Utili rimproveri

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 4/6/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

Una nonna lamenta l'eccessivo permissivismo dei padri di oggi. Che non sembrano più in grado di trasmettere ai figli il valore educativo delle regole.

"Perché non li sgridano? Perché mio figlio e mia nuora non rimproverano mai i miei adorati nipotini, una bambina di nove e un ragazzino di dodici anni, quando strillano sui vagoni ferroviari, spiaccicano sui pavimenti del cinema il resto dei gelati, si rifiutano categoricamente di usare i tovaglioli a tavola? E' vero che mio marito era uno di quei padri che preferivano giocare col figlio piuttosto che insegnarli a vivere, con conseguenti sgridate quando sbagliava. Ma a quello ci ho pensato io, e infatti il ragazzo è venuto su abbastanza bene, ha fatto quel che doveva con studi e lavoro, insomma sembrava avesse capito a cosa servono le regole. Poi si è sposato. Mia nuora dice che sono tutte formalità, che l'importante è che i bambini crescano felici. E non si accorge che, senza regole, felici non sono affatto".

Nonna Giovanna, Firenze

Cara amica, sua nuora, come lei mi scrive, "è una bravissima ragazza, ma cresciuta in un'anarchica repubblica delle donne, perché sua madre se ne era andata di casa, con le figlie, quando lei era ancora piccola, e il padre non l'ha quasi più visto". Da quest'assenza paterna, della figura cioè cui anche simbolicamente è legato il mondo della norma e della regola, ha origine la mancata conoscenza di cosa servano  norme e  regole, e quindi la loro svalutazione nell'educazione dei figli. Si tratta di un'esperienza che non affligge solo la sua famiglia ma la gran parte della generazione cresciuta negli anni 70, come si vede in qualsiasi luogo pubblico dove i bimbi impazzano alla ricerca di una sgridata e di un castigo che non arriva mai. Furono quelli gli anni in cui  "la norma" divenne una brutta parola. Per dare una giustificazione "scientifica" a questa tendenza educativa, che consisteva nel rinunciare a dare qualsiasi educazione, furono rispolverate pedagogie permissive che erano circolate fra le élites ricche d' Europa negli anni 30. Ma l'origine psicologica di questa rinuncia ad impartire la norma  era, come nel caso di sua nuora, l'assenza del padre, della figura il cui amore per i figli si esprime fornendo loro, con affetto e fermezza, le regole necessarie a vivere. Non si può trasmettere ai propri figli un'educazione e una disciplina che non si è ricevuta. La vostra vicenda familiare mostra anche la relativa fragilità di una struttura normativa trasmessa dalla madre, anziché dal padre cui il mondo simbolico della norma rimanda. Lei infatti, cara nonna Giovanna, aveva trasmesso a suo figlio (col quale il padre giocava) ottime regole di comportamento. Ma quelle norme, proprio perché trasmesse dalla madre,  non erano state integrate nell'identità maschile  del figlio (su cui si struttura poi la sua figura di padre), proprio perché provenienti da una persona dell'altro sesso. Una figura inoltre, la madre, che rimanda al mondo simbolico dell'appagamento, e non a quello della privazione, legata al padre, cui appartiene la norma. Ecco quindi che quando il figlio è entrato nella sfera affettiva di un'altra figura femminile, la moglie "senza padre", che al mondo delle regole non dava alcuna importanza, la struttura normativa che passata dalla madre si è dileguata.  Lei però, da nonna che, come mi racconta nella sua lettera, ha una sua relazione personale coi nipoti, può aiutarli a riempire quella fame di regole che manifestano. Avvicinandoli, nel vuoto educativo dei genitori, a figure che conoscano la funzione di norme e regole. Insegnanti, direttori sportivi, o spirituali; persone che abbiano qualcosa da trasmettere, e la passione di farlo.

       Claudio Risé

   

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