(Abraxas FansClub...)
Prenderò a pretesto il titolo di
una canzone e ci metterò un ricordo, io ci provo...
Via del Campo
La 500 era quella di mio papà. Bianca, familiare, MI 581044, ricordo ancora la
targa. Una volta, quando ancora non avevo la patente altrimenti faceva sempre
guidare me, ci caricò tutti (quando dico tutti, dico troppi) e ci portò a
Brunate, lago di Como, una scampagnata in una bella giornata di sole. Eravamo:
Augusto, Corrado, Antonio, mio fratello Lucio ed io.
La 500 familiare aveva il portellone dietro e aprendolo c’era lo spazio per
mettere una valigia, dei pacchi, materiale vario: mica era tanto grande…ma
Lucio, che era la mascotte della compagnia ci si infilò e fece tutto il viaggio
lì. Che giornata indimenticabile! Pic-nic in riva al lago, bagno in quelle acque
non proprio accoglienti, con papà che si piantava nell’acqua fino alla cintola,
allargava le braccia come l'uomo di Leonardo e quattro di noi formavano una
specie di piramide sul suo corpo muscoloso e sorridente. Ne conservo la foto da
qualche parte. Presi la patente giusto tre mesi dopo aver compiuto i diciotto
anni e nella compagnia ero uno dei pochi ad avere questo privilegio, ma non per
scelta mia; fortunatamente la SIP aveva provveduto a impormela per farmi guidare
un mezzo sociale, la “bianchina”, di quelle che avevano le scale sopra il tetto
e che ora non si vedono più nemmeno dagli sfasciacarrozze…
Avere la patente e chiedere ogni tanto l’auto a papà divenne automatico e mai ci
fu un rifiuto. I sabato sera erano nostri, mai meno di cinque e più di cinque,
fortunatamente non ero il solo ad avere un’auto e allora via per le avventure
notturne in quella Milano che si è persa nella notte dei ricordi e nel tepore
dell'anima come una stufa che conserva le braci a lungo. Augusto, uno che aveva
dovuto crescere in fretta e aveva perso il padre quand’era piccolo, la mamma
ormai alcolizzata cronica e quasi sempre a disintossicarsi in qualche clinica,
era tra i più svegli della compagnia anche se le ragazze non se lo filavano
troppo per quella sua faccia lentigginosa e buffa. Ci fece una proposta che
tutti accettarono con gli occhi che luccicavano...quasi tutti, io difatti rimasi
defilato nell’ombra del mio imbarazzo, ma essendo l’autista ufficiale della
compagnia non potevo certo tirarmi indietro. Ci disse che conosceva una piccola
pizzeria, lui ci andava spesso, si trova va in via del Turchino proprio a vicino
a piazza Cuoco (che caso.. proprio a due passi da dov’ero nato, via degli
Etruschi); la gestiva una quarantenne polacca, ungherese o slava, non ricordo
più da dove fosse sbarcata so solo che era una profuga. Lui si divorava una
pizza al trancio (ancora non c’erano quelle rotonde e sottili di adesso, erano
quasi tutte così), una coca-cola e aspettava. Aspettava l’ora di chiusura,
mezzanotte o giù di lì, quando la tipa abbassava la saracinesca, sbaragliava la
sala di tavoli e sedie accostandole alle pareti, stendeva un paio di materassi
per terra e per la modica somma di lire duemila (un Euro ragazzi, un EUROOO)
concedeva le sue grazie e la sua esperienza solo a giovani clienti. Una nave
scuola. La pizza non era male, la fame abbondava e la vista della Wilma, questo
il suo nome, mi mise un appetito che ancora non avevo mai affrontato. Il fai da
te era il lussurioso contatto con il misterioso mondo del sesso, qualche raro e
quasi introvabile giornaletto porno avevano sempre fatto da supporto alle
fantasie…e giù di mano! L’ultimo cliente se ne andò, lei ci strizzò l’occhio,
abbassò la clear e ci fece andare di là in cucina, mentre preparava l’alcova al
sapore e profumo di pizza. Il primo fu Corrado, richiuse la porta sui miei occhi
stupiti e pieni di malizia idiota e angoscia vera e sparì. Passò una buona
mezz’ora da barbiere quando fece ritorno, il vico paonazzo con un sorriso ebete
e quasi imbarazzato; ora sarebbe toccato a me, avevamo sorteggiato i turni con
gli stuzzicadenti spezzati con lunghezze variabili ed eravamo i soliti cinque.
