Wiesbaden,1932
(composizione grafica, Goophys Ensemble)

Flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo: se non posso piegare gli Dei, muoverò le Potenze Infernali.

Il verso virgiliano, scritto sul frontespizio dell’Interpretazione dei Sogni (1900), esprime bene il senso prometeico che Freud attribuiva alla propria impresa quando, negli anni della maturità, arrivò a produrre la sua opera fondamentale.

Nella composizione grafica Wiesbaden, 1932 sono appaiati due quadri (l’uno il rifacimento dell’altro) accanto alle fotografie di Freud e di Ferenczi.

Il primo dei due quadri (“Edipo e la Sfinge” di Jean–Auguste-Dominique Ingres, dipinto nel 1808) rappresenta un momento decisivo della tragedia del ciclo tebano: dopo aver ucciso il padre Laio ignorandone l’identità, Edipo risponde esattamente al quesito postogli dalla Sfinge. In conseguenza di quella risposta, il mostro scomparirà togliendo alla città il sanguinoso assedio protrattosi per tanto tempo. Di qui, Edipo entrerà in Tebe per rivendicare il trono di Laio, e il matrimonio con la regina Giocasta, che egli non sa ancora essere sua madre.

Il mito racconta che Edipo rispose al quesito postogli dalla Sfinge: nel quadro di Ingres, sembra però che sia piuttosto l’Eroe ad interrogare il mostro. La bellezza del giovane, che richiama il canone estetico della Grecia classica, il suo essere proteso verso l’oggetto della sua curiosità, quel gesto interrogativo con la mano: tutto lascia intendere che non é l’irrazionale ad interrogare l’Uomo, ma l’esatto contrario. Neppure la figura sullo sfondo, espressione di un’angoscia in vorticoso movimento, riesce a scomporre la calma perfetta di chi si affaccia sul baratro del mistero per tentare di carpirne il segreto.

Nessuna immagine potrebbe rendere meglio lo spirito di ricerca che animava Freud, al pari di Edipo, “gran solutore di enigmi”, lo scopritore del significato nascosto del sogno. Freud amava molto questo quadro, un’incisione del quale era esposta nello studio viennese della Bergasse 19, dove può essere ammirato ancor oggi.

Nella composizione grafica Wiesbaden 1932, gli Autori hanno voluto rappresentare due diversi momenti della storia della psicoanalisi, attraverso l’opera del Fondatore e dell’Allievo forse più importante, affiancando il dipinto di Ingres al ritratto di Freud, e il suo rifacimento (“Edipo e la Sfinge da Ingres”), eseguito da Francis Bacon nel 1983, accanto al ritratto di Sàndor Ferenczi.

Se nel quadro di Ingres il punto focale é rappresentato da quel gesto della mano, indicatore di una curiosità capace di far luce sul mistero, posto   senza incertezze di fronte ad una Sfinge sul punto di indietreggiare per rifugiarsi dentro un antro roccioso perché consapevole della propria sconfitta, qui i rapporti sono cambiati. La Sfinge si erge su un piedistallo, statuaria e in piena luce, con l’occhio ciclopico rivolto verso l’osservatore, quasi a minacciarlo, rivendicando fieramente la propria longevità.

E in mezzo alla scena, al posto del dito indagatore, Edipo esibisce, con un tonfo pesante che quasi si sente, il proprio piede trafitto, “anacronistica” presenza viva e sanguinante di un trauma subito nella primissima infanzia. Sullo sfondo, la furia vendicatrice, le fauci imbrattate di sangue, è tenuta lontana da una poco rassicurante paratia trasparente, forse un vetro, che neppure arriva a coprire l’intero spazio dell’apertura.

Quale rappresentazione pittorica potrebbe meglio rappresentare il senso tragico della rivoluzione ferencziana, così come drammaticamente si espresse durante il Congresso di Psicoanalisi che si tenne nel 1932 a Wiesbaden?

La vicenda é nota: in quell’occasione, Sàndor Ferenczi presentò una relazione (“La confusione delle lingue fra adulti e bambini: il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione”), nonostante il Maestro avesse con insistenza tentato di dissuaderlo dal renderla pubblica. Freud considerò il rimettere al centro della scena psicoanalitica il trauma reale (anziché la sua rappresentazione fantastica, com’Egli aveva fatto in seguito all’abbandono della teoria della seduzione, a partire dal 1897) il punto estremo di rottura di un’amicizia intensa, che datava da ventiquattro anni.

Il fatto che Ferenczi volesse fortemente tornare a cercare “nuovi filoni nelle gallerie provvisoriamente abbandonate”[1] (come egli stesso dirà commentando il suo rinnovato interesse per il trauma e per i fenomeni catartici), fu, per Freud e per la cerchia degli analisti a lui vicini, una svolta inaccettabile, e Ferenczi, che morrà per le conseguenze di un’anemia perniciosa pochi mesi dopo, verrà rimosso dalla coscienza collettiva di gran parte del movimento psicoanalitico per molti decenni; ma quel piede trafitto, pesantemente gettato al centro della scena psicoanalitica, non ha mai smesso di far sentire il suo tonfo fragoroso.



[1] Ferenczi, S. (1929), Principi di rilassamento e Neocatarsi, Cortina editore, in: Opere, vol. IV, pag. 60