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La Befana

     Questo bel ricordo è molto chiaro nella mia memoria, anche se sono passati più di sessanta anni. Avrò avuto cinque anni, venne in camera il mio babbo, mi svegliò e mi disse: “Lella (così mi chiamava) svelta,  vieni a vedere, è passata la Befana”. Siccome era freddo, mi avvolsero in una coperta, io in braccio al babbo e mio fratello in braccio alla mamma, scendemmo le scale e arrivati in cucina, sopra al camino che era molto grande, vicino ad un grande fuoco che illuminava parte della stanza, c’era un camioncino di legno per mio fratello e una bambola di coccio, con un bel vestito rosa e i capelli neri, per me. Io rivivo ancora la mia esclamazione di gioia: credo che sia stato il regalo più gradito e più bello che abbia avuto da bambina.

 

 

La festa di s. Antonio

Ora voglio ricordare le feste che più  colpivano la mia fantasia e più mi divertivano. In pieno inverno, il 17 gennaio, ricorreva la festa di Sant’Antonio dalla barba bianca, protettore degli animali. Era una festa meravigliosa, andavamo tutti nella piazza antistante alla chiesa, ognuno di noi portava un animale. Io avevo il gatto con un fiocco rosso, zio Aurelio un gallo anche lui infiocchettato. Poi c’era chi aveva un coniglio, il cane, ma i contadini arrivavano con i carri tirati dai buoi, con cavalli, asini , pecore e anche qualche maiale, tutti  per l’occasione agghindati con fiocchi rossi e coccarde. Il prete  spalancava la porta della chiesa e diceva la messa all’altare di S. Antonio. Alla fine della messa, il prete, seguito dai chierichetti, usciva fuori dalla chiesa e benediva gli animali e i loro mangimi. Intanto qualche gatto o qualche maiale se l’erano data a gambe, per i vicoli del paese!

La Pasqua

      Nell’aprile in genere cadeva la Pasqua, una festività che era molto diversa da oggi. Dalla domenica delle Palme fino al giorno della Pasqua, trascorreva una settimana di avvenimenti e di giornate diverse dalle solite. Per prima cosa iniziavano le vacanze a scuola, e noi ragazzi liberi dall’impegno scolastico, partecipavamo a tutte le iniziative. Mi ricordo che dal giovedì santo  iniziavano le funzioni  religiose. Dovevamo aiutare il parroco ad allestire il Sepolcro di Gesù. Andavamo cantina per cantina a ritirare i vasi di veccia, un’erba selvatica che le donne del paese avevano seminato in precedenza e tenuto al buio, perché quando nasceva, totalmente al buio, cresceva bianca. I vasi  erano quindi un elemento ornamentale adatto per allestire il Santo Sepolcro, dove poi le donne andavano a turno a pregare per non lasciare solo Gesù morto.

In quei giorni le campane non suonavano in segno di lutto; allora per informare gli abitanti del paese che era  mezzogiorno e quindi l’ora di pranzo, o il vespro, ora di cena, il sagrestano suonava, per le vie del paese, un attrezzo di legno munito di una manovella che faceva girare un ingranaggio, che si chiamava “raganone”. Noi ragazzi gli andavamo dietro, cantando in coro “Donne mettete il gatto in forno che suona il mezzogiorno”. Così facevamo il giro di tutto il paese e poi andavamo a mangiare.

Durante la settimana santa, venivano fatte le pulizie di Pasqua. Le case venivano tirate a lucido, cera rossa ai mattoni del pavimento, imbiancature e grandi ornamenti colorati ai lampadari e in mezzo ai tavoli. Queste rifiniture venivano comprate da Luciana, una donnina tutta vestita di nero che durante l’inverno vendeva il carbone e nel contempo preparava questo oggetti ornamentali per averli pronti nel periodo pasquale.  Il venerdì santo aveva luogo la processione, come c’è ancora, ma meno anonima, più folkloristica, e legata alle tradizioni locali. Mi ricordo che Gesù morto veniva portato in processione con un carro addobbato con dei drappi viola, e tirato da una coppia di buoi. Seguivano il carro le pie donne, con mariti e bambini, cantando litanie religiose, con lumini e lanterne alte con all’interno candele accese, portate da ragazzi più grandi vestiti di bianco. Noi bambini portavamo, ben esposti, tutti i simboli della Crocefissione: corone di spine, chiodi, croci, martelli, calici e altro. Io portavo una mano di legno, sorretta da un bastoncino. Durante la processione, c’era un ragazzino dietro di me, che continuava a darmi noia; un po’ lo sopportai, poi mi girai e con quella mano sacra gli rifilai uno schiaffo sonoro. Il parroco mi vide e dopo la processione mi chiamò e mi fece una bella rimbalzata, dicendomi che  mi dovevo vergognare di quello che avevo fatto. Io lo feci parlare, senza ribattere, e tornata a casa raccontai tutto alla mia mamma, dicendole che per quanto mi riguardava, don Manlio la processione se la poteva fare da solo, perché io da quella volta non partecipai più.

Il Sabato santo era il giorno della resurrezione di Gesù ed era il giorno in cui le campane tornavano a suonare. Oggi questo rito  avviene durante la messa della mezzanotte, fra sabato e domenica. A quel tempo invece tutto questo avveniva il sabato mattina durante la funzione in cui venivano benedetti l’acqua del fonte battesimale e il fuoco delle candele. Si scioglievano le campane, così si diceva nel gergo popolare,  a metà funzione le campane ricominciavano a suonare, le persone che assistevano alla messa uscivano in piazza a fare festa, perché il suono delle campane annunciava la resurrezione di Cristo. I cacciatori andavano dietro al campanile a sparare fucilate a salve, in segno di festa. Quando le campane finivano di suonare, tornavamo tutti in chiesa e la messa riprendeva. Alla fine della funzione tornavamo felici e contenti a casa.

Il pomeriggio del sabato, il parroco veniva a benedire le case. In casa mia, oltre alla benedizione delle stanze, si usava benedire tutto quello che serviva per il pranzo di pasqua: uova sode, pane, vino, schiacce  e dolci vari, tutti cibi collocati su un tavolo e su una tovaglia bianca ricamata, la più preziosa del corredo di casa.

Ma per noi ragazzi, il giorno più bello era il lunedì di pasqua, ovvero la grande scampagnata che si faceva all’oliveto davanti al campo sportivo. Tempo permettendo, partivamo la mattina con il pranzo al sacco, cesti di frutta e fiaschi di vino. Arrivati all’oliveto, le comitive si accomodavano scegliendosi uno spiazza. Le donne preparavano il pranzo, stendendo le tovaglie sul prato. Intanto il mio babbo ci montava un’altalena utilizzando una uno dei più robusti rami di olivo, e così stavamo fuori, all’aria aperta fino al tramonto. Tra canti e risate rientravamo a casa, stanchi ma felici.

 

 

Il Corpus Domini

     All’inizio dell’estate, nel mese di giugno, ricorre la festa del corpus domini. L’usanza era quella di infiorare le strade dove passava la processione. Voi direte che anche oggi è così, però in forma molto ridotta. Per noi era invece una grande festa. Il giorno prima lo passavamo in campagna a raccogliere i fiori di tutti i colori: in quel periodo ci sono infatti i papaveri rossi, le margherite bianche e gialle, le ginestre color oro e i fiordalisi azzurri. Portavamo a casa cestini pieni di fiori, tenendoli poi al fresco, e la mattina prima della processione facevamo i disegni nel pavimento della strada, che erano disegni molto semplici: un cuore, il sole, un fiore, una croce, ecc. che poi decoravamo con i petali dei fiori raccolti.