Arrancai goffo e tremolante oltre la soglia del paradiso...non ci fu bisogno che
pensassi a che fare, come muovermi, cosa dire…fece tutto lei, rese inutile il
mio disagio, facile l’approccio, piacevole il resto. Piacevole? Molto di più,
anche se non era stato il mio sogno romantico di come perdere la verginità, era
pur sempre stato un viaggio lungo e esaltante. Se dal ricordo del primo bacio
saremo portati a giudicare tutti quelli futuri, devo ammettere che quella prima
esperienza ha, in qualche modo determinato la mia sessualità, nel bene e nel
male, semmai ci fosse qualcosa di male nell’atto sessuale fine a se stesso.
Wilma, la pizzaiola, via del Turchino.
Non c’è più la pizzeria, Wilma sarà novantenne da qualche parte del mondo o
forse l’ha lasciato.
Via del Turchino è sempre lì, a ricordarmi quel primo passo alla mia scoperta.
Eravamo proprio dei pionieri, qualcuno ha anche amato Marilyn Monroe, ma lei non
l'ha mai saputo.
la mia "prima volta" (non quella la'...)
Anch'io avevo circa 18 anni,all'epoca. Con altri 3 compagni avevamo formato un
complessino,
batteria,basso e 2 chitarre elettriche,come i Beattles....Ci sfogavamo in una
cantinola del
palazzo dove abitavamo io e Franco,l'altro chitarrista. Massimo alle 22 dovevamo
smettere,
altrimenti i condomini del primo piano venivano a lamentarsi e avremmo perso il
permesso
di suonare laggiù. Il nostro repertorio era ancora striminzito,quando Pino,un
nostro amico
intraprendente e traffichino, ci trovò un ingaggio. Il locale si trovava nelle
vicinanze del
porto ed era denominato U.S.O......era un locale frequentato da marinai
americani. Dovevamo
suonare poche ore il sabato sera per intrattenere qualche marinaio mezzo ubriaco
e farlo
ballare con le ragazze (chiamiamole così.....).Accettammo con immensa
euforia,nonostante
avessimo in repertorio solo 12 (dico dodici) canzoni. La paga che ci fu promessa
: 8 dollari.
All'epoca il dollaro andava a 650 lire circa. Arrivò il sabato e ci preparammo
per andare
finalmente a suonare. Pino si fece prestare l'auto dal padre,una 1100
fiat,quella con le punte
sulla coda. Non so come facemmo a caricare sul portapacchi tutta l'attrezzatura.
Quello che non
potemmo mettere su,lo ficcammo in macchina e stipati così andammo al locale.
Montati gli
strumenti,cominciammo la serata. Per perdere tempo,tra un pezzo e l'altro
aspettavamo un po'.
Tanto nessuno si lamentava.Con l'incoscienza della gioventù che ci
sosteneva,facemmo
"Satisfaction" (dei Rolling Stones") per ben 5 volte . Chissà cosa pensavano
ascoltando il
nostro inglese. In seguito,la massima soddisfazione fu di suonare al MkP 100 del
mio liceo.
Fu organizzato in un bellissimo hotel del lungomare. C'era già tutta
l'attrezzatura del
complesso ufficiale,noi eravamo solo di "spalla"....insomma...l'antipasto.Ma fu
ugualmente
bello arrivare con la chitarra in mano,salire sul palco,attaccare il jack e
cominciare a
suonare. Facemmo il nostro cavallo di battaglia..."Per una lira" di Battisti.
Per la cronaca, quell'anno, all'esame di stato,fui bocciato. Dovetti
abbandonare(temporaneamente)
la musica,che era stata la causa del mio fallimento,per riuscire a prendermi il
diploma l'anno
successivo. Era il 1969.
Di
certo il mio ricordo è rimasto fermo alle mitiche "festine", quasi sempre a casa
di noi ragazze. Noi ci mettevamo il budino e la ciambella fatti da mamma, i
maschi si consorziavano per acquistare due bottiglie di Strega.
Io, la più fortunata, possedevo un giradischi a valigetta, foderato di plastica
rossa e bianca, con un trabiccolo che sosteneva la pila dei 45 giri facendoli
calare a intervalli, così che il povero martire della compagnia ogni tanto
evitava di portare lo strumento, anche se comunque era sempre suo il compito di
scegliere e cambiare i dischi.
