LA TRAVAGLIATA STORIA DELL'ORGANO DELLA CATTEDRALE DI ORVIETO
di GRAZIANO FRONZUTO
Carissimo Giuseppe,
non volevo parlare di questo strumento perché mi suscita grande commozione; alla fine mi ha convinto la tua solerte insistenza. Però prima dell’organo devo parlarti della Cattedrale e devo farlo con grande amarezza poiché in questa grandiosa chiesa in pochi anni (tra il 1877 e il 1910) furono distrutti 3 secoli interi di Storia, Arte e Fede.
La Cattedrale di Orvieto è uno dei massimi monumenti mai realizzati, senza pari nel mondo e senza alcun dubbio una delle più alte vette artistiche mai raggiunte dall’uomo. Merita un doveroso cenno, anche se per ogni approfondimento non si può che rimandare alla sterminata bibliografia esistente.
La decisione di innalzare un Tempio così imponente risale alla fine del XIII sec., quando la città di Orvieto aveva raggiunto uno stato di particolare floridezza artistica ed economica. Il piano generale dell’opera fu concordato dalle massime autorità civili e religiose con un importante architetto. Secondo tradizione ma anche secondo la critica corrente, tale architetto era Arnolfo di Cambio (che aveva appena realizzato il monumento funebre al Cardinale Brahe nella chiesa di S. Domenico nella stessa città). Dopo l’entusiasmo iniziale, per molti anni i lavori furono alquanto incerti a causa di innumerevoli difficoltà tecniche (le enormi dimensioni dell’edificio) e geologiche (la “rupe di Orvieto” è tuttora uno dei siti geologicamente più complessi d’Italia, e la Cattedrale sorge su uno spazio scenograficamente incomparabile, ma proprio vicino a uno dei cigli più scoscesi!). [Ved. Foto 1]
Così venne chiamato il geniale architetto Lorenzo Maitani (Siena, 1275 – Orvieto, 1330) a risolvere la questione. Egli volle pieni poteri (e infatti fu nominato “universalis caput magister”) e nessuna interferenza sulle sue scelte tecniche ed artistiche. Diresse i lavori fino alla morte ed eseguì di propria mano anche molte sculture (soprattutto quelle della facciata), e fu anche chiamato come consulente super partes per la realizzazione di importanti edifici (Castello di Montefalco, Castiglione del Lago, Duomo di Perugia, Duomo di Siena ecc.). I risultati raggiunti da questo autentico Maestro sono tuttora sotto gli occhi di tutti.
[Ved. Foto 2]
E’ noto che Lorenzo Maitani aveva anche eseguito alcune dettagliatissime tavole di progetto della facciata, in perfetta scala, due delle quali sono miracolosamente sopravvissute fino ai nostri giorni e sono conservate nella Biblioteca di Orvieto: sono i due disegni architettonici più antichi esistenti in Italia!
Alla fine del XIV sec. la Cattedrale poteva dirsi architettonicamente completa: a volte la si è paragonata a quella di Siena (anche perché Maitani fu chiamato a dare le sue geniali consulenze anche lì), ma le dimensioni effettive della Cattedrale di Orvieto sono praticamente doppie sia in larghezza sia in lunghezza che in altezza rispetto a quella di Siena! Inoltre la Cattedrale di Orvieto, grazie alla sua posizione geologicamente difficile ma scenograficamente insuperabile, si distingue nettamente anche a diverse decine di chilometri di distanza!
Nel frattempo, si decise di arricchire l’interno con opere d’arte di prim’ordine, ed in particolare le due grandi cappelle ai lati dei transetti. Per affrescarle furono chiamati i massimi pittori del tempo: il Beato Angelico, Benozzo Gozzoli, Filippo Lippi e, a partire dal 1503, Luca Signorelli per la cappella del Sacro Corporale (cioè le reliquie del cosiddetto Miracolo di Bolsena), nel transetto sinistro (egli “firmò” l’opera con il proprio autoritratto, a figura intera, ritraendosi a fianco ad un frate domenicano che, secondo tradizione, dovrebbe essere proprio il Beato Angelico). Nel 1525 il grande artista veneto Michele Sammicheli fu chiamato per vari interventi architettonici nel complesso monumentale.
