e il proprio figlio saranno per sempre un’anima unica. Povero bambino, ogni volta che ricordiamo quella notte, stringendosi a me con più forza, mi dice di non aver sofferto e di non aver avuto paura. Io voglio credere che sia stato così come lui mi dice e anche qui dove non esiste dolore, per non soffrire di quello che lui ha sofferto, mi illudo che veramente così sia stato.

 

                                                                                                                                                           Vincenzo Buccella