1 La compagnia dell’Immacolata

 

Domenico era diventato molto amico di Michele Rua e Giovanni Cagliero, anche se avevano rispettivamente cinque e quattro anni più di lui. Altri suoi amici erano degli ottimi ragazzi, approdati all'oratorio in quegli anni: Bongiovanni, Durando, Cerruti, Gavio, Massaglia. All'inizio del 1856 i convittori dell'oratorio erano 153: 63 studenti e 90 artigiani.

Nella primavera Domenico ebbe un'idea. Perché non unirsi, tutti i giovani più volenterosi, in una «società segreta», per diventare un gruppo compatto di piccoli apostoli nella massa degli altri? Ne parlò con alcuni. L'idea piacque. Si decise di chiamare la società «Compagnia dell'Immacolata».

Don Bosco diede il suo permesso, ma suggerì di non precipitare le cose. Provassero, stendessero un piccolo regolamento. Poi se ne sarebbe riparlato.

Provarono. Nella prima «adunanza» si decise chi invitare a iscriversi. Pochi, fidati, capaci di tenere il segreto. Si discusse sul nome di Francesia, il giovanissimo professore di lettere, un ragazzone candido, amico di tutti. Fu scartato perché era un gran chiacchierone, e il segreto con lui avrebbe avuto vita breve.

L'assemblea incaricò tre iscritti perché abbozzassero il regolamento: Michele Rua, 19 anni, Giuseppe Bongiovanni, 18 anni, Domenico Savio, 14 anni. Don Bosco afferma però che chi scrisse il testo fu Domenico. Gli altri lo ritoccarono.

Il piccolo regolamento era formato di 21 articoli. I soci si impegnavano a diventare migliori sotto la protezione della Madonna e con l'aiuto di Gesù Eucaristia; ad aiutare don Bosco divenendo, con prudenza e delicatezza, dei piccoli apostoli tra i

compagni; a diffondere gioia e serenità attorno a sé.

L'articolo 21, il conclusivo, condensava lo spirito della Compagnia: «Una sincera, filiale, illimitata fiducia in Maria, una tenerezza singolare verso di Lei, una devozione costante ci renderanno superiori ad ogni ostacolo, tenaci nelle risoluzioni, rigidi verso noi stessi, amorevoli col prossimo ed esatti in tutto».

La Compagnia fu inaugurata l'8 giugno 1856, davanti all'altare della Madonna nella chiesa di S. Francesco. Ognuno promise di essere fedele all'impegno. Quel giorno Domenico aveva realizzato il suo capolavoro.

I soci della Compagnia scelsero di «curare» una categoria di ragazzi che nel loro linguaggio segreto chiamarono «clienti»: gli indisciplinati, quelli che avevano la parolaccia facile e menavano le mani. Ogni socio ne prendeva in consegna uno e gli faceva da «angelo custode» per tutto il tempo necessario a metterlo sulla buona strada. Una seconda categoria di «clienti» erano i nuovi arrivati. Li aiutavano a trascorrere in allegria i primi giorni, quando non conoscevano nessuno, non sapevano giocare, parlavano solo il dialetto del loro paese, avevano nostalgia.

 

2 Una monelleria alla scuola di Mondonio

 

«Insegno da vent'anni. Posso dire che in tutto questo tempo non ebbi mai nella mia scuola un ragazzo che sia stato pari a Domenico nell'amicizia con il Signore. Era giovane di età, ma assennato come un adulto. Il suo impegno costante nello studio, la sua gentile bontà attiravano l'affetto del maestro e lo rendevano amico di tutti. Quando lo guardavo in chiesa, restavo ammirato: era soltanto un ragazzetto, eppure era completamente raccolto nel Signore. Più volte ho detto tra me: ecco un'anima innocente che vive in paradiso, che abita col suo cuore tra gli angeli del cielo».

Tra i fatti speciali, un suo maestro ricorda il seguente.

 

«Un giorno nella mia classe fu commessa una monelleria molto grave, per cui il colpevole meritava l'espulsione dalla scuola. Quelli che avevano collaborato alla mancanza capirono di averla fatta grossa e si misero d'accordo per scaricare la colpa su Domenico Savio. Io non lo credevo capace di una simile sciocchezza, ma gli accusatori seppero congegnare così bene le loro calunnie che finii per crederci. Entro quindi nella scuola giustamente offeso, dapprima sgrido il colpevole senza nominarlo, quindi mi volgo a Domenico: "E questo disordine - gli dico - dovevi proprio commetterlo tu? Meriteresti l'espulsione immediata. Meno male che è la prima volta che ti comporti così, altrimenti… Spero proprio che sia la prima e l'ultima volta". Domenico avrebbe potuto dire una parola, anche una sola, per dichiararsi innocente. Gli avrei creduto immediatamente. Invece stette zitto. Chinò la testa e come chi è accusato giustamente non alzò più gli occhi.

