Un figlio aggressivo

Dalla rubrica  Info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 06/03/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

 

No alle "violenze stupide", comprese quelle in tv. Via libera ai giochi di forza e alla pratica sportiva. Così si aiutano i bambini a controllare gli impulsi negativi.

«Concordo col suo apprezzamento per film come "Master and Commander" (Io Donna, del 7 febbraio 2004) che propongono un maschile forte e leale, e riconoscono la funzione dell’aggressività. Io ho a che fare con l’aggressività di mio figlio, di sei anni. Mio marito ed io l’abbiamo adottato otto mesi fa. Il bimbo ha sofferto due abbandoni: il primo alla nascita, in un istituto in Romania, ed il secondo dopo un’adozione fallita. E' naturale che un bambino con questa storia sia aggressivo e talvolta violento. Ma noi siamo in difficoltà. Amici che vivono esperienze adottive ci stanno vicino, ma lui spiazza regolarmente ogni metodo applicato. Come incanalare questa aggressività nella direzione giusta, tenendo sempre presente il bene del bambino e anche il nostro di genitori, per non "scoppiare"?»

Martina La Rosa – Scandicci

 

Cara amica, il primo sforzo mi sembra quello di togliere di mezzo, da casa, qualsiasi elemento di aggressività “stupida”, quella non riconducibile alla realizzazione di un programma di vita dotato di senso, ma semplice residuo del nervosismo di un costume collettivo abbastanza insensato. Non si tratta solo di possibili tensioni tra voi genitori, ma anche di quelle rovesciate in ogni casa dai media, la televisione per esempio, notiziari compresi. Esibizioni, e ondate di aggressività, tanto più intossicanti, quanto meno riconducibili a un senso alto del conflitto. Tutto ciò raggiunge i nostri bambini (in particolare quelli sopravvissuti a situazioni difficili e violente), provoca in loro un timore profondo, ed eccita in loro un nervosismo fine a sé stesso. E’ del resto questo, nel film che lei cita, il senso del codice militare: togliere di mezzo l’aggressività caotica e distruttiva, per dirigere le forze sugli obiettivi proposti. E qui arriviamo al punto più complesso: quello dell’educazione, e dei suoi obiettivi. Oggi noi dobbiamo ricostituire per i nostri figli un’educazione unitaria, in cui all’aspetto del conflitto, e all’aggressività necessaria per superarlo, sia restituita quella piena dignità che le è stata tolta dalla pedagogia “buonista”, psicologicamente unilaterale, che ha conosciuto la sua massima popolarità dagli anni ‘70, alla fine del secolo. Occorre che ai bambini e ragazzi sia consentito imparare e giocare non solo in modo dolce, e passivo, ma anche in modo forte, e affermativo. L’esempio più evidente è quello del bando ai “giocattoli di guerra”, lanciato appunto dalla pedagogia del “bimbo buono” a partire dagli anni ‘70. Questi giocattoli, infatti, sviluppano specifiche capacità, come la mira, l’attenzione e la concentrazione, la capacità di alternare il rumore e frastuono dell’attacco, al silenzio e al nascondersi dall’agguato. Si tratta di tutto un sapere psicologico che parte dalla pura istintività per sviluppare aspetti valutativi e cognitivi destinati a rafforzare la sicurezza del bambino, la sua capacità di entrare in relazione con gli altri, e con la loro aggressività, e la sua stessa concentrazione. Che é il punto debole dei bimbi di oggi, anche per l’effetto devastante di una TV (quasi) sempre accesa, in casa. Il grande terreno di espressione positiva dell’aggressività è però rappresentato dagli sport, e dalla relazione con la natura, più incontaminata e selvaggia è, meglio é. Qui l’aiuto di gruppi come gli scout, ma soprattutto una famiglia che si impegni a fornire ai bimbi queste esperienze profondamente formative, anche dal punto di vista spirituale, possono giocare la partita decisiva per rivolgere positivamente la spinta aggressiva dei figli.

Claudio Risé

 

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