Alessandro Manzoni - Opera Omnia >>  Aprile 1814


 



 

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APRILE 1814
 
 
CANZONE.

22 aprile 1814.


1.

Fin che il ver fu delitto, e la menzogna
Corse gridando, minacciosa il ciglio:
' Io son sola che parlo, io sono il vero ',
Tacque il mio verso, e non mi fu vergogna,
Non fu vergogna, anzi gentil consiglio:
Che non è sola lode esser sincero,
Né rischio è bello senza nobil fine:
Or che il superbo morso
Ad onesta parola è tolto alfine,
Ogni compresso affetto al labbro è corso:
Or s'udrà ciò, che sotto il giogo antico
Sommesso appena esser potea discorso
Al cauto orecchio di provato amico.


2.

Toglier lo scudo de le Leggi antique
E le da lor create, e il sacro patto
Mutar come si muta un vestimento,
O non mutate non serbarle, e inique
Farle serbar benché secrete, e in atto
Di chi pensa, tacendo, al tradimento
E novi statuir padri a la Legge;
E perché amici ai buoni,
Sperderli a guisa di spregiato gregge;
Questi de' salvatori erano i doni;
Questo dicean fondarne a civil vita:
Qual se Italia, al chiamar d'esti Anfioni
Fosse dei boschi, e de le tane uscita.


3.

Anzi fatta da lor donna e reina
La salutaro, o fosse frode, o scherno,
D'armi reina, io dico, e di consigli:
Essa che ai piè de la imperante inchina
Stavasi, e fea di sue ricchezze eterno
Censo agli estranei, e de gli estrani al figli;
Che regger si dovea con l'altrui cenno;
Che ogni anno il suo tesoro
Su l'avara ponea lance di Brenno:
È ver, tributo nol dicean costoro,
Men turpe nome il vincitor foggiava;
Ma che monta per Dio? Terra che l'oro
Porta costretta a lo straniero, è schiava.


4.

E svelti i figli al genitor dal fianco;
E aprir loro le porte, ed esser padre
Delitto, e quasi anco i sospir nocenti;
E tratti in ceppi, e noverati a branco,
Spinti ad offesa d'innocenti squadre
Con cui meglio starieno abbracciamenti.
Oh giorni! oh campi che nomar non oso,
Deh per chi mai scorrea
Quel sangue onde il terren vostro è famoso?
O madri orbate, o spose, a chi crescea
Nel sen custode ogni viril portato?
Era tristezza esser feconde, e rea
Novella il dirvi: un pargoletto è nato.


5.

Né gente or voglio cagionar dei mali
Che lo stesso bevea calice d'ira,
Né infonder tosco ne le piaghe aperte;
Ma dico sol ch'è da pensar di quali
Strette il perdono del Signor ne tira,
Perchè sien maggior grazie a lui riferte.
Che quando eran più l'onte aspre ed estreme,
E al veder nostro estinto
Ogni raggio parea d'umana speme,
Allor fuor de la nube arduo ed accinto,
Tuonando, il braccio salvator s'è mostro:
Dico che Iddio coi ben pugnanti ha vinto,
Che a ragion si rallegra il popol nostro.


6.

Bel mirar da le inospiti latebre
Giovin raminghi al sospirato tetto
Correr securi, ed a le braccia pie;
E quei che in ferri astrinse ed in tenebre
L'odio potente, un motto, od un sospetto
Al soavi tornar colloqui, e al die;
E un favellar di gioia e di speranza,
E su le fronti scólta
De' concordi pensier l'alma fidanza;
E il nobil fior de' generosi a scolta
Durar ne l'armi, e vigilar, mostrando
Con che acceso voler la patria ascolta
Quando libero e vero è il suo dimando,


7.

E quel che a dir le sue ragioni or chiama
Lunge da basso studio e da contesa,
Parlar per lei com'ella è desiosa;
E l'antica far chiara itala brama,
Che sarà, spero, a quei possenti intesa
Cui par che piaccia ogni più nobil cosa.
Vedi il drappello che al governo è sopra
Animoso e guardingo
Al ben di tutti aver rivolta ogni opra,
E i ministri di Dio dal mite aringo
Nel dritto calle ragunar la greggia.
Molte e gran cose in picciol fascio io stringo;
Ma qual parlar sì belle opre pareggia?



EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Opere di Alessandro Manzoni - Vol. III", a cura di M. Barbi e F. Ghisalberti, CENTRO NAZIONALE DI STUDI MANZONIANI, Casa del Manzoni, Milano, G. C. Sansoni Editore, Firenze, 1950







 

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