Poetica distrazione

Dalla rubrica  Info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 29/01/2005. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

 

La tendenza a fantasticare, tipica della personalità maschile, non va repressa negli adolescenti. Perché può costruire un più ricco rapporto con la realtà.

"Sono preoccupato per mio figlio, di 13 anni. A differenza delle sue sorelle, precise e molto concrete, è svagato, e con la testa per aria. In vacanza, può rimanere per ore ad osservare il volo degli uccelli, il movimento delle onde, e preferisce parlare di cose così, piuttosto che di uno spettacolo della tv, che guarda poco. Agli affari di famiglia (ho una piccola azienda) sembra indifferente, ma magari si perde ad osservare il colore di un muro di una cascina che va in malora. Mi ricorda in modo preoccupante mio padre, che lasciò fallire l’azienda di famiglia, tanto che io e i miei fratelli siamo stati costretti a non distrarci dalla realtà. Coma aiutarlo a tenere i piedi per terra?"

 Ivo, Treviso

Caro amico, malgrado tutti gli stereotipi correnti,  una certa vaghezza, una specie di poetica distrazione, è caratteristica specifica della psicologia maschile. Come ben sanno gli insegnanti che, da sempre,  trovano  più attente e precise le ragazze, e con la testa per aria i maschi. Le origini psicologiche di questo differente sfondo sono diverse. Una delle ragioni è comunque da vedersi nel  rapporto, diverso nei due sessi,  col corpo, che è la prima immagine della realtà materiale. Il corpo femminile è un mondo molto concreto, nel quale ciclicamente succedono un sacco di cose precise, quello maschile si manifesta con improvvise e violente pulsioni, e poi scompare  in una sorta di limbo, fino alla prossima occasione. Per questo è molto importante nel maschio sviluppare un rapporto autentico, non solo competitivo, con attività sportive: anche  per dargli una relazione più concreta e costante col proprio corpo, e quindi anche con la realtà. Lo sviluppo della concretezza nel giovane maschio, tuttavia, riuscirà tanto meglio quanto più gli si riconoscerà il diritto, ed anche il valore, di un  suo rapporto con l’astrazione, l’immaginazione, il fantasticare poetico.  In caso contrario, infatti, se cioè al ragazzo non viene riconosciuta dagli educatori, o dalla vita, il diritto a quello che uno dei più grandi matematici del secolo scorso, Gaston Bachelard, chiamava la rèverie, la fantasticheria poetica, si possono verificare due cose poco augurabili. La prima è che il ragazzino si ribelli, non riesca a trovare un suo rapporto con la realtà, e  rimanga davvero “per aria”, con tutte le difficoltà che questa situazione comporta. La seconda eventualità è che il giovane maschio finisca col considerare davvero un male il suo rapporto con la fantasia o l’immaginazione, e col chiudersi in una specie di “realismo ad oltranza”, che diventa poi una gabbia affettiva, ed immaginativa. Oltre che fonte di possibili depressioni. Qualcosa del genere è forse, del resto, accaduto a lei e ai suoi fratelli che, incalzati dalla dura realtà e spaventati dai risultati dell’esempio paterno, avete finito, come lei mi racconta nella sua lettera, col perdere ogni contatto con quella ricca (anche se non priva di rischi), dimensione. L’addestramento di un giovane uomo deve invece da una parte “radicarlo” sviluppando il suo rapporto col corpo e con la natura. Dall’altro valorizzare la  sua tendenza all’astrazione, il suo perdersi dietro il volo degli uccelli. Che, oltre ad   alimentare la propria funzione poetica, è stato ad esempio, all’origine di  gran parte  dell’astronomia. La vaghezza maschile è, infatti, da sempre, uno dei principali nutrimenti della scienza, che scopre grandi cose proprio quando osa, con aria svagata, avventurarsi in territori inesplorati, e apparentemente inutili. 

Claudio Risé 

  

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