Quando risuonavano gli shake, si poteva stare tranquilli, mentre quando
frusciavano i lenti, c'era sempre una madre o una zia che entrava con una scusa.
Se invece la festina era in casa di un ragazzo, le cose cambiavano. I genitori
non c'erano mai e.....le lampadine si "fulminavano" improvvisamente ogni volta
che le parole "se stasera sono quiiiii
è perché ti voglio beneeeeee" o "je t'aime moi non plus" fluivano nell'aria, e
nessuno chiedeva spiegazioni per quel "tempismo"!!!
I ragazzi ci invitavano con uno schiocco di dita e l'indice puntato sulla
predestinata, una moda lanciata da un famoso film francese, ma se il
proprietario del dito era il solito sudaticcio (uno c'è sempre nella compagnia)
che ogni volta s'incollava come una sanguisuga inumidendo il vestito talmente
che l'odore non andava più via manco con l'intervento della tintoria, allora
c'era un fuggi fuggi generale verso il bagno....tutte con un bisogno impellente
improvviso. Passi il soffio al collo, ma le mani sulle natiche no e poi no!
A metà pomeriggio il consueto intervallo col gioco della bottiglia. Tutti in
cerchio con gli occhi puntati al centro, dove rullava l'oggetto di vetro verde.
Generalmente i ragazzi promettevano un bacio e le ragazze uno schiaffo, che poi
si riduceva a una carezza con vaghe promesse di qualcosa in più se l'oggetto
della "punizione" era piacevole.
Adesso che nelle case ci sono porcellane antiche e preziosi tappeti, non si
trovano più madri disposte a rischiare. Adesso chi vuol dare una festa
(generalmente per il compleanno, o il diploma, o la fine dell'ingessatura)
diventa un manager: contatta il gestore di un locale e conclude l'affare; poi si
stabilisce una quota per ogni invitato, al posto del regalo.
A questo punto, per evitare una scarsa partecipazione, con il rischio di pagare
le spese di tasca propria, comincia una febbrile propaganda di tipo elettorale,
si raccomanda agli amici di invitare altri amici e gli amici degli amici,
magnificando tutte le attrattive, ragazze strepitose, musica da sballo, cibo e
bevande a volontà.
Questa soluzione è comoda per tutti, gli invitati non hanno più il problema del
regalo (il poster, le poesie di Neruda, l'articolo firmato) e si presentano solo
con i 20 euro stabiliti.
Più pratico ora? Più romantico prima? Boh
a
proposito di bottiglie...
Ornella, il gioco della bottiglia mi ha fatto tornare in mente...
ricordi "hey Paula" cantata da Paul(Anka)& Paula?
Hey Paula
La casa di Augusto era alla scala "C". Via Preneste 2, secondo piano, una
vecchia casa popolare nella periferia sud-ovest di Milano, zona S.Siro. Lì ci
facevamo la maggior parte dei festini, musica, pasticcini e speranze, un rito di
quasi ogni domenica pomeriggio. Si cominciava alle due e mezza di solito, chi
arrivava tardi si doveva orientare al buio, al suono del giradischi, alla
memoria degli spazi conosciuti. Le tapparelle era già abbassate da un pezzo e la
luce era spenta tra una canzone e l’altra; si riaccendeva giusto per cambiare il
disco.. In quei tre minuti e rotti del 45 giri ci si stringeva alla propria
ragazza nei “balli della mattonella”, i lenti; baci accennati, baci più che
accennati, a volte rifiutati se avevi sbagliato ragazza… Già, si cominciava
sempre con i lenti, la regola era quella finché le ragazze non esigevano qualche
gioco o balli più allegri, Hully Gully, Madison, Twist. Si sa, le ragazze hanno
le loro piccole manie. Allora si alzavano le tapparelle, si riaccendevano le
luci e cambiava lo scenario. Visi illanguiditi si colorivano di nuovo, alcuni si
sistemavano alla bell’è meglio i jeans - per i fortunati che ne avevano già uno
- alcune si raddrizzavano le gonne, con una punta di rossore che le velava le
gote.. Io, diciassettenne imberbe e sognatore, ero rimasto ancora ai baci sulla
guancia. Una frana. Era una domenica di ottobre, morbida di calore come una
coperta di lana e tenera dei colori d’autunno; la festa era al bivio, finiti i