Ma l’opera decorativa non finì qui, anzi!
Fu il Cardinale Gerolamo Simoncelli, vescovo di Orvieto e nipote di papa Giulio III del Monte, a decidere un poderoso intervento di decorazione che iniziò nel 1556 e si protrasse per i due secoli successivi. Anche stavolta fu scelto un geniale architetto: Ippolito Scalza (Orvieto, 1532–1617) coadiuvato dai figli Vico (scultore) e Francesco (pittore e mosaicista). Ippolito Scalza (che, secondo una verosimile tradizione, era allievo del grande Giorgio Vasari) decise di rispettare l’architettura di Lorenzo Maitani e si preoccupò soltanto di realizzare una serie di cappelle con statue, dipinti, altari e preziose decorazioni architettoniche in stucco e marmi preziosi. Chiamò numerosi altri artisti, tra cui molti pittori: da ricordare almeno i fratelli Zuccari e Cesare Nebbia (Orvieto, 1535–1614). L’organo fu realizzato in forme a dir poco grandiose a partire dal 1580 e fu terminato nel 1588, con cassa e cantoria disegnate appunto da Ippolito Scalza e decorate da Cesare Nebbia, come vedremo in seguito.
La Cattedrale divenne così un armonico insieme di secoli di Storia, Arte e Fede. Non a caso a partire dal XVI sec. essa vanta un singolare record: è l’opera d’arte maggiormente immortalata: infatti è divenuta a sua volta soggetto di altre opere d’arte (dipinti, incisioni, vedute, scorci: insomma sembra proprio che i più grandi pittori di ogni tempo si siano deliziati nel fare il ritratto a questa autentica bellezza artistica!).
Anche l’interno appare in numerosi dipinti ed incisioni: le due immagini allegate [Ved. Foto 3 e Foto 4], riproducono stampe del XVIII sec. attribuite a Giovan Paolo Pannini. Tutto ciò fa capire come sia impossibile classificare questa chiesa secondo uno stile predefinito (per es. romanico, gotico, ecc.): la Cattedrale di Orvieto ha uno stile unico, complesso, secolare: uno stile che si può definire Orvietano a tutti gli effetti.
Ma, nel 1877, fu presa una decisione a dir poco scellerata e criminale: distruggere l’evoluzione storica della Cattedrale, cancellando tutto quanto era stato realizzato tra il 1566 e il 1870! Da ricordare – a parziale attenuante – che tale mentalità ha contraddistinto la maggior parte dei restauri compiuti su antichi monumenti italiani dall’Unità d’Italia in poi. Solo negli ultimi anni c’è stata una decisa inversione di tendenza e nei restauri si rispetta l’intera evoluzione storica di un monumento, senza mai cancellarne le tracce.
A Orvieto, molti furono i responsabili dei restauri, ma soprattutto vanno ricordati lo storico Luigi Fumi e l’architetto Paolo Zampi, che, secondo i primi critici (tra cui il prof. Piccolomini Adami sin dal 1883), furono la mente e il braccio dell’operazione di “pulizia architettonica” (e di fatto anche pulizia etnica).
Per capire bene che cosa hanno fatto questi furiosi distruttori, bisogna avere la competenza e la forza icastica dei massimi storici dell’arte. Ecco due testimonianze talmente autorevoli da non lasciare dubbi:
Federico Zeri: nella Cattedrale di Orvieto il “post quem” da annientare fu il periodo tra il Cinquecento ed il Settecento […] stucchi ed affreschi vennero spietatamente annientati, con l’unico beneficio di trovare al di sotto gli avanzi frammentari di qualche intonaco dipinto tre e quattrocentesco, quel tipo di reperti cioè che fa sobbalzare di gioia certi “storici dell’arte”, ma che in nessun caso può ricompensarci dei solenni complessi stupidamente vanificati. [Federico Zeri, Orto aperto, 1990.]
