LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Anche Ortona ha subito il flagello della seconda guerra mondiale

 

Il 10 giugno 1940 gli Ortonesi erano tutti nella piazza davanti al Comune: una radio rurale, sistemata sul balcone, gracchiava il discorso di Mussolini sull’entrata in guerra dell’Italia. E così, Ortona, per la seconda volta, si trovò ad affrontare l’incubo guerra. Il rituale era sempre lo stesso: gli uomini al fronte, le donne, i vecchi e i bambini in attesa. I soldati Ortonesi , molti dei quali appartenenti alla gloriosa "Divisione Julia", erano dislocati sul fronte Greco – Albanese, in Africa e sul fronte russo. Alcuni furono prigionieri degli inglesi, altri in Germania. Molti sono tornati ed hanno reso testimonianza delle vicende di guerra, altri sono caduti, altri dichiarati dispersi. A Ortona, intanto, si cercava di vivere alla meglio: i soliti lavori nei campi, la raccolta della legna da ardere in montagna (ij p’ torza), l’attesa delle notizie dal fronte. Ortona ha cercato di vivere quegli anni nella maniera più normale possibile. Nonostante tutto, si facevano le feste patronali, ci si preparava al Natale e alla Pasqua nell’osservanza delle tradizioni e, dato il periodo di ristrettezze, le donne ortonesi si ingegnavano a reperire le materie prime: nei forni si scambiavano pane e dolci, nelle botteghe la farina rossa con la farina bianca, le uova con l’olio e il sale. Ortona non ha patito la fame, anche se le condizioni erano difficili.

Il 1943 fu l’anno più duro per gli Ortonesi. Con il fronte a Barrea, vicinissimo, Ortona subì l’occupazione dei tedeschi: vennero requisite alcune rimesse per alloggiare i cavalli e parte della scuola. Gli ortonesi comunicavano con i tedeschi attraverso la traduzione di Quintino Iacobacci, che conosceva il tedesco perché emigrato in Germania. Le abbondanti nevicate dell’inverno del ’43, costringevano tanti Ortonesi ad aprire la strada provinciale, reclutati dai tedeschi. Molti disertavano e si davano alla macchia. Ma il fatto più grave successe nel giugno del ’43 e riportò il nostro paese nel buio. Nel 1908 era stata inaugurata la centrale idroelettrica (testimoniata dalla foto presente nella galleria del nostro sito) ad opera della famiglia Buccella che ne era proprietaria. L’arrivo della corrente elettrica, sebbene commutabile, aveva dato una notevole spinta al cambiamento delle condizioni di vita verso la modernità. La centrale sfruttava l’acqua del Giovenco e le notti ortonesi erano rischiarate dalle flebili luci dei lampioni. Al forestiero che passava dalle nostre parti, il paese appariva come un presepe, avvolto da una luce giallina che gli dava un’aria assorta, vigile e viva. Nel corso degli anni la centrale passò di proprietà e negli anni della guerra, era gestita dalla famiglia Barbati. In quel giorno di giugno, i tedeschi in ritirata, minarono la centrale e la fecero saltare, obbligando il gestore a dare fuoco alla miccia. Tanti ortonesi erano presenti al fatto, attoniti ed increduli davanti al dramma che si svolgeva sotto i loro occhi. "L’Officina" (così la chiamavano e la chiamano ancora oggi gli ortonesi) saltò in aria e, due travi del tetto caddero ai piedi della vicina montagna formando una croce, segno che le sofferenze di Ortona ancora non erano finite. Le macerie dell’Officina sono ancora oggi visibili, la centrale non fu mai ricostruita e, anni dopo, la corrente arrivò dalla centrale di San Sebastiano gestita dall’Enel. Così le notti tornarono ad essere più scure e vennero rimessi in uso i lumi a petrolio che facevano diventare neri i nasi.

Intanto il fronte si avvicinava, i cieli di Ortona erano solcati dalle " fortezze volanti" degli alleati, tante bombe caddero lungo il fiume e avrebbero procurato in seguito gravi incidenti, Ortona accolse gli sfollati di Barrea, oltre che a quelli di Roma. Anche gli Ortonesi corsero il rischio di sfollare se la guerra avesse preso una piega diversa da quello che poi in realtà successe. Un giorno nella valle di Ortona risuonò un acuto e lunghissimo fischio: dalle montagne si videro i soldati tedeschi uscire dagli anfratti, ne erano tanti e abbandonarono definitivamente Ortona lasciando un pianoforte verticale, requisito chissà dove. Le montagne di Ortona non nascosero solo i tedeschi. Due inglesi erano nascosti nelle grotte della vecchia cava di rena sopra a Sulla Villa e alcune donne li sfamarono e li tennero nascosti per diversi mesi. Ma la guerra non era finita e le notizie dal fronte non erano buone. Sul fronte russo, lungo il Don, sul fronte greco, lungo il fiume Voiussa caddero dei giovani ortonesi. Il dolore e lo sgomento delle famiglie colpite erano grandi. Intanto Ortona riprendeva a vivere: si organizzavano veglioni di Carnevale e Capodanno a lume di candela, si trascorrevano le serate " ai mont", nel tepore delle stalle facendo anche musica, le donne filavano o lavoravano ai ferri e gli uomini le corteggiavano. In quegli anni tutto era prezioso: le nostre donne erano maestre nel riciclare stoffe, scarpe, cappotti. Un vestito vecchio veniva tinto in casa, rivoltato e ricucito, le giacche consumate dei padri venivano rimpicciolite per i bambini. Le nonne fabbricavano " i pdel" ( scarpe di stoffa ) per tutta la famiglia. Quelli per la festa erano con " ‘l recchie", un cinturino che li fermava alla caviglia.

La vita quotidiana era caratterizzata da un enorme spirito di sacrificio: tutto serviva, tutto era necessario e nulla veniva sprecato. Quando il regime chiese l’oro alla patria per il finanziamento bellico, le donne ortonesi donarono le fedi che vennero sostituite da un povero cerchietto di rame, portato lo stesso con amore. Vita difficile la ebbero gli oppositori al regime: c’era qualcuno che dormiva con il fucile da caccia vicino al letto, altri furono malmenati e purgati. Finalmente la guerra finì, i reduci tornarono, i caduti vennero onorati, Ortona si rimboccò le maniche nel lavoro dei campi, a Frascati, nella vita quotidiana. La memoria di quel periodo è ancora viva, il tenore di vita di quel tempo è portato d’esempio alla nostra generazione consumistica.

 

M. Eramo