IL RUGGITO DELLA TERRA

L’eco del terremoto del 6 aprile ha raggiunto anche Ortona.

 

“La natura non è né buona né cattiva… è indifferente… nessuno poteva prevedere…” Queste parole riportate da un quotidiano nazionale a firma di un autorevole giornalista italiano, così poco appropriate alla tragedia del Vajont per la quale furono scritte, ben si adattano invece a quello che è accaduto alla nostra terra nel cuore della notte del sei aprile scorso.

La natura né buona né cattiva ha dato sfogo alle dinamiche sotterranee del nostro pianeta, che come un organismo vivente si muove e respira.

Ma il respiro è diventato un ruggito che con violenza ha inghiottito cose e persone lasciando solo macerie di quella che era una delle più belle città d’Italia.

L’Aquila ed il suo territorio, con i paesi ed i piccoli borghi, non è più.

La città dei novantanove castelli, la città delle novantanove fontane,la città di Celestino V, la città che accoglieva tanti giovani nella sua prestigiosa Università è colpita al cuore.

Venti secondi, un tempo brevissimo come un battito di ciglia, ma interminabile quando si parla di terremoti, solo venti secondi sono stati sufficienti a scardinare le fondamenta di un tessuto urbano ricco di storia e di bellezza.

L’eco del poderoso ruggito ha raggiunto anche Ortona, il colpo di coda del mostro invisibile ci ha solo sfiorato, ma ferito.

Pensiamo sempre che la nostra casa sia il luogo più sicuro del mondo, il rifugio, il nido degli affetti e delle cose che ci appartengono e non pensiamo mai che può trasformarsi in una trappola se solo la terra, da madre benigna, diventa madre crudele.

E madre crudele lo è stata la nostra terra, quella notte del sei aprile.

Una notte con un cielo pieno di stelle, altissimo e lontanissimo, nel freddo pungente di una primavera tardiva, colti nel sonno, strappati ai sogni, spinti fuori dal nido, con il pigiama sotto il cappotto e lo sgomento negli occhi che ci ha visto correre incontro agli altri, per ritrovarsi e condividere la paura.

Alle prime luci dell’alba, la tragedia aquilana si era ormai delineata in tutta la sua drammaticità e ne abbiamo sentito il terribile peso.

Abbiamo guardato Ortona fortemente attaccata alle sue fondamenta di roccia, Ortona che ha assorbito il colpo ed a prima vista, salva.

Ma solo a prima vista, perché nella tarda mattinata ci aspettava l’amara sorpresa di trovare i graffi e le unghiate inferte dall’animale misterioso su alcune case di via Roma e a Sulla Villa.

Le lesioni, i calcinacci, i mobili spostati e gli oggetti caduti colpiscono l’occhio dando un senso di vertigine, come di un qualcosa che non ha più il baricentro. Tutto storto, deformato, stravolto.

A Sulla Villa l’antico Santuario non ha retto ed è stato in seguito ingabbiato in una struttura di legno e la Madonna, tanto cara agli Ortonesi, è stata trasferita nella chiesa di Ortona con una mesta e silenziosa processione.

L’equilibrio precario del costone della montagna che sovrasta la piccola frazione costringe i residenti a sfollare in un albergo, perché alcuni massi scagliati da una mano invisibile, minacciano l’abitato.

Questo il triste bilancio per Ortona del terremoto del sei aprile.

Inizia la settimana santa, settimana di passione, le scosse sismiche continuano a sentirsi, ci condizionano la vita ci fanno lasciare nuovamente le case il martedì successivo ed ancora ci ritroviamo tutti insieme davanti a Melone.

I giorni trascorrono con l’andirivieni dei vigili del fuoco che di casa in casa rassicurano e tranquillizzano.

Sono trascorsi più di due mesi dall’evento, la nostra vita ha ripreso il corso normale, da qualche giorno gli abitanti di Sulla Villa sono tornati alle loro case e quelle lesionate saranno rimesse a posto. Cosa resta? Resta la ferita profonda e dolorosa della nostra terra colpita, restano le macerie dell’Aquila sulle quali il tempo si è fermato alle ore 3,32 di quel sei aprile, resta il senso di impotenza dell’uomo davanti alla forza della natura.

Ma davanti al dramma e proprio dal dramma dobbiamo trovare la forza di ridare dignità ai nostri luoghi offesi, di far si che la natura e le sue energie siano sempre più alleate e non nemiche dell’uomo e che la tempra tenace e coraggiosa della nostra gente possa ricominciare il lungo lavoro della ricostruzione.

 

                                                                                                                                                           Marina