Deficit di aggressività        

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 20/01/07. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

   

"A più di trent'anni, evito ogni scontro. Se non riesco, sono  bloccato dalla paura di essere sopraffatto dagli altri uomini, o di poter eccedere nella reazione. Poi rimugino sulla mia inadeguatezza. Forse qualche scazzottata da piccolo mi avrebbe fatto vivere con più equilibrio questi momenti. Volevo fare arti marziali, ma il medico me l'ha sconsigliato, a causa di una lesione  dopo un incidente. Come fare?"

Renato, Como

Caro amico, penso che lei abbia ragione nel non voler accettare il suo blocco nei confronti di qualsiasi manifestazione di aggressività. Questa spinta, che è poi quella che ti spinge verso l’altro, nella ricerca di un incontro (che può anche rivelarsi uno scontro), è molto importante nella psiche dell’uomo, la sua mancanza lo rende infelice. La sua lettera racconta come le radici di questo deficit di aggressività affondino nella biografia infantile e adolescenziale. Un’infanzia, la sua come quella  di tanti altri uomini, troppo “riparata”, sotto l’attenzione vigile di una madre ansiosa e iperprotettiva, preoccupata  di tenerla il più possibile lontano dai “cattivi ragazzi”, quelli che appunto giocavano e si scazzottavano nella sua via. Allora si sviluppò la prima separazione dal collettivo maschile, e dal mondo dei pari, dei coetanei, all’ombra della quale è cresciuta quell’altra, che le dà fastidio oggi, nel mondo del lavoro e della vita quotidiana, dove dobbiamo essere pronti a mettere in campo l’aggressività necessaria, per rispondere a quella degli altri.  Lei, come quasi tutti oggi, non è stato allenato da un padre a misurarsi con l’aggressività non solo degli altri, ma anche delle cose (degli elementi naturali, ad esempio, con i quali anche occorre saper lottare). Da qui è nata la sua  tendenza a fermarsi di fronte all’attacco, immobilizzato dalla paura. Una situazione che minaccia di erodere la sua autostima: per questo lei rimugina sull’inadeguatezza delle sue risposte agli attacchi. Il suo senso di sé ha fame di risposte adeguate, proporzionate e non vili. Lei è un uomo giovane, ed ha tutto il tempo di trovare quelle risposte. Le arti marziali rappresentano certamente una forte tradizione di educazione e sviluppo dell’aggressività, che oltre alle note forme dure, conoscono anche percorsi più dolci (come il Thai Chi, ma non solo), di solito praticabili (magari accompagnandoli con una fisioterapia) anche dopo traumi fisici. L’importante è rivolgersi a maestri effettivamente formati all’interno della tradizione, e non ad iniziative puramente commerciali. Un’attività preziosa per lo sviluppo e l’addestramento dell’aggressività è anche la scultura sulla pietra che, come ricordava il filosofo e matematico Gaston Bachelard, con la sua durezza sfida la nostra passività e le nostre paure. Come, del resto, ogni attività che ci metta contatto con una natura non troppo manipolata: per esempio, la manutenzione di un bosco. I problemi di aggressività si superano con la mente, ma soprattutto con le mani. Che non abbiamo impegnato con sufficiente forza da ragazzini.

Claudio Risé

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