L'ASPETTO COLTO NELLA
VITA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI
Conegliano,
21 dicembre 2003
-INTRODUZIONE
-
San
Francesco fu una figura rilevante, che influì molto nella sua
epoca e nelle successive,
non
soltanto per la sua nuova spiritualità, che seppe rispondere in
pieno ai bisogni del suo tempo, ma anche per il contributo
importante che diede alla storia della nostra letteratura.
Egli
infatti nella sua breve ma intensa vita si dedicò a molte
attività: fondò tre ordini religiosi, annunciò il Vangelo
nelle terre più lontane del mondo allora conosciuto, fu amico
degli ultimi ma anche di potenti prelati e politici, operò
innumerevoli miracoli; lasciò molti componimenti di poesia
religiosa, in latino e soprattutto nella nuova lingua che ancora
veniva soltanto parlata: il volgare. Dopo di lui, la necessità
di fissare nella memoria il più possibile la sua "mirabil
vita", fece sì che fiorissero innumerevoli e preziosi
documenti biografici, scritti da anonimi suoi compagni o da
personaggi famosi come San Bonaventura da Bagnoregio.
L'epoca
in cui Francesco visse era inquieta, attraversata da fermenti e
destinata a cambiamenti radicali quasi in ogni ambito della vita
sociale. L'Europa, tra la fine del XII secolo ed il XIII, si
stava preparando a lasciare il periodo oscuro dell'Alto Medioevo
per approdare al dinamismo delle città e dei commerci, con la
nascita dei Comuni. Francesco stesso nacque nella famiglia di un
ricco mercante dell'ltalia centrale, ad Assisi, intorno al 1181-82,
evi morì la sera del 3 ottobre 1226.
Il
modo di vivere stava lentamente cambiando: i grandi feudatari del
Sacro Romano Impero avevano perso molto del loro potere, la gente
del castello spesso fuggiva in città, per diventare libera dalla
servitù della gleba. Sebbene l'economia continuasse a rimanere
fondata sull'agricoltura, i traffici e gli scambi si stavano
espandendo sempre di più, e sempre più verso terre lontane. l
mercanti, data la loro nuova importanza, erano alla ricerca di un
ruolo attivo anche nella vita sociale e politica dei nuovi
agglomerati urbani, ma questo non era esente da lotte anche
sanguinose tra gruppi e fazioni, tra feudi e città.
In
questo contesto si erano costituiti anche alcuni nuovi movimenti
religiosi, che predicavano l'allontanamento dalle cose mondane
per ritrovare la purezza dello spirito tipica della Chiesa
primitiva, contro la corruzione del clero dei loro tempi, troppo
coinvolto con il potere politico. Questi gruppi si ponevano
sovente in forte contrasto con l'autorità religiosa, al punto da
scegliere la clandestinità, a volte anche la violenza, e molti
di essi furono dichiarati eretici: frequenti erano le condanne al
rogo sulla pubblica piazza, mentre nel caso dei Catari di
Provenza, gli Albigesi, fu addirittura indetta una crociata, che
terminò in una strage.
Questa
esigenza di rinnovamento veniva comunque considerata anche in
altri ambienti, persino nelle scuole cattedrali di Parigi (il
futuro seme delle Università), dove si discuteva della logica e
della filosofia pagane, cercando una conciliazione con la
dottrina cristiana. Maestri come San Bemardo di Chiaravalle e
soprattutto Ugo e Riccardo di San Vittore proponevano una
rielaborazione della filosofia di Platone alla luce del
Cristianesimo, contro l'uso della pura logica aristotelica nello
studio delle verità di fede. Essi prendevano in considerazione
la realtà terrena come immagine di Dio e punto di partenza per
lo studio delle verità ultime, cosa che ricorda da vicino il
testo del 'Cantico delle Creature', come approfondirà il secolo
seguente il francescano San Bonaventura.