Ma Dio protegge gli innocenti.

Il giorno seguente scoprii i veri colpevoli e capii che Domenico non c'entrava per niente. Pieno di rincrescimento per averlo rimproverato davanti a tutti, lo presi da parte e gli dissi: "Domenico, perché non mi hai detto subito che eri innocente?". Rispose: "Perché il colpevole aveva già commesso altre mancanze e sarebbe stato cacciato da scuola. Io, invece, speravo di essere perdonato, perché venivo accusato per la prima volta. E poi pensavo che anche Gesù era stato accusato ingiustamente".

Non seppi cosa rispondergli. Aveva ricambiato il male con il bene, aveva sopportato con pazienza un grave castigo al posto del colpevole. Lo ammiravo».

 

 

3 Primo incontro con Don Bosco

 

Nell'anno 1854 Don Cugliero venne a parlarmi di un suo allievo eccellente nella condotta e straordinario nella vita cristiana. Mi disse: «Qui nella sua casa forse ci potrà essere qualche ragazzo che gli assomigli, ma non ha certamente nessuno che lo superi nell'intelligenza e nella bontà. Provi a incontrarlo e scoprirà un secondo San Luigi». Rimanemmo intesi che me lo avrebbe fatto incontrare a Morialdo.

Ogni anno mi reco lassù coi ragazzi di questa casa per far loro godere un po' di vacanza tra le vigne e anche per celebrare insieme la novena e la festa della Madonna del Rosario.

Era il primo lunedì di ottobre (2 ottobre l854), di buon mattino. Ed ecco che un fanciullo, accompagnato da suo padre, mi si avvicina per parlarmi. La faccia serena, il sorriso aperto ma rispettoso, attirarono il mio sguardo su di lui. Gli domandai:

- Chi sei? Da dove vieni?

- Sono Savio Domenico - rispose. Le ha parlato di me don Cugliero, mio maestro. Veniamo da Mondonio.

Allora lo chiamai da parte e ci mettemmo a ragionare sullo studio che aveva fatto, sulla vita che trascorreva in famiglia e siamo entrati in piena confidenza: egli con me, io con lui. In quel ragazzo scoprii una persona che viveva completamente secondo lo Spirito del Signore. Rimasi sbalordito del lavoro che la grazia di Dio aveva compiuto in lui in così pochi anni. Dopo aver parlato per un bel po' di tempo, prima che potessi chiamare suo padre, Domenico mi disse:

- Allora, cosa pensa di me? Mi condurrà a Torino per studiare?

- Mi pare che in te ci sia una buona stoffa.

- E a che cosa può servire questa stoffa?

- A fare un bell'abito da regalare al Signore.

- Dunque io sono la stoffa e lei sia il sarto. Dunque mi prenda con lei e farà un bell'abito per il Signore.

- Io ho una paura: che la gracilità della tua salute non regga alle fatiche dello studio.

- Non abbia timore. Quel Signore che mi ha dato la sua amicizia e la salute fino ad ora, mi aiuterà anche in avvenire.

- Quando avrai finito gli studi di latino, che cosa desideri fare?

- Se il Signore mi concederà una grazia così grande, desidero vivamente diventare sacerdote.

- Bene. Ora voglio provare se hai le qualità sufficienti per lo studio. Prendi questo libretto (era un fascicolo delle Letture Cattoliche). Oggi studia questa pagina, domani vieni e me la esponi.

A questo punto lo lasciai libero di andare a divertirsi con gli altri giovani, e cominciai a parlare con suo papà. Passarono non più di otto minuti ed ecco Domenico tornare sorridendo.

Mi disse: «Se vuole, espongo adesso la mia pagina».

Presi il libro e con sorpresa constatai che non soltanto aveva studiato a memoria la pagina, ma che capiva benissimo il senso delle cose che vi erano esposte. Gli dissi:

- Bravo. Tu hai anticipato lo studio della lezione e io anticipo la risposta. Sì, ti condurrò a Torino. Fin da questo momento tu fai parte dei miei cari figlioli. Comincia quindi a pregare il Signore perché aiuti me e te a fare la sua santa volontà.

