Prima e dopo: immagini a confronto

La raffinata lente del pendolo originale, rivestita in lamina di ottone lucente, a specchio; dotata di un elaborato sistema di supporto e di regolazione, essa reca l'iscrizione, in eleganti caratteri corsivi, Luigi De Lucia.

La lente del nuovo pendolo, monoblocco di fusione di metallo in una sagoma circolare, non certo finemente rifinita, come risulta evidente dall'immagine fotografica.
Sulla sua superficie è impressa a caratteri punzonati l'iscrizione "Alberto Gorla / 1998".

L'essenziale quanto elegante asta lignea del pendolo originale di Luigi De Lucia (1858), lungo m 4,14, a sezione ottagonale.

L'asta del nuovo pendolo costruito da A. Gorla, lungo m 1,90, ovvero meno della metà dell'originale. Realizzata in elementi metallici a profilo quadrato, essa non è certo conforme ad alcuna tipologia pendolistica settecentesca, nonostante il dichiarato intento di Giuseppe Brusa di riportare il meccanismo allo stato ferraciniano (1758).
Si notino le approssimative rifiniture e le discontinuità delle zone lucide di fresatura su tutta la superficie metallica.

Il raffinato scappamento originale di Luigi De Lucia (1858), realizzato nel sistema a caviglie a riposo, con àncora a palette a desinenza curva. Si osservi il sistema di regolazione micrometrica della divaricazione dei bracci, per un utile confronto con il corrispettivo sistema del nuovo prodotto.

Lo scappamento costruito da A. Gorla (1998), sempre nel sistema a caviglie a riposo, nonostante il dichiarato intento di riportare l'orologio allo stato ferraciniano (1757), che comprendeva invece uno scappamento di tipo Graham.
Si noti la fattura approssimativa dell'àncora, per le cui palette non è stata realizzata neppure la regolazione micrometrica di divaricazione presente nello scappamento originale: ne svolge la funzione una semplice piastrina di raccordo avvitata sui bracci dell'àncora. Eppure, secondo Brusa, questo intervento avrebbe portato anche ad un sensibile "miglioramento tecnico"

La ruota di scappamento originale, in ottone a sei raggi e dalla profilatura elegantemente sagomata. Tale rimase e funzionò perfettamente dal 1858 fino al maggio 1997, quando l'Orologio fu smontato per essere "restaurato".
Funzionò egregiamente per 140 anni, dunque, mentre Brusa giunse al punto di scrivere: " Ci siamo resi conto ben presto che, per rimediare allo stato precario in cui era venuto a trovarsi il movimento, sarebbe riuscito inevitabile andare oltre un criterio meramente conservativo ". L'affermazione, come appare evidente alla luce di quanto è noto, è del tutto priva di senso.

La nuova ruota di scappamento, in lega d'acciaio. La profilatura dei bordi è inesistente, la rifinitura assai approssimativa, ma quel che colpisce di più è l'applicazione di dadi ciechi a testa esagonale, pezzi 'da ferramenta' su un orologio con cinque secoli di storia, e non è l'unico punto in cui Brusa e Gorla li hanno applicati.

L'assetto originale del Castello del Meccanismo centrale.
Il pendolo è a destra, ovvero a Sud, sensatamente in posizione adiacente al treno del Movimento del 'Tempo'.

Il nuovo assetto del Castello del Meccanismo centrale, dopo il "restauro" di Brusa e Gorla.
Il nuovo pendolo è stato collocato a Nord, ovvero dal lato opposto rispetto all'originale, irrazionalmente nel punto più distante dal settore di alloggiamento del 'Tempo', dal quale si trova ora separato dall'interposizione dei tre settori delle sonerie dei Mori I e II e dei 132 rintocchi.


Un tale intervento, con un uso lessicale quanto meno improprio,
per non dire offensivo della buona lingua italiana e dell'intelligenza delle persone
è stato chiamato "Restauro"

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