Rilevante
in questo periodo è la fioritura della poesia cortese, che
sempre più si sviluppa nelle corti feudali e contribuirà alla
nascita della lingua volgare, inizialmente in terra francese,
dapprima tramandata oralmente ad opera dei trovieri in lingua
d'oil e dei trovatori in lingua d'oc. Si tratta di una poetica
nuova, che esprime il mondo dei cavalieri e delle dame, con i
valori del coraggio, della cortesia, della lealtà e soprattutto
dell'amore cortese
Come vive il giovane Francesco la realtà del suo tempo e quali sono i suoi studi? Nelle 'Fonti Francescane', che raccolgono tutte le biografie di Francesco redatte nei primi decenni dopo la sua morte, non si trovano naturalmente accenni agli studi della sua gioventù: per il cronista è fondamentale raccontarne la vita dopo la scelta religiosa, non farne una vera e propria biografia. Oltretutto l'atteggiamento di Francesco di fronte alla cultura è molto chiaro e ribadito innumerevoli volte, segno che il problema era sentito da lui e dai suoi compagni. Ecco qualche esempio:
Dice
l'Apostolo [Paolo]: 'La lettera uccide, lo spirito invece
dà vita'. Sono morti a causa della lettera coloro che unicamente
bramano sapere le sole parole, per essere ritenuti i più
sapienti in mezzo agli altri e potere acquistare grandi
ricchezze e darle ai parenti e agli amici. Così
pure sono morti a causa della lettera quei religiosi che non
vogliono seguire lo spirito della divina Scrittura, ma piuttosto
bramano sapere le sole parole e spiegarle agli altri. E
sono vivificati dallo spirito della divina Scrittura coloro che
ogni scienza che sanno e desiderano sapere, non
l'attribuiscono al proprio io, ma la restituiscono, con la parola
e con l'esempio, all'altissimo Signore Dio, al quale
appartiene ogni bene. REGOLE ED ESORTAZIONI, in FF §156.
Una
volta disse che un uomo di grande cultura, se vuole entrare
nell'Ordine, deve rinunciare in qualche modo anche alla scienza,
per offrirsi nudo alle braccia del Crocifisso, dopo essersi
espropriato di questa forma di possesso. 'La scienza -spiegò -rende
numerose persone restie alla perfezione, perche dona loro una
certa rigidità, che non si piega agli insegnamenti umili. Per
questo vorrei che un uomo letterato mi facesse prima questa
preghiera: 'Ecco, fratello, ho vissuto a lungo nel mondo e non ho
conosciuto veramente il mio Dio. Ti prego, concedimi un luogo
lontano dallo strepito degli uomini, dove possa ripensare nel
dolore ai miei anni e dove, raccogliendo le dissipazioni del mio
cuore, possa riformare in meglio lo spirito'. Secondo voi -continuò
-quale diverrebbe uno che incominciasse così? Certamente ne
uscirebbe come un leone libero dalle catene, pronto a tutto, e la
linfa spirituale assorbita in principio aumenterebbe in lui con
un progresso continuo. Alla fine, gli si potrebbe affidare con
sicurezza il ministero della parola, certi che riverserebbe sugli
altri il fervore che lo brucia'. [...l CELANO -VITA SECONDA, in
FF §780.
Quindi,
la scelta dell'ordine deve implicare una rinuncia a tutti i beni
mondani, compreso il sapere, per poter riformare in meglio lo
spirito. Addirittura al Capitolo delle Stuoie risponde con
una certa veemenza al suo amico il Cardinale Ugolino, che sotto
consiglio dei 'frati dotti' lo esorta a seguire gli esempi di
altre Regole religiose, ad essere in definitiva più
accondiscendente verso chi richiedeva più elasticità nella
Regola:
[.