Non sapendo come esprimere la sua gioia e la sua riconoscenza, mi prese la mano, la strinse, la baciò. Alla fine disse: «Spero di comportarmi in modo che non abbia mai a lamentarsi di me».

 

4 Duello sul prato

 

Nel corso di quell'anno, nella vita di Domenico si verificò un fatto che ha dell'eroismo, e che sembra incredibile nella vicenda di un ragazzino della sua età. Due suoi compagni di scuola arrivarono a sfidarsi a duello, con vero pericolo. La lite cominciò con uno scambio di parole offensive nei riguardi delle loro famiglie. Passarono alle ingiurie, agli insulti e arrivarono a sfidarsi a duello a colpi di pietra. Domenico venne a conoscere quella triste faccenda, ma non sapeva come impedirla, perché i due avversari erano più grandi e più forti di lui. Provò a farli ragionare, perché capissero che la vendetta è contraria alla civiltà e alla legge di Dio. Scrisse lettere all'uno e all'altro. Li minacciò di riferire tutto al professore e ai loro genitori. Tutto inutile. I loro animi erano così inaspriti che ogni parola era ormai inutile. Oltre al pericolo di farsi del male serio commettevano un'offesa grave contro Dio. Domenico era molto amareggiato, ma non sapeva cosa fare. Dio gli ispirò di fare così. Attese i due avversari dopo la scuola e appena poté parlare con loro a tu per tu, disse:

- Dal momento che persistete nella vostra pazzia, vi prego di accettare almeno una condizione.

- L'accettiamo a patto che non impedisca la nostra sfida - risposero.

- Lui è un disgraziato! - aggiunse subito uno di loro.

- E io non sarò contento fino a quando non ti avrò spaccato la testa! - ribadì l'altro. Domenico tremava a sentire quelle parole cariche di odio, tuttavia si controllò e disse:

- La condizione che vi chiedo non impedirà la vostra sfida.

- Avanti, allora. Qual’è questa condizione?

- Ve la dirò solo sul luogo del duello.

- Guai a te se ci prendi in giro o ci metti i bastoni tra le ruote.

- Vengo con voi e non vi prenderò in giro.

- Vuoi forse andare a chiamare qualcuno?

- Dovrei farlo, ma non lo farò. Vengo con voi. Mantenete solo la parola di accettare la mia condizione se non impedisco il duello.

Glielo promisero. Andarono nei prati della Cittadella, fuori Porta Susa.

Era tanto l'odio dei due avversari che Domenico dovette faticare perché non si picchiassero lungo la strada.

Giunti sul luogo stabilito, Domenico fece una cosa che nessuno avrebbe immaginato. Lasciò che si piazzassero ad una certa distanza. Avevano già a portata di mano le pietre, cinque ciascuno, quando Domenico parlò così:

- Prima di iniziare la vostra sfida, voglio che manteniate la mia condizione, come avete promesso.

Detto questo, tirò fuori il piccolo crocifisso che portava al collo e tenendolo in mano disse:

- Voglio che ciascuno fissi lo sguardo sul crocifisso e poi, gettando una pietra contro di me, dica chiaramente queste parole: «Gesù Cristo innocente morì perdonando i suoi crocifissori. Io peccatore, invece, voglio offenderlo e fare una solenne vendetta».

Terminate queste parole, andò a inginocchiarsi davanti a quello che era più infuriato.

- Avanti - gli disse -. Lancia il primo colpo contro di me. Tira una pietra sulla mia testa.

Il ragazzo, che non si aspettava una proposta del genere, cominciò a tremare.

- Ma io non ho niente contro di te - disse -. Anzi, se qualcuno volesse farti del male, ti difenderei.

Domenico allora corse dall'altro e ripeté le stesse parole. Anche quel ragazzo rimase sconcertato, e tremando gli disse:

- Sono tuo amico. Lo sai che a te non farei mai del male.

Allora Domenico si alzò in piedi, e, con volto serio e commosso, disse:

- Come! Voi siete miei amici, voi siete disposti ad affrontare dei pericoli per difendere me, che sono un poveretto, e non siete disposti a perdonarvi un insulto, un'offesa per salvare la vostra anima, che è costata il sangue di Gesù, e che volete rovinare con questo peccato?