lenti, ora si faceva qualche gioco. E arrivò il gioco della bottiglia, sì quello
famoso della bottiglia! Non lo sapete? Ve lo racconto io. Tutti seduti in
cerchio e una bottiglia sdraiata in mezzo, con un mazzo di carte rovesciato sul
dorso e sparpagliato al suo intorno. A turno ciascuno fa ruotare la bottiglia
finché non si ferma da sola; a questo punto, se si è fermata in corrispondenza
di una ragazzo o ragazza di sesso opposto a chi l’ha fatta girare, il gioco
prosegue, altrimenti si ricomincia finché non si verifica la situazione
corretta. Mettiamo che l’abbia fatta ruotare una ragazza e il collo si sia
fermato, come un dito accusatore, in direzione di un ragazzo; a questo punto la
ragazza sceglie a caso una carta: se esce Fiori = carezza, Picche = schiaffo,
Quadri = bacio sulla guancia…e Cuori= bacio sulla bocca, alla francese, di là…in
anticamera, da soli. Una specie di penitenza, una specie di fortuna, una specie
di speranza? Ognuno aveva le sue mire, io non avevo mai baciato una ragazza,
baciato sul serio intendo, come i grandi attori. Arriva il mio turno, la mano
tremolante afferra la pancia della bottiglia vuota e immobile e la faccio girare
velocemente; swooommmmmm…pigramente si rallentano i giri, il pavimento d’un
marmo antico sembra divertirsi a farne continuare la corsa, trannnnn..trannnn..trann...tr
r r an, ferma. Il dito-collo indica una ragazza. Giuliana, bellissima. Occhi
azzurri, capelli lunghi e neri, un viso regolare, ovale, stupendo e sorridente.
Prendo una carta, la giro subito senza pensarci...CUORI! Il clamore delle risa
confonde il mio imbarazzo e lo nasconde, ora dovrò alzarmi e andare di là con
lei, urca…e come faccio? Ci pensa lei, mi prende per mano, ha tre anni meno di
me ma non sembra, e mi tira su, sorride, mi sta facendo sentire piccolo,
piccolo…la seguo. Lentamente si chiude la porta dell’anticamera, siamo solo noi
due e il telefono appeso al muro che sembra osservarci indiscreto de muto, ci
appendo sopra la giacca così se suona risponde lei. Non mi accorgo neppure che è
sparita l’ansia, che le gambe hanno smesso di tremare, che il cuore batte con un
tum tum tum regolare. Le sorrido e l’abbraccio con leggerezza, avvicino il mio
viso al suo che docilmente si lascia andare... ci baciamo. 10, 15 secondi, un
attimo d’eternità, un fragore silenzioso, una pioggia di brividi…L’arcobaleno
era lì senza che nemmeno il temporale fosse arrivato. E poi torniamo col sorriso
malizioso stampato in faccia, come quello di una copertina del "Grand Hotel", di
là con gli altri. Non accade più nulla fino alla fine della festa, solo sguardi
languidi e un po’ ingenui, mentre le nostre mani ogni tanto s'incontrano come
per caso, si stringono e fremono d’emozione. La festa finisce, tutti a casa.
Inizia una nuova settimana piena di sospiri, di attese fuori dalla scuola ad
aspettarla, di mano nella mano, ma baci mai, solo il dolce incanto del ricordo e
la speranza riposta nella prossima domenica. E questa volta il festino si farà a
casa di Angelo.
Arriva la Domenica, via Paravia 82; ci abitavo anch’io lì, ero il figlio della
portinaia e Angelo abitava alla scala “D”, 5° piano. Giuliana c’era. Io c’ero.
Il clamore degli amici e delle prime canzoni era impercettibile, mi pareva ci
fossimo solo lei ed io e i nostri occhi. Sul giradischi “Geloso” si srotolava
lentamente “Hey Paula”, un lento lentissimo; noi due non l’abbiamo ballato;
accoccolati sul divano ci siamo dati un bacio, un profondo e indimenticabile
bacio che è cominciato con le prime note della canzone ed è finito solo quando
il click del pick-up ha detto che era ora di mettere su un altro disco.
Giuliana, che dolce ricordo. Dopo tre settimane il nostro amore era già finito,
dopo qualche mese le nostre strade si sarebbero divise, da allora non l’ho mai
più vista.
Ma ho ancora qui quel bacio.
galeotto
fu il giradischi
Avevo 15 anni e ci eravamo da poco trasferiti in una palazzina in collina.
