Il vuoto dentro

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 23/10/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

Incapaci di reggere le critiche, distrutti dalle frustrazioni. La fragilità di molti "figli senza padri" può essere superata appoggiandosi a figure maschili forti.

"A 3O anni sono felicemente sposato e padre di due bei pargoletti. Eppure non va bene. Sono collaboratore di un importante studio legale, con un capo bravissimo e severo.  Per me è un calvario. Ogni critica mi distrugge dentro, e sempre più spesso dubito delle mie capacità. Non posso mollare per la responsabilità che ho verso la mia famiglia.  Davanti ad una difficoltà cerco dentro di me l'immagine  di un padre forte e sorridente, che non trovo. Il mio è mancato che avevo 20 anni. Ma in realtà non c'è mai stato: fallita la sua vita professionale si è chiuso in sé stesso amareggiando la vita di tutta la famiglia. Per anni l'ho odiato, poi ho capito il suo dramma, e l'ho perdonato. Temo che il problema sia qui: io che sono un senza padre, posso guarire da questa mancanza? posso essere felice?  posso essere un buon padre?"

Giacomo, Vicenza

Caro amico, la sua lettera è rappresentativa di quelle scritte da tanti altri giovani uomini, che raccontano storie come la sua. Il padre è assente, separato dalla vita familiare, e a volte addirittura muore, o se ne va. Più tardi il figlio, che ricorda il diffuso rancore verso di lui, si scopre fragile, incapace di reggere le frustrazioni, le critiche. Cerca un padre dentro di sé, ma non sempre riesce a trovarlo. Lei stesso collega la sua scarsa fiducia in sé, e, soprattutto, la sua fatica nel reggere frustrazioni e critiche, all'inconsistenza della relazione con suo padre. La figura paterna è infatti quella che, se svolge correttamente le proprie funzioni, allena il giovane al confronto con le ferite narcisistiche, e le frustrazioni, e l'aiuta a vederne il senso. Che è, naturalmente, quello di individuare i propri aspetti deboli, per trasformarli, attraverso l'educazione, la volontà, lo studio, in tranquilli punti di forza. Un padre assente, chiuso in sé stesso, insicuro, non può donare tranquillità e sicurezza, perché non le possiede dentro di sé. E il figlio senza padre non possiede questo "sapere della ferita", perché nessun padre (la figura simbolicamente preposta a questa funzione), gli ha insegnato come farne un punto di forza della personalità. Come lei dice nella sua lettera :"ogni errore sottolineato mi devasta." Che fare dunque? Lei cerca di affrontare la situazione evocando dentro di sé un padre forte e buono, che però non riesce a trovare. Io credo che quest'operazione le diventerà più facile quando lei accetterà anche le figure paterne forti (e non sempre, necessariamente, "buone") che trova attorno a sé, nella vita. Ad esempio, il suo capo. Lei stesso riconosce che è molto bravo. Ma non riesce a non sentirsi devastato dai suoi rimproveri e critiche. Ma questo è ciò che capita anche ai figli che hanno un padre bravo e brillante. Il quale, in fondo, coi suoi rimproveri cerca spesso di insegnare loro qualcosa, spesso di molto importante per il  proseguo della vita. Cerca di spingerli a non giustificare i propri aspetti mediocri, a  chiedersi di più, perché così diventeranno più tranquillamente sicuri di sé. E' proprio questa, la "ferita" paterna, rispetto alla meno esigente accoglienza materna. Ma si tratta di una ferita che fonda e costituisce aspetti importanti della personalità. Certo, quando la relazione col padre non è stata affettivamente ricca, è difficile poi accettare la stessa esperienza, frustrante, in una situazione fredda e asettica. Potrebbe essere utile però ricordare che in quel momento il capo "cattivo" è un padre che si sta prendendo cura di noi, per farci crescere e diventare più forti.

Claudio Risé

   

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