Se manca la guida

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 3/4/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

 

Adolescenti e violenza. Un legame non imputabile solo all'influenza dei media. Spesso creato dall'assenza di una figura paterna che insegni a gestire l'aggressività.

 

«Siamo due insegnanti. Nella risposta  del 6 marzo 2004 (Un figlio aggressivo), lei ha parlato di media incapaci di favorire l’espressione positiva dell’aggressività dei ragazzi. Noi ci confrontiamo ogni giorno con questo problema. Sotto i banchi dei ragazzi sono sempre più frequenti armi come coltelli, stellette di metallo usate nelle arti marziali, ed altre potenzialmente pericolose. Come si è visto in recenti episodi in Italia in cui giovani ne hanno ucciso altri per banalità. Tra colleghi cerchiamo di mettere in atto strategie pedagogiche adatte ma spesso ci troviamo contro grandi ostacoli, come in febbraio quando una nota rivista ha regalato un coltellino multifunzionali di acciaio a nostro parere assai pericoloso. Perché si permette che ciò accada?»

Paola e Marta, Varese

 

Care amiche, non credo che il divieto di regalare o vendere coltelli multifunzionali diminuirebbe il problema della violenza, e degli omicidi giovanili in Italia. Io quel coltellino, che molti gruppi scout forniscono in dotazione, a mio figlio l’ho regalato quando ha compiuto 8 anni. Si tratta infatti di un ottimo strumento per organizzare l’espressione positiva dell’aggressività maschile, dalla preparazione e conduzione di una gita un po’ “selvatica” nella natura, all’organizzazione di moltissimi giochi in un bosco. Tutte esperienze nelle quali i ragazzini scaricano le loro energie, aggressive, compresse sui banchi di scuola, ed imparano a farne qualcosa. Di creativo, utile, o semplicemente poetico. Come (più tardi) intagliare le parole “ti amo” in una corteccia di un albero. Che è molto meglio che fare la stessa dichiarazione cacciando lo stesso (o un altro) coltello, nella pancia di un presunto rivale in amore, coma ha fatto un ragazzo a Napoli, uccidendolo. Che un giornale destinato agli uomini regali dunque il leggendario “coltellino svizzero”, o uno simile, ai suoi lettori, mi sembra faccia parte del suo mestiere, e considererei molto grave che qualcuno glielo impedisse. Il problema, care amiche, è purtroppo più complesso che la disponibilità di coltelli, ed questione (come quasi sempre) non di divieti, ma psicologica, ed educativa. Riassumiamola così: perché quel ragazzo invece di incidere col coltello sulle cortecce dei pini di Mergellina le parole “ti amo” sotto le iniziali della ragazza, come faceva suo padre e suo nonno (e infatti le scritte sono ancora lì), ne uccide un altro che l’ha salutata senza conoscerla? Le risposte sono molte, e tutte profondamente psicologiche, ma nessuno se ne occupa, perché il quesito, considerato banale, non compare nei manuali di psicologia. La prima è che questo ragazzo (come gli altri accoltellatori casuali), è profondamente insicuro, non si sente sufficientemente uomo da potersi tenere la ragazza senza minacciare con le armi gli altri. Quest’insicurezza rimanda all’assenza di una figura paterna saggia e presente, che aiuta il figlio ad associare: “maschilità” a: “forza tranquilla”. La seconda risposta rimanda ugualmente alla figura paterna. Se un ragazzo non sa che fare di un coltello, senza far male a sé, o ad altri, è perché, a casa, nessun padre glielo ha insegnato. La violenza incontrollata negli adolescenti, come dimostrano le statistiche americane, su questo punto vaste e precise, rimanda all’assenza e sbiadimento della figura paterna, quella che insegnava ad utilizzare positivamente quell’aggressività. Il figlio di un padre assente non sa maneggiarla, e spesso finisce col rivolgerla contro di sé, o contro altri.

Claudio Risé

   

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