L'appartamento
era sullo stesso pianerottolo di quello dei miei cugini,di cui il più grande
aveva due
anni meno di me. Inutile dire che ancora non avevo la ragazza ed anche il primo
bacio era
ancora un sogno proibito. Un giorno,all'inizio dell'estate,venne ospite, presso
mia zia,la
figlia di loro amici di vecchia data. Io l'avevo vista varie volte in passato a
casa di mio
cugino e devo dire che non e' che mi piacesse molto. Non era bruttina,anzi.
Era rotondetta, molto scura di pelle,capelli ricci sempre arruffati. Vederla
ora, però, dopo
un certo periodo di tempo,mi fece un certo effetto. Aveva 14 anni circa, ed era
già riempita
in quelle parti che ai maschietti piacciono tanto. Dopo aver giocato un po'
insieme agli altri fratelli più piccoli, ci venne l'idea di mettere qualche
disco e ballare
un po'. E qui comincia il bello. I fratellini pian piano se ne vanno a giocare
altrove ed io
e mio cugino rimaniamo nel salotto a ballare con lei, una volta per uno. C'era
però una marcata
differenza, che all'inizio mi mise un po' in imbarazzo. Con me lei si
avvinghiava letteralmente
al mio corpo, mi faceva sentire la sua morbidezza, si strusciava con le cosce e
mi guardava in
modo inequivocabile. Aspettavo con ansia il mio turno per tornare a godere
quella piacevole
novità. Era la prima volta che avevo un contatto così ravvicinato con una
ragazza.
La cosa andò avanti un bel po' fino all'ora del pranzo. Più tardi tornai a casa
di mio cugino e
lei era in camera da letto a riposare. Io mi misi a leggere, da solo, in una
stanzetta attigua alla
cucina. All'improvviso squillò il telefono, in cucina, ed io andai a rispondere.
Era sua madre...la
chiamai e lei accorse, a piedi scalzi. Ero lì vicino, che la guardavo mentre
rispondeva a sua madre.
Finita la telefonata, lei fece per tornare in camera da letto e dovette per
forza passarmi davanti.
Quando mi fu vicino.....si fermò e mi dette un bacio, labbra sulle labbra,
tenerissimo.
E' ancora la', nella mia memoria.
In
viaggio con Abraxas
“Come mi vuoi”
(Caffè Ambrosiano)
"Viaggiamo insieme,sono Abraxas e sarò la tua ombra e leggerò i tuoi pensieri,un
breve viaggio, un incontro, nulla più, molto di più".
Nella carrozza della metrò sono entrate due persone; sobrie, giovanili, nemmeno
tanto dimesse. Lui hai un grosso registratore che accende e subito un ritmo
sudamericano avvolge il silenzio rumoroso della carrozza. Dal suo giubbotto
estrae un logoro flauto d'un colore indefinito (lo avrà mai avuto un colore, ti
stai chiedendo?), lo accarezza come per tranquillizzarlo e lo accompagna alle
labbra screpolate e secche; ora il ritmo non è un tum-tum-tum, ora ha anche la
sua melodia e tu la riconosci subito; è “Cielito lindo”. E’ bravo quest'artista
improvvisato e piacevole osservarlo, suona e sorride a tutti, mentre la sua
compagna gira fra la gente con un bicchiere plastificato di coca-cola e accetta
offerte senz’essere invadente; le dai una moneta e ti sembra di essere tornato
ai tempi del Juke Box…solo che questi due hanno un naturale e guittesco modo di
porgerti la loro musica che ti hanno strappato una piccola emozione. Fermata
Duomo, devi scendere. Fuori dalla stazione del metrò il cellulare è di nuovo
vivo. Ora stai di nuovo pensando a lei (bugiardo, non era mai uscita dalla tua
testa e ci pensavi anche mentre ascoltavi la musica...La chiami e la sorprendi
(è questo che volevi no?), la aggredisci… “sono qui bimba, ora hai tre
possibilità, rimanere in ufficio, pranzare con me anche se è ancora presto,
venire a prendere un aperitivo..” Sapevi, perfido, sapevi che non avrebbe
resistito…”mi dai due minuti?" ti risponde, e noti con gioia che c'è allegria
nella sua voce, "ti richiamo a breve" e chiude. Intanto i tuoi passi si
avvicinano al suo ufficio, non fai caso alla gente che ti scivola accanto, non
la vedi nemmeno, ti interessa solo che risuoni il cellulare e l’incontro con i
suoi occhi. Suona, suona! “ok, arrivo, davanti alla Rinascente?”, “no, sono a
due passi da te, Caffè Ambrosiano”. E ora aspetti, sai che arriverà a momenti,
ma da dove? Dal fondo della galleria o dalla via di fianco? Non importa, ti
metti in posizione strategica dalla quale la vedrai arrivare comunque...eccola!
