Beato tra le donne?

Dalla rubrica  Info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 22/01/2005. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

 

Lavorare in un ambiente a prevalenza femminile può far emergere la mancanza di un rapporto simbolico con il maschile. Che va cercato in se stessi. 

 

"Ho 26 anni e nessuna relazione stabile. Lavoro in ospedale come infermiere a fianco di nove colleghe, tutte donne. Mi capita di sentirmi a disagio quando, soprattutto durante la pausa caffè, mi rendo conto di essere l'unico uomo in questo universo femminile. Alcune delle mie compagne di turno non perdono occasione per prendermi in giro. Mi trattano come un poverino incapace di reggere la parte, che si imbarazza di fronte alla minima provocazione. Credo che in fondo non abbiano grande stima di me come maschio. Questa situazione mi pesa anche perché le ragazze calcano un po' troppo spesso la mano. Mi piacerebbe cambiare lavoro sia per essere meno accerchiato da donne, sia per poter avere contatti con altri uomini. E assorbire così la loro maschilità".

Lettera firmata   

Caro amico, lettere simili alla sua arrivano dai molti campi in cui la presenza femminile è ormai dominante. Quindi, oltre che da numerose professioni d'aiuto come la sua, dalla scuola, da certi settori del commercio e persino della magistratura. L'uomo insicuro nel rapporto con le donne è in questi casi rapidamente smascherato e sottoposto a trattamenti derisori più o meno pesanti. Che, rivolti a donne, farebbero parlare di abuso o di mobbing, mentre invece, diretti a un maschio, sembrano leciti e difficilmente danno luogo a interventi di dissuasione da parte dei superiori. Anche perché il maschio li vive con vergogna, come una manifestazione di inferiorità verso le colleghe, e si guarda bene dal denunciarli. Il cambiare attività, spostandosi in un campo di lavoro in cui è maggiore la presenza maschile, può essere una soluzione. Spesso infatti questa insicurezza con le donne non nasce da relazioni troppo scarse con il mondo femminile, ma da un rapporto troppo evanescente con il campo maschile. Di cui non è stato assorbito il sapere, in particolare quello della relazione con la donna. Molte delle lettere che segnalano il suo stesso problema parlano di padri assenti, o svalutanti, che non hanno mai fatto sentire i figli partecipi della comunità maschile. O di madri possessive e invadenti che li hanno separati dai padri o dagli altri maschi. È proprio la mancanza del "male bond", del legame con gli altri uomini, che mette in difficoltà di fronte a un gruppo femminile aggressivo e poco sensibile. In assenza di questo legame simbolico, ci si sente soli e abbandonati, incapaci di relazionarsi "da uomini" con l'altro sesso. Bisogna essere consapevoli però che il vero problema è la mancanza di questo rapporto simbolico, non la preponderanza numerica femminile nei vari campi di lavoro. Senza questa consapevolezza, anche un'eventuale migrazione in un settore a maggiore presenza maschile rischia di servire a poco. I colleghi uomini non sono sempre necessariamente forniti di quella maschilità di cui lei vuole "impregnarsi", anche per poter affrontare con maggiore disinvoltura il confronto con la donna. Anche il mondo maschile può essere dominato dalla competizione e dalla svalutazione dell'altro uomo, misurato proprio in base all'abilità nella relazione con la donna. Non è dunque la preponderanza numerica di uomini a creare automaticamente un ambiente "da uomini", ma l'esistenza di un rapporto di solidarietà e apprezzamento che nasce dalla consapevolezza e condivisione degli aspetti positivi del mondo e della cultura maschile. Un percorso complesso che gli uomini vanno per fortuna compiendo.

Claudio Risé 

  

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