Nominare l'amore

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 10/12/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

 

Molti giovani uomini non riescono a trasformare un'amicizia sentimentale in una vera relazione. Perché riconoscere la forza dei sentimenti può fare paura.

"Sono uno studente universitario arrivato al suo primo quarto di secolo. In  tre anni di studio  comune si è  creata una compagnia di amici  coi quali, oltre a studiare, ci divertiamo  in tantissimi modi e ciò é magnifico. Con una persona poi, (femmina), si è creato un rapporto più stretto, oltre ad un certo feeling che però si é sempre fermato all'amicizia pura. Soffro perché spesso capita di uscire, con coppie ufficiali, mentre la nostra rimane virtuale. Le chiedo un parere di tipo "statistico". Nella sua attività ha incontrato situazioni simili alla mia e che  conclusione hanno avuto?"

 

Aspirante Avvocato, Reggio Emilia

 

Caro amico, la sua domanda è interessante, anche perché molto frequente. Sono molti, infatti,  i giovani maschi che si trovano, magari da anni, in un'amicizia sentimentale che vorrebbero si trasformasse in un rapporto più esplicito, senza però prendere le iniziative necessarie per produrre questo cambiamento. E' una reticenza fatta da molti aspetti, diversi, che la sua lettera ci permette di osservare. Prima di tutto c'è una specie di imbarazzo a chiamare le cose col proprio nome. Soprattutto (e ciò è molto significativo se pensiamo che veniamo da decenni di conclamata "liberazione sessuale"), se si tratta di cose attinenti al sesso. Non è un caso se moltissimi giovani , come lei, parlano di "persone" con le quali hanno relazioni, specificando poi solo in seconda battuta, e non sempre, se si tratta di maschi o di femmine. E' come se un vocabolario (ma dunque anche uno stile di relazione), tendenzialmente neutro, ingabbiasse, ed edulcorasse, relazioni che invece hanno una loro precisa specificità: quella di essere rapporti tra maschi e femmine. Insomma la differenza fa paura. Così come fa paura il sentimento. Nella sua lettera lei mi parla del suo desiderio di diventare, assieme alla sua amica, una "coppia ufficiale", come le altre, e non solo "virtuale", come siete voi. Ma non mi parla di amore, di attrazione: la parola più forte che usa è "feeling". E' delicatezza, certo, ma a me dà l'impressione che sia dietro anche un grande timore dei sentimenti "forti" che una relazione con una donna può scatenare. La mitologia vi allude parlando del "vaso" che la bella Pandora potrebbe aprire, lasciandone uscire meraviglie, ma anche tempeste   e forti turbamenti. Così, quello che qui appare, è soprattutto una questione di status: come se lei volesse uscire dalla condizione di single, ed entrare nell'ambìto gruppo degli "accoppiati". Ho tuttavia l'impressione che "sotto" ci siano sentimenti ed emozioni. Di cui però lei, come moltissimi suoi coetanei, non parla. Non lo fa con me, ma neppure con se stesso. Come se preferisse, in tono con lo stile del suo tempo, darsi una rappresentazione "debole" di ciò che sente, perché i sentimenti forti sono così "politicamente scorretti" da essere diventati quasi indicibili. Il guaio è, però, che decisioni forti, come la costruzione di una coppia, se possibile con una sua solidità, richiedono sentimenti forti. Che vanno riconosciuti e dichiarati, perché qualcosa accada. Infatti, caro amico, una risposta "statistica" a come evolvono relazioni come la sua ce l'ho, ed è questa. Se l'uomo non riconosce i suoi sentimenti profondi, non chiama le cose coi loro eterni nomi, amore, desiderio, progetto, non succede assolutamente nulla. La cosa si trascina, prima elegantemente, poi sempre più stancamente, fino a quando finisce. Perché la donna ha trovato un altro, che ha chiamato le cose col loro nome, si è dichiarato, e l'ha presa.

 

Claudio Risé

   

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