..l Gli chiesero [al cardinale Ugolinol che persuadesse
Francesco a seguire i consigli dei frati dotti e a lasciarsi
qualche volta guidare da loro. Facevano riferimento alle Regole
di san Benedetto, sant'Agostino e san Bemardo, che prescrivevano
questa e quest'altra norma al fine di condurre una vita religiosa
ben ordinata. [. ..l Disse: 'Fratelli, fratelli miei, Dio
mi ha chiamato a camminare la via della semplicità e me l'ha
mostrata. Non voglio quindi che mi nominiate altre Regole, ne
quella di sant'Agostino, ne quella di san Bernardo o di san
Benedetto. Il Signore mi ha rivelato essere suo volere che io
fossi un pazzo nel mondo: questa è la scienza alla quale
Dio vuole che ci dedichiamo! Egli vi confonderà per mezzo della
vostra stessa scienza e sapienza. lo ho fiducia nei
castaldi del Signore, di cui si servirà per punirvi. Allora,
volenti o nolenti, farete ritorno con gran vergogna alla vostra
vocazione'. [...]LEGGENDA PERUGINA, in FF §1673.
Gli
esempi potrebbero continuare, ma la posizione di Francesco è
chiara: i frati devono seguire la Regola che Dio stesso ha dato
loro e ricercare il più possibile la povertà, non solo
materiale, ma anche spirituale . La cultura e pericolosa,
perché potrebbe divenire fonte dl superbia per chi l'adopera per
mettersi in mostra di fronte agli altri, mentre l'unica
preoccupazione deve essere quella di seguire il Vangelo in tutto
e per tutto.
-IPOTESI
SUGLI STUDI COMPIUTI DA SAN FRANCESCO-
Ma
Francesco aveva una cultura? Intanto sicuramente conosceva il
latino, la lingua della liturgia e della cultura 'ufficiale': in
questa lingua ci lascia i suoi documenti più importanti come le
due versioni della Regola, il suo Testamento, varie lettere e
scritti tra cui la benedizione a Frate Leone e componimenti
poetici che richiamano i Salmi.
Poi
conosceva certamente il francese, come testimoniano le Fonti
Francescane:
Vestito
di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti puIPurei, se ne
va per una selva, cantando le lodi di Dio in francese. [
incontro con i briganti-]. Scossasi di dosso la neve, appena i
briganti sono spariti, balza fuori dalla fossa e, tutto
giulivo, riprende a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con
le lodi al Creatore di tutte le cose. CELANO -VITA PRIMA, in
FF §346. Vd. anche Leggenda Maggiore Il, §1044.
Un
giorno andava per le vie di Assisi mendicando olio per le lampade
di San Damiano, la chiesa che stava allora riparando. Sul punto
di entrare in una casa, vedendo davanti alla porta un gruppo di
amici che giocava, rosso di vergogna, si ritirò. Ma, volgendo il
suo nobile spirito al cielo, si rinfacciò tanta viltà e divenne
giudice severo con se stesso. All'istante ritorna alla
casa e, dopo aver esposto con voce sicura a tutti il
motivo della sua vergogna, quasi inebriato di spirito, chiede in
lingua francese l'olio di cui ha bisogno e l'ottiene. Animava
tutti, con grande zelo, a restaurare quella chiesa, e sempre
parlando in francese predisse chiaramente, davanti a tutti, che lì
accanto sarebbe sorto un monastero di vergini consacrate a Cristo.
Del resto, ogni volta che era pieno dell'ardore dello Spirito
Santo, parlava in lingua francese per esprimere il calore
esuberante del suo cuore, quasi prevedendo che sarebbe stato
venerato da quel popolo con particolare onore e devozione. CELANO
-VITA SECONDA, in FF §599. Vd. anche Leggenda dei tre compagni
§1425-1426, e TESTAMENTO di Santa Chiara in FF §2827.
A
volte si comportava così. Quando la dolcissima melodia dello
spirito gli ferveva nel petto, si manifestava all'esterno con
parole francesi, e la vena dell'ispirazione divina, che il suo
orecchio percepiva furtivamente, traboccava in giubilo alla
maniera giullaresca. Talora -come ho visto con i miei occhi -raccoglieva
un legno da terra, e mentre lo teneva col braccio sinistro, con
la destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo
passava sopra accompagnandosi con movimenti adatti, come fosse
una viella [= strumento a 5 corde proprio dei trovatori,
simile alla viola], e cantava in francese le lodi del Signore.
