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da L' Espresso del 25 aprile 2006
Mafia e politica nelle carte di Provenzano

Nei bigliettini ricevuti dal boss Matteo Messina Denaro, i malumori di Cosa Nostra per lo scarso sostegno da parte dei rappresentanti dello Stato sulla modifica del 41bis e la legge sulla confisca dei beni dei mafiosi


di Fabrizio Gatti

Si parla anche di politica nei pizzini trovati a Bernardo Provenzano. Dei 350 messaggi sequestrati nel covo di Corleone, dieci sono stati scritti al capomafia da Matteo Messina Denaro, 44 anni, latitante dal 1993 e tra i possibili successori del boss arrestato l’11 aprile dalla polizia. In alcuni di questi, come "L’espresso" è in grado di rivelare, Messina Denaro si lamenta con Provenzano perché i politici non sostengono Cosa Nostra. Secondo le indiscrezioni non si fanno nomi, ma l’allusione è a ciò che la mafia si aspettava dallo Stato: dalla modifica del 41 bis che regola la detenzione in carcere all’abolizione legge Rognoni-La Torre sulla confisca dei beni della piovra. Può essere una coincidenza, ma nell’autunno scorso un progetto di Silvio Berlusconi e dei ministri Roberto Castelli e Giuseppe Pisanu, poi ritirato per le proteste, prevedeva proprio l’ammorbidimento della Rognoni-La Torre.

I messaggi di Matteo Messina Denaro sono stati scritti al computer e poi stampati. E i fogli piegati e arrotolati in piccole dimensioni, in modo che i postini della mafia potessero nosconderli durante il trasporto. Non sono firmati, ma il contenuto e il modo di presentarsi dell’autore porta al boss cresciuto nella famiglia di Castelvetrano, in provincia di Trapani. La data, che accompagna ogni messaggio, risale ad alcune settimane fa e la consegna a pochi giorni prima dell’arresto. Nel pieno della campagna per le elezioni nazionali e regionali, Messina Denaro comunica a "zu Binu", 73 anni, così come i mafiosi chiamano Provenzano, i problemi che Cosa Nostra ha nell’ottenere benefici dalla politica. Nel 2003 un’inchiesta sui legami criminali tra politici e investigatori corrotti aveva scoperto come Provenzano e i suoi potessero conoscere in anticipo le mosse della Procura di Palermo. E anche per questo il capomafia ha potuto prolungare la sua latitanza.

Altri pizzini trovati nel covo di Corleone sono invece attribuiti a Salvatore Lo Piccolo, 64 anni, ricercato dal 1992, boss del mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale, quartieri alla periferia ovest di Palermo. Lo Piccolo è considerato l’altro possibile capo della nuova Cosa Nostra. Nei messaggi, i due superboss latitanti salutano zu Binu riconoscendogli il massimo rispetto. Secondo i magistrati, Provenzano era a Corleone dalla fine dell’inverno. Mezz’ora dopo l’arresto, un investigatore della squadra mobile di Palermo ha chiesto al boss cosa avrebbe fatto se si fosse accorto dell’arrivo della polizia. E lui ha risposto con altre due domande: «E voi che dite? Andarmene non era un mio diritto?». In questura i poliziotti hanno poi provato a fargli altre domande e lui ha sempre risposto nello stesso modo: «E voi che dite?».

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da www.ilgiornale.it del 26 aprile 2006

Gli ordini di Provenzano nei pizzini: «Messina Denaro è il mio erede»
Mariateresa Conti

da Palermo

C'è il «giallo» dell'identità del numero cinque, la cifra con cui prima del suo arresto veniva identificato Ciccio Pastoia, suo fedelissimo trovato morto in cella, un suicidio sul quale ci sono non poche perplessità. Ci sono i contatti diretti con altri due superlatitanti doc, Salvatore Lo Piccolo e quel Matteo Messina Denaro ritenuto il suo vero successore. E poi ci sono altri numeri, da 2 a 164, tutti con relative «specializzazioni»: c'è chi si occupa di appalti pubblici,
chi di estorsioni ai negozi, chi, ancora, di problemi pratici quali la raccomandazione per un posto di lavoro. Cifre e lettere, lettere e ancora cifre, sulla base di un codice - è una delle ipotesi - che non è ancora stato trovato ma che potrebbe essere basato sulla Bibbia tanto cara al superboss, quella consunta e piena di annotazioni trovata nel covo di Montagna dei Cavalli, a Corleone. Un rompicapo. Un rompicapo che, si spera di risolvere anche grazie all'aiuto dell'informatica, attraverso confronti incrociati e ricorrenze di lettere e vocaboli.
È un lavoro certosino quello che gli inquirenti stanno portando avanti sugli oltre 300 «pizzini» - i bigliettini di carta da sempre utilizzati dal boss per comunicare - trovati nell'ultimo rifugio di Bernardo Provenzano, nella masseria di Corleone. Un sofisticato lavoro di intelligence, nella speranza di ricostruire praticamente in tempo reale l'organigramma attuale di Cosa nostra, quello che Provenzano guidava con i suoi ordini dalla latitanza. Oltre 300 pizzini, si diceva. Divisibili, per grandi linee