Alberto Satolli: Solo qualche voce isolata si levò contro lo scempio e restò inascoltata, a denunciare un arbitrio commesso da pochi ai danni di un patrimonio comune [Alberto Satolli, Orvieto, 1999]
I “lavori di piccone” finirono nel 1910 circa, risparmiando qualche quadro e qualche statua (che finirono in deposito nel Palazzo Vescovile, o sul mercato d’antiquariato) e una sola opera di Ippolito Scalza: l’Organo!
Per questo motivo, entrando oggi nella Cattedrale di Orvieto si ha l’impressione nettissima di essere sì al cospetto di una grande bellezza artistica, ma, ahimè nuda e spoglia non per propria volontà ma per violenza altrui!
[Ved. Foto 5]
Tutta questa lunga premessa era necessaria per comprendere la storia dell’organo.
Torniamo al 1588, anno in cui fu terminato l’organo. Ippolito Scalza disegnò la cantoria e la cassa dell’organo, decidendo di collocarlo sulla parete fondale del transetto sinistro, sopra la Cappella del Sacro Corporale.
[Ved. Foto 6]
La collocazione sacrificava un finestrone, è vero, ma sembra che alcune crepe lungo la parete esterna avessero obbligato l’architetto a murarlo. Perciò tanto valeva fare di necessità virtù: visto che si doveva per forza chiudere il finestrone, conveniva valorizzare la parete interna con qualcosa di estremamente importante.
Ippolito Scalza conosceva bene gli organi toscani ed in particolare quelli disegnati da Giorgio Vasari [suo presunto o presumibile maestro]: Santa Croce a Firenze, Badia Fiorentina, Santo Stefano de’ Cavalieri a Pisa ecc., ma conosceva evidentemente anche i trattati degli architetti veneti Andrea Palladio e soprattutto Sebastiano Serlio. Così reinterpretò in modo assolutamente rivoluzionario la cassa vasariana [rettangolare alla toscana] fondendola –per la prima volta, a quanto se ne sa– con la cassa serliana [arco al centro tra due architravi]. Le imponenti dimensioni, tali cioè da consentire la collocazione di un organo di 24’, fecero il resto! Questo strumento influenzò la costruzione di molti altri tra cui quello di S. Giovanni in Laterano a Roma (1598, organo di Luca Biagi in cassa disegnata da Giovan Battista Montano) e quello di S. Domenico a Perugia (1625 ca., organo di Luca Neri in cassa disegnata da Carlo Maderno), che comunque non sembrano tanto moderni e rivoluzionari quanto questo.
Per la costruzione della parte fonica fu chiamato l’organaro toscano Domenico Palmieri da Colle Val d’Elsa, che però morì nel 1587, perciò l’organo fu terminato da Vincenzo Fulgenzi detto “il Fiammingo” (poiché era d’origine olandese), il quale introdusse alcuni registri particolarmente rivoluzionari (a quanto pare ad ancia ed anche ondulanti, all’epoca inesistenti in Italia centrale, come “Vox Tauri” e “Vox Pueri”, come riporta lo studioso inglese Julian Rhodes, scomparso prematuramente pochi anni fa).
Non si conosce con certezza la disposizione fonica di quest’organo, ma –a parte i registri del Fulgenzi– doveva essere costituita da un ripieno con base 24’ con flauti e i registri “rivoluzionari” del Fulgenzi. In pratica, per avere un’idea, si può fare riferimento alla disposizione fonica della tastiera principale dell’organo di Luca Biagi in S. Giovanni in Laterano, tuttora esistente.