Dopo queste parole stette in silenzio, tenendo sempre alto con la mano il crocifisso. Davanti a quel gesto di amore e di coraggio i due avversari si sentirono vinti. Uno di loro raccontò:

«Guardando e ascoltando Domenico mi commossi. Cominciai a tremare e sentii una grande vergogna per aver costretto Domenico, un amico così buono, a usare quei mezzi estremi per impedire la nostra triste avventura. Per dimostrargli che gli volevo bene perdonai seriamente chi mi aveva offeso e chiesi a Domenico di accompagnarmi da un prete buono e comprensivo per confessarmi. Così, dopo aver rinnovato la mia amicizia con lui, mi riconciliai anche con il Signore, che avevo gravemente offeso col mio odio e la mia voglia di vendetta».

 

Questo fatto mi pare degno di molta ammirazione. Ogni giovane cristiano dovrebbe conoscerlo. Può suggerirci come ci si debba comportare quando veniamo insultati, offesi, o ci troviamo davanti una persona che vuole vendicarsi.

Un particolare aumenta di molto la nostra stima per Domenico: il suo silenzio. Dopo il fatto non disse niente a nessuno. La vicenda sarebbe totalmente sconosciuta, se non l'avessero raccontata gli avversari riconciliati con lui.

 

5 Mi aiuti a farmi santo

 

Nella prima domenica dell'aprile 1855 don Bosco fece una predica ai suoi ragazzi parlando della santità. Qualcuno arricciò il naso. Domenico Savio invece ascoltò con attenzione. Man mano che don Bosco procedeva con la sua bella voce calda e persuasiva, gli sembrava che la predica fosse fatta solo per lui. Raggiungere la santità come il principino San Luigi, come il grande missionario Francesco Saverio, come i martiri della Chiesa… Da quel momento Domenico cominciò a sognare e il suo sogno fu la santità.

Il 24 giugno era il giorno onomastico di don Bosco. Si fece festa grande all'oratorio, come tutti gli anni. Don Bosco, per ricambiare l'affetto e la buona volontà, disse: “Ognuno scriva su un biglietto il regalo che desidera da me. Vi assicuro che farò tutto il possibile per accontentarvi”.Quando lesse i biglietti don Bosco trovò domande serie e sensate, ma trovò anche richieste stravaganti che lo fecero sorridere: qualcuno gli chiese cento chili di torrone «per averne per tutto l'anno». Sul biglietto di Domenico Savio trovò cinque parole: «Mi aiuti a farmi santo ».

Don Bosco prese sul serio quelle parole, chiamò Domenico e gli disse: «Ti voglio regalare la formula della santità. Eccola: Primo: allegria. Ciò che ti turba e ti toglie la pace non viene da Dio. Secondo: i tuoi doveri di studio e di pietà. Attenzione a scuola, impegno nello studio, impegno nella preghiera. Tutto questo non farlo per ambizione, ma per amore del Signore. Terzo: far del bene agli altri. Aiuta i tuoi compagni sempre, anche se ti costa sacrificio. La santità è tutta qui».

Domenico si impegnò seriamente. Nella “Vita di Domenico Savio” che don Bosco scrisse subito dopo la morte del ragazzo sono raccontati molti episodi, semplici e commoventi. Ne ricordiamo

solo uno.

Un giorno un ragazzo aveva portato nell'oratorio un giornale illustrato con figure poco decenti. Subito gli si radunarono intorno cinque o sei compagni. Guardavano, ridacchiavano. Anche Domenico si avvicinò. Prese dalle mani del proprietario il giornale e lo fece in pezzi. Il ragazzo si mise a protestare, ma Domenico protestò anche lui, a voce ancora più alta:

- Belle cose porti dentro l'oratorio! Don Bosco si affatica tutto il giorno per allevarci buoni cristiani e onesti cittadini e tu gli porti in casa questa roba! Queste figure offendono il Signore e qui dentro non devono entrare!

Arrivarono e passarono veloci le vacanze scolastiche del 1855. Quando in ottobre i ragazzi tornarono all'oratorio, don Bosco rivide Domenico Savio e ne fu preoccupato:

- Non ti sei riposato durante le vacanze?

- Sì, don Bosco, perché?

- Sei più pallido del solito. Come mai?

- Forse la stanchezza del viaggio… - e sorrise tranquillo.