Bene spesso tutta questa esultanza terminava in lacrime ed il
giubilo si stemperava in compianto della Passione
Uscito,
si fermò davanti alla basilica [di San Pietro], dove
stavano molti poveri a mendicare, scambiò di nascosto i suoi
vestiti con quelli di un accattone. E sulla gradinata della
chiesa, in mezzo agli altri mendichi, chiedeva l'elemosina in
lingua francese. Infatti parlava molto volentieri questa lingua,
sebbene non la possedesse bene. [...] lEGGENDA DEI TRE
COMPAGNI, in FF §1406.
Francesco
perciò conosceva bene questa lingua, che era anche quella di sua
madre, madonna Pica. Inoltre erano motivo di vanto e di prestigio
sociale per suo padre, il mercante Pietro di Bemardone, i suoi
frequenti viaggi di lavoro in quella terra lontana, e il nome
stesso di Francesco, inventato da lui, sembrerebbe indicare
ancora di più questo legame.
la
questione è importante per il fatto che dalla Francia
provenivano tutte le novità, anche in campo culturale, non da
ultime la poesia delle corti e I'epopea dei cavalieri: forse
Francesco era venuto a contatto talvolta con cantastorie
girovaghi e giullari?
Sicuramente
aveva sentito parlare della Tavola Rotonda e dei suoi cavalieri
bretoni: Artù, lancillotto, Percival, ecc.. Ecco cosa troviamo a
riguardo nelle 'Fonti Francescane', in un passo in cui si
riportano le sue stesse parole:
Diceva
ancora: "Ci sono molti frati che giorno e notte mettono
tutta la loro passione e preoccupazione nell'acquistare la
scienza, trascurando la loro santa vocazione e la devota
orazione. E annunziando il Vangelo a qualche persona e al
popolo, nel vedere o nel sentire che alcuni ne sono rimasti
edificati O convertiti a penitenza, diventano tronfi e montano in
superbia per risultati ottenuti da fatica altrui. In vero, coloro
che essi s'illudono di avere edificato O convertito a penitenza
con i loro discorsi, è il Signore che li edifica e converte
grazie alle orazioni dei frati santi, anche se questi ultimi lo
ignorano: è la volontà di Dio, questa, che non se ne
accorgano, per non insuperbire. Questi frati sono i miei
cavalieri della tavola rotonda, che si nascondono in luoghi
appartati e disabitati, per impegnarsi con più fervore
nella preghiera e nella meditazione, piangendo i peccati propri e
altrui. La loro santità è nota a Dio, mentre talvolta
rimane sconosciuta agli altri frati e alla gente. E quando
le loro anime saranno presentate al Signore dagli angeli, allora
Dio mostrerà loro il frutto e il premio delle loro
fatiche, cioè le molte anime salvatesi grazie alle loro
preghiere. E dirà: ' Figli, ecco, queste anime sono salve
in virtù delle vostre or azioni. poiche siete stati fedeli nel
poco, vi darò potere su molto'". lEGGENDA PERUGINA, in
FF §1624.
Non
solo, egli aveva notizia anche dell'altro gruppo di cavalieri
famosi, quello che seguiva il re francese Carlo Magno nella lotta
contro i mori di Spagna:
Un giorno che Francesco arrivò all'eremo dove dimorava quel novizio [...], questi gli disse: 'Padre, sarebbe per me una gran consolazione avere un salterio. Ma sebbene il ministro generale me lo abbia concesso, io voITei tenerlo con il tuo consenso'. Francesco gli diede questa risposta: 'Carlo imperatore, Orlando e Oliviero, tutti i paladini e i prodi guerrieri che furono gagliardi nei combattimenti, incalzando gli infedeli con molto sudore e fatica fino alla morte, riportarono su di essi una gloriosa memorabile vittoria, e all'ultimo questi santi martiri caddero in battaglia per la fede di Cristo. Ma ci sono ora molti che, con la sola narrazione delle loro gesta, vogliono ricevere onore e gloria dagli uomini'. Nelle sue Ammonizioni egli spiegò il significato di queste parole, scrivendo: ' l santi hanno compiuto le gesta, e noi, raccontando e predicandole, pretendiamo di riceverne onore e gloria'. [...] LEGGENDA PERUGINA, in FF §1626.