Su quest’organo intervennero vari organari:
– 1625 Giulio Cesare Burzio
membro della nobile famiglia parmense chiamata anche Burcio o de Burtii (con tale cognome lo ricorda Giuseppe Serassi nelle sue Lettere sugli Organi del 1816), realizzò alcuni organi di particolare importanza, ma a Parma pare che ne fece solo uno: l’organo a due tastiere per la chiesa del S. Sepolcro. Nel 1612 si trovava a Roma, dove restaurò e ampliò un organo proveniente dal santuario di S. Maria della Quercia di Viterbo e destinato alla chiesa di S. Giovanni Battista a Bagnara. Nel 1625 restaurò l'organo del duomo di Orvieto; nel 1632 stipulò un contratto con Domenico Falisco , governatore della confraternita del SS Sacramento della chiesa di S. Vittore a Vallerano, presso Viterbo, per collocarvi, dopo radicale rifacimento, un sontuoso organo proveniente dal monastero della Duchessa di Viterbo. Da un rogito sappiamo poi che nel 1635 doveva costruire un organo per il santuario della Vergine del Ruscello a Vallerano, strumento che fu consegnato soltanto nel 1644, in quanto il Burzio aveva avuto altri impegni a Roma: fu rifatto nel 1861, e di originale è restata solo la cassa. Tra il 1638 e il 1641 aveva realizzato un organo eccezionale: quello a due tastiere in cornu epistolae della chiesa di S. Lorenzo in Damaso a Roma.
– 1674 Wilhelm Hermans e Tommaso Roccatagliata
l’organaro olandese che, com’è noto, era un Gesuita, aveva avuto modo di conoscere il giovane Roccatagliata (Santa Margherita Ligure, 1647–1735) a Genova, dove era stato suo dipendente nella costruzione dei grandi organi della Basilica di Santa Maria di Carignano e della chiesa del Gesù. I due organari riparano l’organo maggiore e realizzano un altro organo, probabilmente un positivo, sopravvissuto fino alla fine del XIX sec.
Inoltre, essi realizzano un altro organo per la chiesa dei SS. Apostoli Filippo e Giacomo (officiata dai pp. Gesuiti a partire dal 1622, poi assegnata al Seminario Vescovile) che è esistito fino agli anni ’80 [del XX sec.], quando fu smontato e collocato in un vano protetto, grazie all’interessamento del m.o Van De Pol, per tutelarlo dall’acqua piovana (purtroppo, quando hanno avuto inizio i lavori di restauro della chiesa, i resti dell’organo sono spariti molto probabilmente sommersi da calcinacci e con essi gettati via).
– 1718 Cristoforo Fontana
Tra le opere principali del Fontana ricordiamo l’organo di S. Nicolò a Collescipoli, chiesa a poche centinaia di metri da quell’altra più famosa dov’è conservato lo strumento di Hermans.
– XVIII sec. e prima metà del XIX sec.
La manutenzione fu tenuta da organari Umbri (soprattutto i Morettini di Perugia ed i Fedeli di Foligno).
– 1857 Odoardo Landucci
Organaro nativo di Viareggio, si distinse per l’audacia delle innovazioni e per l’attenzione alle conquiste tecniche d'oltralpe, applicate in due grossi organi a due manuali (uno nel Duomo di Pietrasanta, tuttora esistente e di particolare bellezza; un altro nella chiesa di S. Giovanni a Pisa). Chiamato a riparare il Grande Organo del Duomo di Orvieto (1857), vi applicò –primo caso in Italia– la trasmissione con leva Barker. Per l’occasione, fu anche scritto un volumetto (oggi introvabile) che descrive lo strumento a seguito dei lavori [Piccolomini, T. L’organo grande del Duomo di Orvieto Orvieto, 1857].