Ma non era stanchezza passeggera. Gli occhi infossati e brillanti, il volto pallido e smunto dicevano chiaramente che la salute di Domenico non era buona. Don Bosco decise di prendere qualche precauzione.

- Quest'anno non andrai a scuola in città. Uscire con la pioggia e la neve potrebbe farti male. Andrai alla scuola di don Francesia qui in casa. Così al mattino potrai riposare di più. E abbi moderazione nello studio: la salute è un dono di Dio, e non dobbiamo sciuparla.

Domenico obbedì. Ma qualche giorno dopo, come se prevedesse qualcosa di grave che stava per succedergli, disse a don Bosco:

- Mi aiuti a farmi santo in fretta.

6 Un giornale in cento pezzettini

 

Un giorno mi capitò che un ragazzo forestiero sconsideratamente portò all’Oratorio un giornale dove c’erano figure sconce e contrarie alla religione. Un numeroso gruppo di ragazzi lo circondò per vedere quelle figure che avrebbero fatto arrossire un pagano. Anche Domenico Savio arrivò di corsa, pensando che in quel gruppo si potesse vedere qualche cosa di bello. Quando fu vicino, però, fece un atto di sorpresa, poi, quasi ridendo, prese il giornale e lo strappò in cento pezzettini. I suoi compagni rimasero pieni di stupore. Uno guardava l’altro senza parlare.

Allora parlò Domenico, e disse:

- Poveri noi! Il Signore ci ha dato gli occhi per contemplare la bellezza delle cose da Lui create, e voi ve ne srvite per guardare queste sconcezze inventate dalla malizia degli uomini per rovinare le nostre anime? Avete dimenticato quello che ci è stato insegnato tante volte? Il Signore ha detto che con un solo sguardo cattivo possiamo sporcare la nostra anima. E voi fissate i vostri occhi sopra figure di questo genere?

- Ma noi le guardiamo per ridere - si scusò uno.

- Sì, sì, per ridere. E così ridendo vi preparate per andare all’inferno. Riderete ancora quando avrete la disgrazia di cadervi?

- Io in quelle figure non ci vedo poi tanto male - disse un’altro.

- Peggoio ancora. Vuol dire che sei già abituato a guardarle. E questa abitudine ti rende ancora più colpevole. O Giobbe, o Giobbe! Tu eri vecchio , eri un santo, eri tormentato da una malattia e ti avevano perfino gettato in un immondezzaio. E anche in quelle condizioni hai fatto un patto con i tuoi occhi: di non guardare mai nulla di indecente!

A quelle parole tutti stettero zitti, e nessuno osò più contraddirlo. Alla modestia degli occhi, Domenico aveva aggiunto una grande riservatezza nel parlare.

La prima cosa che gli fu consigliata per farsi santo fu di impegnarsi per far del bene alle anime. E’ la cosa più gradita a Dio: per salvare le nostre anime, infatti, Gesù sparse tutto il suo sangue prezioso. Domenico capì l’importanza di questo impegno, e più volte disse: “Se potessi far diventare amici di Dio tutti i miei compagni, sarei felice”. Nelle occasioni opportune dava buoni consigli, correggeva chi diceva parole o faceva azioni che non piacevano al Signore.

La cosa che più lo spaventava e che lo faceva veramente star male era la bestemmia e il pronunciare il santo nome di Dio senza rispetto. Se per le vie della città o ni qualche altro posto sentiva parole di questo genere, tutto addolorato abbassava la testa, e diceva con affetto: “Sia lodato Gesù Cristo”.

Una volta, tornando da scuola, Domenico un omaccione bestemmiare in maniera orribile. Tremò, chiese perdono a Dio per quel pover’uomo, poi fece un gesto magnifico. Con aria molto rispettosa si avvvicinò al bestemmiatore e gli domandò se per piacere poteva indicargli la strada per l’Oratorio di don Bosco. Davanti a quella faccia innocente, l’omaccione perse la rabbia che lo agitava tutto. Disse:

- Non lo so, caro ragazzino, mi dispiace.

- Se non sapete dirmi la strada, forse potete farmi un altro piacere.

- Volentieri, sentiamo.

Domenici gli andò vicino perché nessuno lo sentisse, e bisbigliò:

- Mi farete un grande piacere se quando siete arrabbiato non bestemmiate il santo nome di Dio.

