LETTERA APERTA

Paese mio carissimo…

 

Paese mio carissimo,

ti sembrerà forse strano, come forse lo sembrerà a chi legge, che io ti scriva queste parole. Le scrivo a te che sei pazientemente fermo da secoli sulla tua montagna, perché oggi tutti hanno una terribile fretta di muoversi, di fare, di andare (chissà dove poi); mentre tu, tranquillo e solenne, possiedi ancora la capacità di ascoltare, di capire.

Ma ascoltare non con le orecchie, che ovviamente non hai, ma con l’animo e la volontà di stare a sentire un vecchio amico.

Si lo so bene, oggi, rispetto a dieci anni fa, comunicare con qualcuno è terribilmente facile, immediato. Ci sono i telefonini che con le loro suonerie astruse (dico suonerie e non melodie perché, tu m’insegni, la musica è tutt’altra cosa) ti raggiungono inopportuni in ogni dove. C’è internet. Fantastico, meraviglioso che in pochi secondi ti mette in contatto con il mondo intero. Tutto molto bello e qualche volta, pensa un po’, anche utile. Ma, caro mio, è tutto così terribilmente freddo e inespressivo; manca il contatto umano, il vedere in faccia il tuo interlocutore. Non c’è calore in una telefonata, non c’è intimità e riservatezza in internet (privacy! Ma io e te siamo italiani mica inglesi!!). Dicendo queste cose, però, non vorrei darti l’impressione di essere un conservatore bigotto; di uno che, in nome di quello che è stato o per partito preso, è contrario alla novità, al progresso. Tutt’altro. Voglio solo dire che per tutte le cose ci vuole un limite, non bisogna esagerare.

Ma tu, Ortona, sicuramente capirai. Hai il dono della saggezza (ne hai vista passare d’acqua sotto i ponti del Giovenco), sarai forse un po’ chiusa ma hai sempre capito le esigenze di noi tutti ed hai saputo chiudere un occhio. L’esigenza di chi, per vivere meglio, ha dovuto lasciarti (ma tu che offrivi??) per andare in grandi città (Roma, Milano, Torino) oppure, addirittura, attraversare l’oceano e imparare una nuova lingua ( quando molto spesso non conosceva l’italiano) convivere con gente diversa, strana. Oppure, assai meno importante ma pur sempre necessaria, l’esigenza di fare e strafare che aveva un gruppo di giovinastri, i famigerati N.O.P., di cui un nostro caro amico e adepto ha già esaurientemente parlato.

Hai sempre capito, dicevo, ed hai sempre perdonato. Sarà anche per questo, quindi, che in tanti posti anche lontanissimi dalla tua montagna, ci sono persone che continuano a parlare di te e come te; che sperano e vogliono rivivere, prima o poi, qualche giornata in tua compagnia.

Bene, caro mio, ora è tempo di saluti. Sperando di non averti annoiato, ti dico alla prossima e…ariop!!!

 

Vincenzo Buccella