– 1911 Carlo Vegezzi–Bossi
Per trasformare l’organo in senso moderno, si decise di intervenire rinnovando i somieri e le trasmissioni, ma conservando il nucleo antico delle canne dei secoli precedenti. Si ebbe la lungimiranza di convocare il miglior organaro dell’epoca che riuscì nell’intento. L’estensione fu completata verso il basso (dal Fa al Do), anche nei registri più gravi, che furono rispettati: il Principale 24’ della Mostra fu completato sia cromaticamente (con due canne di legno) sia verso il basso (con l’aggiunta di 5 canne di legno, fino al 32’), mentre l’Ottava 12’ fu traslata di un tono e andò a costituire la Quinta 10’2/3’ reale del pedale (queste antiche canne, pesanti e di forte spessore, sono pressocché integralmente in piombo). Fu aggiunto un corpo d’organo espressivo, collocato nella parte più alta della cassa. L’estensione divenne di 58 note per ciascuna tastiera e di 30 note per la pedaliera. Per contenere i registri del nuovo strumento, fu necessario aumentare lo spessore della cassa, traslando la mostra verso l’esterno fino all’attuale distanza di essa dal muro fondale (cosa che produce un effetto ottico di esuberanza della Cassa stessa rispetto alla cantoria e quindi al transetto della Chiesa). Ecco la disposizione fonica:
I
Manuale – Grand’Organo
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II
Manuale – Espressivo
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– Principale 16’ – Principale Diapason 8’ – Principale II 8’ – Ottava I forte 4’ – Ottava II media 4’ – Decimaquinta 2’ – Ripieno 10 file 5’1/3’ – Ripieno 8 file – Bordone 8’ – Flauto Trasversiere 8’ – Flauto Armonico 4’ – Cornetto 5 file – Dulciana 8’
–
Unda Maris
8’
–
Gamba
8’ – Tromba 16’ – Tuba Mirabilis 16’ – Tromba Reale 8’ – Clarinetto 8’ – Trombina 4’ |
– Principale 8’ – Ottava 4’ – Ripieno 5 file – Bordone 16’ – Bordone 8’ – Flauto di Concerto 8’ – Quintante 8’ – Flauto Ottaviante 4’ – Flautino Ottaviante 2’ – Salicionale 8’ – Viola da Gamba 8’ – Viola Celeste 8’ – Concerto Viole 4 file 8’ – Oboe 8’ – Violoncello (ancia) 8’ – Tromba Armonica 4’ – Voce corale 8’ – Tremolo |
Pedale
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Accessori
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– Principale 32’ – Contrabasso 16’ – Quinta 10’2/3’ – Ottava 8’ – Prestante 4’ – Subbasso 16’ – Flauto 8’ – Violone 16’ – Violoncello 8’ – Bombarda 16’ |
Unioni di tasto e di ottava [tutte le unioni e le superottave] Combinazione Libera Combinazioni Fisse Pedaletti di Richiamo Unioni Staffa Crescendo generale Staffa Espressione II Man. |
– 1974: il Grande Organo attuale
Accedendo nel Coro della Cattedrale, sotto gli splendidi affreschi rinascimentali e davanti ai seggi corali cinquecenteschi, si nota la monumentale consolle dell’organo, realizzata nel 1974. Aprendo la ribaltina, appare un grandioso organo moderno a tre tastiere, dotato di tutti i ritrovati tecnici di quegli anni e soprattutto un enorme numero di registri. Cioè quanto si trova in moltissime altre Cattedrali, non solo d’Italia ma un po’ dovunque.
Sulla consolle, il nome dell’organaro cui si deve tale sistemazione dell’organo: Libero Rino Pinchi, e l’anno: 1974
come rilevati in loco nel luglio 1988, grazie alla cortesia di Mons. Eraldo Rosatelli
II
Manuale – Grand’Organo
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I
Manuale – Positivo [aperto]
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1 Principale 16’ 2 Principale Diapason 8’ 3 Principale II 8’ 4 Ottava I 4’ 5 Ottava II 4’ 6 XV 2’ 7 Ripieno 10 file 8 Ripieno 8 file 9 Flauto Traverso 8’ 10 Bordone 8’ 11 Flauto Armonico 4’ 12 Cornetto 5 file 13 Viola 8’ 14 Dulciana 8’
15
Unda Maris
8’