Importante è notare come questi riferimenti, così casuali e trascritti da chi seguiva fedelmente il santo e non aveva perciò interesse ad aggiungere note o commenti suoi, siano stati estrapolati e trasformati da Francesco: i suoi frati vengono paragonati, per le sofferenze sopportate eroicamente, ai cavalieri della Tavola Rotonda o di Carlo Magno, al fine di ottenere la giusta mercede, che consiste non più nel favore di una dama (spesso nella !irica cortese maritata ad un altro ), ma nel numero di anime conquistate all'amore di Dio. E un paragone piuttosto originale ed indovinato, che implica una riflessione profonda sulla letteratura profana, non distinta, forse, dalla volontà di avvicinare alla fede anche chi si dedica alla poesia e all'arte mondane.
Un
altro aspetto significativo è l'interesse per Madonna Povertà:
Francesco ne parla spesso come di una sposa, rimasta lunghi
secoli sola dopo la morte di Cristo, e finalmente rinata con lui
stesso ed i suoi frati. Molto hanno contribuito alla sua
conoscenza il trattatello scritto dopo la morte di Francesco,
noto come 'L'Alleanza del beato Francesco con madonna Povertà',
e soprattutto il famoso Canto XI del Paradiso di Dante Alighieri,
nel quale il domenicano san Tommaso d'Aquino narra la vita e le
virtù del Poverello. In realtà, questa è una metafora che
Francesco adotta per rendere fortemente visibile il suo desiderio
di una vita nella totale povertà: egli la paragona ad una dama
molto amata per farsi capire da chi lo ascolta e vuole seguirlo,
nobile o mendicante che sia.
A
parere di chi scrive questa può essere anche una risposta
all'ideale amoroso sostenuto ancora una volta dalla poesia
cortese: l'amore è una passione travolgente, che solo l'animo
nobile può provare, la dama con il suo bel sembiante e con il
suo amore eleva ulteriormente l'animo dell'amante verso una più
alta cortesia. Questa passione ingovemabile è però rivolta ad
una dama irraggiungibile, spesso sposata, o di rango più elevato
dell'amante. La Dama di Francesco è invece una realtà concreta
e quotidiana, non desiderabile secondo la maggioranza delle
persone, anzi da disprezzare, nonostante sia stata amata da
Cristo; non è amante, ma sposa fedele, e sicuramente guida alla
vera felicità, che è quella celeste.
Un
altro esempio di trasformazione da parte di Francesco di una
immagine tipica della poesia cortese si può forse ravvisare nel
suo affetto per gli uccelli, in particolare per le allodole. Qui
però si tratta di alcune considerazioni di chi scrive, senza
alcun riscontro decisivo nelle Fonti Francescane.
Significativo
sembra essere I'incipit di una ai tempi famosa poesia provenzale,
del poeta Bernart de Ventadom, vissuto tra XI e XII secolo, uno
dei primi nomi famosi della lirica cortese. l suoi versi in
francese antico suonano così:
CAN
VEI LA LAUZETA MOVER DEI JOI SAS ALAS CONTRA 'L RAI QUE S'OBLID'
E 'S LASSA CHAZER PER LA DOUSSOR C'AL COR LI VAI... (Quando vedo
l'allodola muovere le sue ali contro i raggi del sole, sicche si
dimentica di se e si lascia cadere per la dolcezza che leva al
cuore, I ahimè, così grande invidia mi viene per
chiunque io veda godere, che mi meraviglio se subito il cuore non
mi si fonde per il desiderio.)
