SFRUTTIAMO LE NOSTRE RISORSE

Questo è il tema: svolgimento.

 

Leggo e rileggo la traccia e giro e rigiro tra le mani la penna . Penso e rifletto e intanto indugio.

Che cosa è che mi imbarazza tanto, improvvisamente mi mancano le idee?!

No, in realtà sono indecisa sul modo; è una questione di forma.

Come dire quello che sento di dover dire?, con “parole alate” (per usare il tratto gentile della poesia epica di lontana memoria) o con piglio tagliente?

Basta, questa volta rompo gli indugi e affondo la penna perché quando serve, serve.

E con questa lapidaria motivazione di stampo tutto abruzzese, dirò quello che penso.

E sia quel che sia.

 

Su un piccolo colle contornato da monti, con un profilo inconfondibile che cattura l’attenzione da lontano, si erge la nostra Ortona, paese ricco di una storia antica che, tornando indietro nel tempo, arriva al fiero Quinto Poppedio Silone e prima ancora.

La struttura del paese, la torre, le chiese, il campanile, gli archi, le porte, gli edifici, sono muti testimoni di un passato più grande e dell’esistenza di una comunità importante che un tempo qui doveva pur esserci.

Benedetti dal cielo che per fortuna ci ha messi in posizione defilata, siamo scampati al traffico “fucense”, alle puzze cittadine, allo smog e ai rumori.

Nell’era della crisi ambientale denunciata dall’intero mondo scientifico come la catastrofe più grande che si sta abbattendo sull’umanità, come un’apocalisse che vede morire pesci nell’acqua e animali sulla terra, NOI siamo nel verde del Parco Nazionale d’Abruzzo:

 

“ chiare fresche e dolci acque” del Giovenco,  rosseggiare delle foglie in autunno, viole e ruscelletti in primavera,  aria pulita, profumo di sambuco, di tiglio e di rose e…perfino farfalle e LUCCIOLE….che non vedi più da nessuna parte perché, è risaputo, stanno solo dove si respira ancora.

 

E non vogliamo parlare delle nostre mele?, dei prodotti dei nostri orticelli in un mondo che propaganda il biologico a caro prezzo perché il nostro pane quotidiano ormai, nella migliore delle ipotesi, non ha sapore, e, nell’ordinario, contiene sostanze chimiche e nocive?

E non ho finito; la gente e lo stile di vita dove li mettiamo? E i famosi valori tanto sbandierati, riproposti e strumentalizzati in un mondo sempre più aggressivo? Ne vogliamo discutere?

A Ortona nessuno ti lascerebbe morire per strada, neanche la persona con la quale puoi avere avuto qualche contrasto. Anche l’anziano più solo non è solo come può esserlo un anziano chiuso in un appartamento cittadino, dimenticato dai familiari, fagocitati dal caos quotidiano e privo della compagnia del vicino di casa. Perché, si sa, in città quello della porta accanto non è la “commare” o l’amico di una vita ma un illustre sconosciuto che non ti dice neanche buongiorno se lo incontri sul pianerottolo…figuriamoci il resto.

 

E dunque, Dio mio, che cosa ci devi dare di più? Tu ci hai messi nella Valle dell’Eden, dove “scorrono fiumi di latte e di miele”, ci hai dato il paradiso terrestre (quello che altri hanno perduto) dove uomini e animali e alberi possono vivere come fratelli una vita illuminata, ci hai benedetti conservandoci ancora nell’animo la scintilla dell’umanità.

Che puoi darci di più Dio mio?

Dacci gli occhi per vedere e la mente per capire, il coraggio per non scivolare nell’indifferenza, nell’individualismo meschino che bada solo al proprio tornaconto e la consapevolezza che il bene di uno non è il bene di tutti mentre il bene di tutti è anche il bene di ognuno. Rendici coscienti dei privilegi che abbiamo e delle nostre responsabilità.

Spetta a noi, solo a noi essere degni di tanta grazia.

Lasciare morire Ortona nell’incuria, nell’ignoranza, nello sperpero delle sue grandi risorse ambientali e culturali, condurla ad uno spopolamento per voluta incapacità o per la pigrizia di pensare e di spendersi per un vero progetto di vita futura, è un peccato mortale.

Prima dei soldi, prima di qualunque risorsa materiale, occorre far riemergere dal profondo quel senso di orgoglio e di amore per il nostro paese che deve portare ognuno di noi ad agire in prima persona ed a ribellarsi quando si vede scempiato e sperperato un bene caro come ci si può ribellare quando si vede toccato un proprio figlio.

Chi se non noi dobbiamo custodire e amare ciò che ci appartiene? Chi se non noi dobbiamo avere il sogno di riportare Ortona alla sua grandezza, ricca di tutte le cose che il mondo sta perdendo?

Io questo sogno ce l’ho. Immagino un futuro luminoso in cui intere famiglie potranno tornare a vivere a Ortona, dove potranno avviare aziende, coltivazioni, aprire negozi di artigianato, forni, trattorie tipiche, maneggi, camping, ….ecc..ecc... Immagino un paese dell’arte e della cultura che richiami gente per bene che verrà a visitare Ortona con rispetto. E sogno anche di rivedere gruppi di bambini circolanti per le strade (ricordo di infanzia!); sogno di potere io stessa vivere sempre a Ortona e di poterci restare da anziana senza dover andare esule dalla mia terra e dalla mia casa perché non ci sarà rimasto più nessuno.

 

Ma questo sogno non può essere, non vorrei che fosse e sono certa che non è solo il mio sogno.

Dunque, che cosa stiamo aspettando?

 

                                                                                                                                                           Giuliana