Quell’uomo grande e grosso lo fissò con stupore e ammirazione. Poi disse:

- Bravo! Hai proprio ragione. Devo perdere quel maledetto vizio.

-

7 “Dal paradiso potrò vedere i miei compagni”

 

Domenico era sfinito di forze, ma questo non lo obbligava a stare continuamente a letto. Perciò volte andava a scuola, nella sala di studio, oppure si occupava dei lavori di casa. Gli dava molto piacere servire i malati in infermeria, quando ce n’era qualcuno.

- Assistere e visitare gli infermi per me è un caro divertimento - diceva -. Lo faccio con piacere. Non ne ho alcun merito davanti a Dio.

Mentre serviva i malati nelle faccende più umili, suggeriva quando occorreva qualche pensiero cristiano. A un amico sofferente e triste disse: “Questo nostro corpo non dura mica in eterno, sai? A poco a poco si logora. Ma la nostra anima no! Essa si scioglierà un giorno dagli impacci del corpo, e volerà gloriosa in Cielo! E allora avremmo una salute e una felicità che nessuno ci potrà rubare!”.

Anche se la sua salute non era per niente buona, Domenico non voleva tornare in famiglia. Gli rincresceva interrompere gli studi e non avere più la comodità della Messa e della Comunione quotidiana. Alcuni mesi prima, io l’avevo già mandato in famiglia. Ma lui vi era rimasto solo pochi giorni, e ben presto me l’ero visto ricomparire all’Oratorio. Devo confessarlo: anche a me rincresceva molto che partisse. Lo avrei tenuto nella nostra casa a qualunque costo: il mio affetto per lui era quello di un padre verso il figlio più degno di essere amato. Eppure il parere dei medici era di mandarlo alla sua casa e io dovevo seguirlo. Tanto più che da alcuni giorni, alle indisposizioni che già aveva, si era aggiunta una tosse ostinata.

Avverti quindi suo papà, e si stabilì che partisse il primo Mar

1857.

Domenico si arrese a quella decisione, e ne fece un sacrificio che offrì al Signore. Gli domandai:

- Perché vai a casa così malvolentieri? Dovresti andarci con gioia per godere la compagnia di tua madre e di tuo papà.

- Perché desidero terminare la mia vita all’Oratorio.

- Andrai a casa, e dopo che sarai guarito ritornerai.

- Questo no. Io me ne vado e non tornerò più.

La sera prima della partenza mi era sempre vicino, e ogni momento mi faceva nuove domande. Tra l’altro mi chiese:

- qual è la cosa migliore che un ammalato può are per piacere di più al Signore?

- Offrirgli sovente le sue sofferenze.

- E che cosa potrebbe ancora fare?

- Offrirgli la sua vita.

- Posso essere certo che i miei peccati sono stati perdonati?

- In nome di Dio ti assicuro che è stato perdonato tutto.

- Posso essere sicuro di salvarmi?

- Sì, per la misericordia di Dio tu puoi essere certo di salvarti.

- Se il diavolo verrà a tentarmi, che cosa devo dirgli?

- Che hai venduto l’anima tua a Gesù, e che lui l’ha comprata con tutto il suo sangue. Se il diavolo ti disturbasse ancora, gli chiederai che cosa ha fatto lui per la tua anima, mentre Gesù ha sparso tutto il suo sangue per liberarla dall’ iferno e portala con se in paradiso.

- Dal paradiso potrò vedere i miei compagni dell’Oratorio e i miei genitori.

-Sì, dal paradiso vedrai tutte le vicende dell’Oratorio, i tuoi genitori, le cose che li riguardano, a anche altre cose mille volte più belle.

- Potrò venire a trovare i miei amici?

- Certamente, se questo sarà per la maggior gloria di Dio.

Mi faceva queste e moltissime altre domande. Sembrava una persona che avesse già un piede sulla porta del paradiso, e che prima di entrarci volesse informarsi bene delle cose che avrebbe trovato dentro.

Era la sera del 9 marzo 1857. Il suo volto era sereno, l’aria allegra, lo sguardo luminoso , la mente vivace: tutte cose che facevano meravigliare. Nessuno poteva persuadersi che quel ragazzo fosse sul limitare della vita.

Un’ora e mezza prima che si spegnesse, il parroco andò a trovarlo. Lo vide tranquillo, e lo sentì con stupore affidare la sua anima a Dio. Domenico faceva brevi e frequenti preghiere, manifestando un desiderio vivo di andare presto in Cielo.