Dunque
l'allodola è l'immagine dell'amante che cerca di raggiungere
l'amata (il sole) ma, non riuscendovi per l'eccessiva lontananza
che supera le sue forze, si lascia cadere al suolo, appagata del
suo stesso tentativo anche se non soddisfatto. Il poeta continua
affermando di provare invidia per quest'uccello che si appaga in
questo modo del suo stesso amore, mentre a lui non riesce di fare
altrettanto, e continua la poesia su questo tema, dell'amore di
lontananza. Francesco è vissuto circa cinquant'anni dopo
Bernart, e si può supporre che in questo lasso di tempo la sua
fama sia giunta anche oltre i confini della Francia, verso
l'ltalia Settentrionale e Centrale. Francesco può aver
conosciuto questa poesia in francese da qualche cantastorie,
esserne rimasto colpito e aver in seguito trasformato il
significato della metafora: infatti l'allodola può essere anche
considerata come l'immagine dell'anima, che tende verso Dio con
tutte le sue forze (anche nel 'Cantico delle Creature' il Sole è
il primo a portarne significatione...), e che anche se non
riesce a raggiungerlo si appaga di questo suo sforzo, accettando
la propria natura terrena.
Spesso Francesco parlava delle allodole, della loro somiglianza ai buoni frati per la loro umiltà e semplicità, dovuta alloro colore bruno simile a quello della terra (Fonti Francescane §1669); questi uccelli sembrarono ricambiare l'affetto la sera deJla sua morte: contrariamente alle loro abitudini, si alzarono in volo cantando nell'oscurità, invece che nella luce dell'alba
.
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e I'honore et
onne benedictione.
5
Ad Te solo, Altissimo, se konfane,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
10
Et ellu è bellu e radiante
cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato sì, mi' Signore, persora Luna e le
stelle:
in celu I'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
15
et
per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor' Aqua,
la quale è multo utile et h umile et
pretiosa et casta
Laudato si', mi' Signore, per frate Focu,
20
per lo quale enallumini la nocte:
ed elIo è bello et iocundo et robustoso et
forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Tetra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fIori et herba.
25
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per
lo tuo amore
et
sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke '1 sosterranno in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra Morte corporale,
30
da la quale nullu homo vivente pò
skappare:
guai a quelli ke motranno ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no'l fatrà male.
Laudate e benedicete mi' Signore et rengratiate
35
e serviateli cum grande humilitate.
LA POESIA DI FRANCESCO -
In
molti passi delle Fonti Francescane, che raccolgono la
testimonianza della sua vita, emerge forte la predisposizione di
Francesco alla poesia, e in particolare, per la sua scelta di
vita, alla poesia religiosa. Egli infatti, oltre alle due Regole,
al Testamento, a numerose esortazioni e lettere (tutto in latino),
ci ha lasciato alcune Laudi e preghiere per seguire la liturgia
che si ispirano in particolare ai Salmi. Infatti l'unico scopo
che il Santo aveva per scrivere versi era la gloria di Dio, e in
moltissimi passi troviamo allusioni ben precise a questo 'invito'
che Francesco rivolgeva a tutte le creature, e in alcune
occasioni si parla esplicitamente di composizione poetica:
In
quella circostanza [dopo una notte di palticolare sofferenza]
compose alcune Lodi delle creature, in cui le invita a lodare,
come è loro possibile, il Creatore.
[In
punto di morte] Invitava pure tutte le creature alla lode di
Dio, e con celti versi, che aveva composto un tempo, le esoltava
all'amore divino. Pelfino la molte, a tutti terribile ed odiosa,
esoltava alla lode, e andandole incontro lieto, la invitava ad
essere suo ospite: 'Ben venga mia sorella molte!' CELANO -VITA
SECONDA, in FF §§ 803 e 809. Vedi anche CELANO - VITA PRIMA
§§ 425 e 458
Questi
riferimenti non si riferiscono ad altro che al 'Cantico delle
Creature', che Francesco scrive, insieme alle 'Parole con melodia
per le Povere Signore del Monastero di San Damiano', nella lingua
dei poveri e degli umili, che non parlavano il latino ma soltanto
uno dei dialetti che da questo derivava: il volgare della loro
regione, depurato delle voci più quotidiane .