Cappotto grigio, ombrello e un sorriso che, seppure così lontano, ti ha già
catturato mentre chini il capo di traverso e sorridi anche tu. Due sorrisi che
si incontrano così non aspettano che una cosa. Un bacio. Tutti e due non avevate
in mente altro, quel bacio era lì da ore, in attesa di essere donato,
ricambiato, assaporato e finalmente libero di far vivere un brivido. Dentro al
“Caffè Ambrosiano” la cameriera ti lancia un malizioso sorriso, poco prima
t’aveva notato mentre leggevi il menù là fuori e s’era avvicinata invitandoti ad
entrare; “grazie, ma sto aspettando una persona”…ed ora sapeva che non le avevi
mentito, eravate lì e lei sembrava felice di vedervi. I primi tavolini sono
piccoli con i bordi arrotondati, eleganti come tutto l’arredamento un po' “fin
de siecle” e ricco di fronzoli, e hanno solo due sedie, giusto per voi. Vi
sedete e ordinate due cioccolate calde, la sua con panna e mentre la chiede si
vede che già la sta gustando avidamente solo al pensarci. Pochi attimi e siete
davanti a quelle due tazze fumanti, mentre i vostri occhi si incontrano, le mani
si cercano, fra lievi carezze e piccole strette che vogliono trasmettere la
gioia d’essere insieme. Le sfiori col dorso di due dita la guancia, accarezzi le
piccole efelidi e sorridi nel suo sorriso, vorresti ancora darle un
bacio…vorresti. Invece le rubi solo un cucchiaino di panna da sopra la sua
cioccolata, la cima di quel piccolo monte bianco increspato di cacao, e ti tuffi
nella tua calda colazione. Le sue dita affusolate hanno unghie curate e dipinte
d’un color ambra che ti piace e, mentre l’osservi, lei ti entra nei pensieri e
ti racconta che ama vestirsi, oltre che d’abiti adeguati, anche di colori che
siano in armonia con il suo umore, il giorno e le cose che l’attendono. C’è
qualcosa che ti sfugge in questa ragazza. Nessuna posa, niente ostentazioni, ha
una naturalezza che non riesci a definire e mentre osservi i suoi movimenti,
mentre ascolti le sue parole che scorrono e ti raccontano di lei, scopri cos’è.
E’ fascino. Ora che sei certo d’aver trovato la magia che avvolge la sua persona
e sai che è fascino, cerchi di capire se è stata lei a scoprire il fascino o se
il fascino s’è impadronito di lei e ne ha conquistato il tratto. Non importa. E’
fascino. Il tempo vi è nemico, non si cura della vostra tenerezza, è tempo di
andare, di tornare agli impegni..uffa. Via, si va via. Ancora un bacio, un
altro, un altro ancora….poi lei ti scappa di mano quasi fuggisse da un sogno e
la vedi sparire dietro la via. Fuori la città continua a correre incurante di
voi, la pioggia non smette di bagnare cappelli, ombrelli e la tua testa colma di
pensieri. Il ragionier Maggi sta andando in banca per le consuete operazioni, la
statua umana accanto al Duomo è immobile e fredda come il colore della sua tinta
argentea, la segretaria dell’architetto Franchi si sta sperdendo per le vie fino
al “Corriere della Sera” dove ordinerà un annuncio e intanto il tic-tac tic-tac
della tua città continua incessante, fino a quando ti fai inghiottire dalla
metrò e ritorni a casa e alle tue piccole cose.
E’ stato piacevole starti accanto Abraxas, la tua mano stretta alla mia ha
creato l'incanto di una straordinaria mattina, buon viaggio caro amico. Domani
ci sarà un’altra giornata di sole, niente scioperi, nessun aumento, “La
Fattoria” ha indici d’ascolto incredibili… l’ha detto un TG, che fortuna… c'è
sempre bisogno di qualche certezza. Ti aspetto qui.