16
Tromba
16’ 17 Tromba 8’ 18 Tuba Mirabilis 8’ 19 Clarinetto 8’ 20 Clarino 4’ |
21 Principale 8’ 22 Ottava 4’ 23 XV 4’ 24 XIX – XXII 25 Ripieno 4 file 26 Sesquialtera 2 file 27 Flauto 8’ 28 Corno di Notte 8’ 29 Flauto a Camino 4’ 30 Flauto in XII 2’2/3’ 31 Silvestre 2’ 32 Terza [Flauto in XVII] 1’3/5’ 33 Flauto in XIX 1’1/3’ 34 Piccolo 1’ 35 Cromorno 8’ 36 Tromba Armonica 8’ 37 Tromba 4’ 38 Tremolo |
Unioni
ed Accoppiamenti
|
Annulli
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39 Unione I – Ped 40 Unione II – Ped 41 Unione III – Ped 42 Acuta I – Ped 43 Acuta II – Ped 44 Acuta III – Ped 45 Unione I – II 46 Unione III – II 47 Unione III – I 48 Grave I 49 Acuta I 50 Acuta II
51
Grave
III
52
Acuta
III 53 Acuta III – I 54 Acuta III – II 55 Grave I – II 56 Acuta I – II |
A Ance I A Ance II A Ance III A Ance P A Ance Generali A Mutazioni A Unioni Tastiere A Unioni Tasto-Ped. A Ripieno I A Ripieno II A Ripieno III A Ripieno P A Tutti i Ripieni A Ottave Acute A Ottave Gravi A 16’ Manuali |
III
Manuale – Espressivo
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Pedale
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57 Principale 8’ 58 Ottava 4’ 59 XV 2’ 60 Ripieno 5 file 61 Bordone 16’ 62 Flauto Forte 8’ 63 Bordone 8’ 64 Quintante 8’ 65 Flauto Ottaviante 4’ 66 Nazardo 2’2/3’ 67 Flautino 2’ 68 Viola da Gamba 8’ 69 Salicionale 8’ 70 Viola Celeste 8’ 71 Concerto Viole [4 file] 8’ 72 Violoncello 8’ [ancia] 73 Oboe 8’ 74 Tromba Armonica 4’ 75 Voce Corale 8’ 76 Tremolo |
77 Principale 32’ [Mostra da Fa 24’] 78 Contrabbasso 16’ 79 Basso 8’ 80 Ottava 6 4’ 81 XV 2’ 82 Ripieno 7 file 83 Subbasso 16’ 84 Quinta 10’2/3’ 85 Bordone 8’ 86 Flauto 4’ 87 Flautino 2’ 88 Violone 16’ 89 Violoncello 8’ 90 Bombarda 16’ 91 Tromba 8’ 92 Chiarina 4’ |
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6 Combinazioni Fisse Generali a Pistoncino
6 Combinazioni Libere Generali a Pistoncino richiamabili con Pedaletti
6 Combinazioni Libere Particolari a Pistoncino per ogni Tastiera e Pedaliera
Pistoncini e Pedaletti di richiamo Unioni 8’
Staffa Crescendo Generale
Staffa Espressione al III Manuale
Pedaletti Ripieno I, II, III; Ancia, Tutti
Tastiere di 61 note (Do - Do); Pedaliera di 32 note (Do - Sol).
in corpo unico sulla Cantoria del Transetto sinistro.
Elettrica anni ‘ 70 Pinchi. Consolle "mobile" indipendente, in genere posta nel Coro della Cattedrale, a sinistra dell’Altare Maggiore.
Grandiosa Mostra originale, costruita da Domenico Palmieri e completata da Vincenzo Fulgenzi, nella cassa progettata da Ippolito Scalza: composta da 5 cuspidi con organetti morti, sormontata da ulteriore cuspide. Le 3 cuspidi centrali sono "alla Toscana" con canna centrale corrispondente al Fa di 24’ del Principale 32’del Pedale.
Riporto qualche
informazione desunta da alcuni colloqui telefonici e dal vivo risalenti al 1988
(soprattutto con Mons. Rosatelli, P. Cerroni, Guido Pinchi e, in parte, con
l’organista Nello Catarcia).
L’organo, così come trasformato da Carlo Vegezzi–Bossi, durò immutato fino al 1970, quando manifestò i limiti della trasmissione pneumatica (o meglio, della trasmissione pneumatica priva di adeguata manutenzione continuativa), soprattutto di quella dell’Espressivo (composta da tubicini in piombo lunghi oltre 10 metri).
L’intervento di elettrificazione ed ampliamento fu affidato a Libero Rino Pinchi: che concluse la sua attività Organaria, trasmettendola al figlio, Guido Pinchi (che diresse i lavori). Il progetto fonico fu redatto seguendo le indicazioni di una Commissione ed in particolare di P. Alberto Cerroni, organista della Basilica di S. Maria degli Angeli di Assisi e insegnante nel Pontificio Istituto di Musica Sacra.