Ecco
le parole di Francesco stesso, riportate nella Leggenda Perugina
(FF §§ 1592seg.):
'Voglio
quindi, a lode di Lui e a mia consolazione e per edificazione del
prossimo, comporre una nuova 'Lauda del Signore' per le sue
creature. Ogni giorno usiamo delle creature e senza di loro non
possiamo vivere, e in esse il genere umano molto offende il
Creatore. E ogni giorno ci mostriamo ingrati per questo grande
beneficio, e non ne diamo lode, come dovremmo, al nostro Creatore
e datore di ogni bene'. E postosi a sedere, si concentrò a
riflettere e poi disse: 'Altissimo, onnipotente, bon Segnore ...'.
Francesco
compose anche la melodia, che insegnò ai suoi compagni.
Quali
sono le fonti alle quali Francesco si è ispirato per il suo
cantico? Non vi è una forma metrica ben precisa e riconoscibile
in altri componimenti del tempo, si tratta di una prosa ritmica,
con rare rime (es.: stelle I belle) e costanti
assonanze (es.: vento I tempo I sostentamento,
Terra I governo I herba). La formula che si ripete
nella prima parte, Laudato si', ricorda da vicino i Salmi
dell'Antico Testamento, mentre le espressioni Beati quelli... e
Guai a quelli..., che ricorrono nella seconda e nella
terza parte sono un forte richiamo alle Beatitudini del Nuovo
Testamento, quasi a voler richiamare tutte intere le Sacre
Scritture.
Il
testo è infatti diviso in tre parti, composte tra il 1224, anno
delle stimmate, e la morte, avvenuta nel 1226. La prima (vv. 1-24)
è stata composta, come abbiamo visto, dopo una notte di
particolari sofferenze: Francesco era ormai quasi cieco, ma il
ricordo della bellezza del Creato è ben vivo in lui come sempre,
fin da quando, da giovane e ancora senza compagni, andava per i
boschi cantando le lodi a Dio. Tutto è ben fatto e trasmette
pace ed armonia, non ci sono tempeste o terremoti a sconvolgere
il nubilo o la terra; addirittura, tutto è bello in se, e utile
per l'uomo, che in questa parte non compare, ma la cui presenza
è
sottintesa: il Sole è raggiante e splendido, e per mezzo suo
Dio illumina la strada degli uomini; allo stesso modo la Luna e
le Stelle sono belle e chiare, ma anche preziose; ogni tempo
atmosferico è bello perche rende variegata la volta celeste, ma
anche perche dà di che vivere alle creature; e così via, lo
stesso vale per sor' Aqua, frate Focu e la Terra, che è sorella
e madre: tutte le creature si amano e si sostengono con amore
fraterno, perche sono tutte immagini visibili del loro Creatore.
La
seconda parte (vv. 25-28) è stata aggiunta in seguito, come
possiamo leggere nella Leggenda Perugina (FF §1593), quando
un'aspra contesa divideva il podestà e il vescovo di Assisi:
Francesco,
malato com'era, fu preso da pietà per loro, soprattutto perché
nessun ecclesiastico o secolare si interessava di ristabilire tra
i due la pace e la concordia. E disse ai suoi compagni:
'Grande vergogna è per noi, servi di Dio, che il vescovo
e il podestà si odino talmente l'un l'altro, e nessuno si prenda
pena di rimetterli in pace concordia. Compose allora questa
strofa, da aggiungere a/le Laudi.
l
due contendenti si commossero al canto di questa strofa, al punto
da fare pace, come Francesco aveva predetto.
La
terza parte (vv. 29-33) fu composta da Francesco qualche giorno
prima di morire, quando egli sentì che non bisogna temere
sorella Morte, se si è nella grazia di Dio, perche allora non
farà male la morte 'secunda', cioè il giudizio divino.
Gli
ultimi due versi sono un richiamo all'incipit, in cui si esorta
ancora una volta a lodare Dio.