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da www.isolapossibile.it del 21 aprile 2006

Crisi di "vocazioni" in Cosa Nostra. Lo rivelano i «pizzini»

di Red online,  21 aprile 2006

di MASSIMO GIANNETTI

PALERMO L’arresto nei mesi scorsi di centinaia fra boss e affiliati avrebbe creato alla mafia seri problemi nella gestione quotidiana degli affari, ma soprattutto nel reclutamento di «nuove persone di fiducia». Tanto da determinare una vera e propria crisi di vocazione. E’ quanto emergerebbe dai famosi «pizzini» sequestrati nei giorni a Bernardo Provenzano nel covo di Corleone e sui quali prosegue il difficile lavoro di decodificazione da parte della Dda di Palermo. Ma i magistrati sono riusciti a dare già parecchi nomi a quelle missive anonime sulle il padrino segnava dei numeri di riferimento. Alcuni di questi apparterrebbero ai due colonnelli di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro e Salvatore Lo Piccolo, entrambi latitanti da molti anni e ritenuti probabili successori di «binnu u tratturi» al vertice della Cupola. Nei loro messaggi, hanno riferito dalla procura, si rivolgono al boss con «grande referenza» chiedendogli autorizzazioni sul controllo degli appalti e sottoponendogli problemi di varia natura sull’organizzazione mafiosa. E il «problema più grave» che spiegano a Provenzano sarebbe appunto l’«insufficienza di uomini a disposizione delle cosche siciliane».

Più di 400 sono fra boss e affiliati le persone arrestate negli ultimi mesi con l’accusa di far parte della rete che ha favorito la lunga latitanza di Provenzano. Ma per gli investigatori la traduzione di questi «pizzini» sarebbe un’altra conferma che Matteo Messina Denaro e Salvatore Lo Piccolo non solo erano in stretto contatto con l’ex primula rossa, ma ne riconoscevano il ruolo di «capo indiscusso» all’interno di Cosa nostra. Oggi intanto nel carcere di Terni è previsto il primo faccia a faccia tra Provenzano e i magistrati Giuseppe Pignatone, Marzia Sabella e Michele Prestipino. Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso è però convinto che il padrino farà scena muta: «L’interrogatorio è un atto doveroso, ma non credo verrà fuori alcunché», è la sua previsione non auspicata. L’ex capo della procura di Palermo, intervistato a Roma dai giornalisti stranieri, è si è invece detto convinto che «l’organizzazione mafiosa, dopo la cattura di Provenzano stia vivendo un momento di stasi e di crisi». E a chi gli chiedeva perché i figli e la moglie di Provenzano non siano stati indagati per favoreggiamento, visti i rapporti che continuavano a tenere con il loro congiunto, prima ha risposto che la legge italiana non lo prevede, poi ha aggiunto: «I figli di Provenzano sono arrivati alla laurea e ho sentito i loro insegnanti qualificarli come ragazzi molto intelligenti e studiosi. Non vedo perché debbano essere penalizzati».

Ma proprio ai figli di Provenzano si è rivolto con una lettera aperta il fratello di Peppino Impastato: «Uscite allo scoperto, dite chiaramente di avere avuto un padre mafioso, senza per questo rinnegarlo come essere umano, così come ho fatto io - scrive Giovanni Impastato - Sono stato anch’io ragazzo come voi e ancora prima di me lo è stato mio fratello Peppino, siamo tutti figli partoriti dalla stessa mafia.... Una mafia fatta di uomini che diventano padri e dicono ai loro figli che sono vittime innocenti della giustizia costretti a vivere nascosti come talpe. Mi piacerebbe incontrare Angelo e Francesco Provenzano - prosegue Impastato - discutere delle nostre esperienze. Già il fatto che i due giovani sembra vivano in un contesto di normalità è una rottura. E’ chiaro che i figli di Provenzano ora si sentano isolati ma è necessario che si conquistino la solidarietà degli altri e quindi devono uscire alla scoperto».

 

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