Tutte le canne preesistenti furono ripristinate e riutilizzate e fu aggiunto un ulteriore corpo d’organo (il Positivo) senza cassa e con somieri appoggiati sul pavimento della cantoria, le cui canne sono visibili dietro la balaustra [poi, nel 1980, le Autorità Ecclesiastiche le fecero coprire con un tendaggio e le fecero proteggere verso l’alto da lastre di vetro].
L’armonizzazione fu particolarmente curata per cercare di rispettare e fondere insieme le parti storiche dell’organo con quelle moderne.
Quest’organo ha numerosi “critici”, che a loro volta sono attestati su due posizioni inconciliabili:
1) critici radicali: quelli che osteggiano la presenza stessa di quest’organo all’interno di questa chiesa a prescindere da dimensioni, trasmissioni, modernità o antichità delle canne e che volentieri demolirebbero tutto, anche cassa e cantoria. Essi hanno cominciato a far sentire pesantemente la loro voce nel 1910: assecondando lo spirito dei restauri della Cattedrale (distruzione delle opere d’arte cinque–seicentesche), erano favorevoli alla demolizione di organo e cantoria, in contrasto con la decisione delle Autorità Ecclesiastiche di ingrandire l’organo e di modernizzarlo. Sono tuttora numerosi, tanto che in molte Guide turistiche di Orvieto è possibile leggere: "l’Organo non è stato rimosso perché, sebbene fuori stile, è di per sé pregevole opera di artigianato del XVII Sec." (sic!!!). Tali “idee” sono diffuse ovunque: non a caso in numerose altre chiese italiane che hanno subito simili restauri, pregevolissimi organi antichi sono stati effettivamente demoliti!
2) critici moderati: quelli che osteggiano la presenza dell’organo attuale e volentieri vorrebbero vedere sulla cantoria e nella cassa l’organo antico o almeno una ricostruzione. Sono più recenti, ma non meno determinati. Fu soprattutto nel 1970 che tentarono di farsi ascoltare, consigliando una ricostruzione in stile rinascimentale piuttosto che l’elettrificazione/ampliamento, ma ancor oggi sono numerosi e non mancano di esprimersi in sedi specialistiche.
Ovviamente, l’organo ha anche molti difensori. Verso i critici radicali non c’è molto da fare (chissà, forse è meglio uno sdegnato disprezzo?). Verso i critici moderati la difesa corrente è che il risultato fonico e artistico di quest’organo è innegabilmente accattivante e possente (provare per credere) e comunque non diverso da quello che si può provare in moltissime Cattedrali Europee dove gli organi posseggono una stratificazione storica simile e sono controllati da poderose consolle elettriche…
gennaio 2003
Graziano Fronzuto
Ovviamente, sulla Cattedrale di Orvieto esiste una bibliografia vastissima. Comunque segnalo:
– Alberto SATOLLI: Orvieto [Orvieto, 1999]
– Eraldo ROSATELLI: La Cattedrale di Orvieto [Orvieto, 2000]
Desidero anche citare alcuni studi specifici di Marietta CAMBARERI:
Ippolito Scalza e la trasformazione del Duomo di Orvieto nel Cinquecento: le sculture marmoree [in il Duomo di Orvieto e le Grandi Cattedrali del Duecento, Torino e Roma, 1995]
Counter-Reformation
church decoration; Orvieto cathedral in the 16th and 17th centuries; Ippolito
Scalza; Cesare Nebbia; Francesco Mochi
[vari scritti, Orvieto, 2002]
Michele Sanmicheli e la cattedrale di Orvieto [in Michele Sanmicheli. Architettura, linguaggio e cultura artistica nel Cinquecento, Milano 1995]
L'Opera del Duomo committente d'arte: nuovi documenti sui progetti decorativi cinquecenteschi nella Cattedrale di Orvieto [in Bollettino dell'Istituto Storico Artistico Orvietano, XLI (1986-7), Orvieto 1991]
A Study in the 16th Century Renovation of Orvieto Cathedral: The Sacramental Tabernacle for the High Altar [in Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Architettura, n.s., 15/16, 1990]