Vi
è quindi un passaggio continuo tra il Cielo e la Terra: Dio
stesso si preoccupa delle sue Creature, non soltanto offre un
sostegno fisico, ma dà anche la forza per sopportare le
sofferenze. Questa attenzione è sottolineata dalla sequenza
nella quale si susseguono le creature nel Cantico, che, come
sempre nel Medio Evo, non è lasciata al caso ma segue una logica
ben precisa: dal Creatore e dal Sole, che ne è l'immagine più
vicina, si scende agli astri della volta celeste (luna e stelle),
poi agli agenti atmosferici e all'acqua, che si trova sia in
cielo che sulla terra; si scende ancora al fuoco e poi alla terra.
Ultimo viene l'uomo, quasi a rievocare ancora una volta la
Creazione.
Alcuni
commentatori hanno inteso vedere, al di là della semplicità di
questo componimento, un riferimento alla realtà sociale-religiosa
del tempo. Il movimento religioso ed eretico dei Catari sosteneva
con forza la necessità di un rinnovamento nel modo di vivere
delle persone inteso ad allontanarle dalle cose mondane, fonte
soltanto di peccato e di dannazione. Infatti la loro teoria
affermava che il mondo e la vita terrena erano soggette alle
leggi di Satana e perciò nulla vi era di apprezzabile sulla
terra: bisognava purificarsi e attendere la vita dell'aldilà,
riservata a pochi.
Francesco
con il suo Cantico sembra opporre una pacata ma ferma condanna di
queste teorie, affermando esservi un unico Signore del cielo e
della terra, che ama tutte le sue creature e ne ha cura: il
creato, lungi da essere governato dal Male, è addirittura
immagine del suo Creatore.
Molti
sono i commentatori che hanno studiato questo testo. Infatti la
letteratura italiana delle origini comincia con il 'Cantico di
Frate Sole' in Umbria, e con la poesia amorosa della corte di
Federico Il in Sicilia, sua contemporanea. La piena dignità
letteraria del volgare giungerà circa sessant'anni dopo con la
scelta di Dante Alighieri di scrivere la 'Commedia' nella lingua
della sua terra, perfezionandola ed arricchendola di termini
nuovi.
-ALCUNI FRANCESCANIIMPORTANTI -
La
figura di Francesco colpì molto i suoi contemporanei mentre era
ancora in vita, ma continuò ad esercitare ammirazione e volontà
di seguirne le orme per molti secoli, fino ai giorni nostri.
Molti francescani furono uomini importanti nella storia della
cultura e molti artisti e pensatori si lasciarono coinvolgere e
affascinare da quello stile di vita così essenziale e povero ma
gioioso ad un tempo. Possiamo ricordare brevemente tutti coloro
che dopo il 1226 scrissero episodi, biografie e leggende sulla
vita di Francesco, per non perdere neanche un frammento della sua
vita, per lasciarne memoria a coloro che sarebbero venuti dopo,
Tommaso da Celano, San Bonaventura, l'autore dei Fioretti e tutti
gli anonimi redattori.
San Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274) fu ministro dell'ordine dal 1255 alla morte e, oltre a lasciarci le due biografie 'ufficiali' (Legenda Maior e Minor), scrisse un'opera filosofica per la cattedra di Parigi, dove era maestro di filosofia: 1"ltinerarium mentis in Deum', una sorta di 'viaggio' in tre tappe che l'anima deve compiere per intero per cercare di giungere alla vera conoscenza di Dio e la pace dello spirito. Questo itinerario si svolge attraverso il mondo, perchè le creature sono immagine del loro Creatore, e attraverso l'anima stessa, anch'essa creatura e perciò a somiglianza di Dio; la Grazia divina permette alla fine l'ultimo passaggio, dalle creature a Dio stesso. Queste teorie erano state già intuite un centinaio di anni prima da altri maestri di Parigi (e forse Francesco stesso ne aveva sentito parlare), ma Bonaventura poteva avere in mente anche il 'Cantico delle Creature' del suo Padre fondatore: egli infatti per scrivere la sua opera si ritirò alla Verna ne11259.
Dopo
di lui questa corrente di pensiero si sviluppò da Parigi ad
Oxford, i maestri furono quasi tutti francescani, e diedero una
spinta formidabile alla filosofia del tempo.
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