La presente nota si riferisce ai
contenuti della relazione concordata dalla Commissione
governativa storico culturale
italo-slovena sugli avvenimenti della Venezia Giulia dal 1880
al 1956, pubblicata
semiclandestinamente in questi giorni da alcuni quotidiani.
La lettura di tale documento, dopo
un'iniziale sensazione di sgomento, lascia un senso
di incredulità e di meraviglia nel
vedere pubblicate, e perciò accettate dalla parte italiana di
questa Commissione, tutte le tesi
con cui la propaganda slavo-comunista di Tito e di Stalin
martellò il mondo intero
nell'immediato dopoguerra, ai tempi della conferenza di Parigi
per il Trattato di pace.
Sgomento, meraviglia ed incredulità
però sono state fugate dalla trasmissione radiofonica
mattutina "Viva Voce" di
lunedì 9 aprile, che ha chiarito ogni cosa.
In essa, alla presenza dei
copresidenti italiano (prof. Giorgio Conetti) e sloveno (prof. Milica
Kacin-Wohinz) si è tenuto un
dibattito proprio su questa relazione e sui suoi contenuti.
In risposta ad un radioascoltatore
che aveva parlato degli infoibamenti istriani dell'au-
tunno 1943, la studiosa slovena
spiegò che, essendo questi fatti avvenuti nella parte croata
dell'Istria, non erano di pertinenza
della Commissione che, appunto, doveva approfondire
solo quanto avvenuto nella parte
dell'Istria ceduta alla Slovenia.
La stessa studiosa però, a completa
giustificazione delle uccisioni indiscriminate di ita-
liani avvenute nel maggio-giugno
1945 operate dagli sloveni, fece espresso riferimento alla
distruzione del villaggio di Lipa,
dove, secondo Lei, ci sarebbero state 240.000 (duecento-
quarantamila!) vittime tra vecchi,
donne e bambini.
A questo punto chiunque abbia anche
rudimentali conoscenze sulla materia si sarebbe
aspettato che il professor Giorgio
Conetti intervenisse a puntualizzare che, secondo le sti-
me più larghe, le povere vittime
dell'eccidio di Lipa furono 287; che il massacro fu compiu-
to da un reparto di S.S. germaniche
comandato dal tenente Artur Walter e che, comunque,
trovandosi il villaggio di Lipa
nella parte dell'Istria ceduta alla Croazia, quanto avvenutovi
non poteva essere di pertinenza
della Commissione, così come non lo erano gli infoibamenti
dell'autunno 1943. Il professor
Conetti, invece, rimase zitto.
Questo suo mancato intervento può
facilmente spiegarsi tenendo presente che egli è un
docente universitario di Diritto
Intemazionale Privato, nonché, secondo il quotidiano II
Piccolo dd. 30/3/2001, 'preside di
giurisprudenza nella città di Como'.
Una persona, dunqe, non preparata
per rintuzzare e correggere gli strafalcioni pacchiani
propalati dalla studiosa slovena
che, forte di ciò, non ha avuto ritegno nello spararle grosse,
pur sapendo bene chi fossero stati
gli autori del massacro di Lipa, quante fossero state le
vittime e che questo massacro, come
quelli dell'autunno 1943, avvenne nell'Istria croata.
Ma il peggio doveva ancora venire.
Ad una domanda di un altro
radioascoltatore sul massacro delle malghe di Porzus, rispose il
sottosegretario agli Esteri del
governo sloveno, Franco Juri, precisando che anche suo padre
dovette subire le conseguenze
dell'uccisione dei 19 partigiani osovani e di Elda Turchetti.
Anche qui, se avesse avuto una benché
minima conoscena degli eventi storici e della
loro evoluzione giuridica, il
professor Giorgio Conetti sarebbe dovuto intervenire e spiega-
re che il sottosegretario sloveno,
era l'ultima persona a poter parlare dell'episodio.
Egli infatti è il figlio di
Vittorio Juri-Marco, cioè del Capo di Stato Maggiore della I''
Divisione G.A.P. "13 Martiri di
Feletto U.", la formazione partigiana comunista italiana
che compì l'eccidio di Porzus.
Vittorio Juri, oltre ad aver organizzato la strage, vi partecipò
-2-
materialmente
e perciò fu condannato all'ergastolo dal Tribunale di Lucca e tale sentenza
fu
confermata il 30/4/1954 dalla Corte d'Assise d'Appello di Firenze.
Il
compagno Vittorio Juri non subì alcuna conseguenza per il suo crimine orrendo
per-
ché
fuggi tempestivamente in Slovenia dove, da sempre, gli assassini di italiani
godono in
enorme
considerazione.
Il
silenzio del professor Conetti davanti alla mostruosa affermazione del figlio
del
pluriomicida,
mette a nudo non solo l'aspetto della sua personale impreparazione specifica
(sarebbe
infatti diffamatorio pensare che egli, pur sapendo della condanna, l'abbia
volutamente
sottaciuta) ma anche quello del rispetto della Repubblica Slovena verso il
popolo
italiano e della posizione di chiara "sudditanza psicologica" degli
attuali governan-
ti
italiani nei confronti della vicina Slovenia.
Fermo
restando che le responsabilità dei padri non possono e non devono ricadere sui
figli,
appare evidente, anche all'animo più insensibile, che ragioni di opportunità e
di ri-
spetto
avrebbero dovuto sconsigliare la Slovenia dall'affidare al figlio di un
assassino di
italiani
il compito delle relazioni con il nostro paese. D'altra parte, la Repubblica
italiana
avrebbe
dovuto far notare alla Repubblica slovena, magari in via strettamente riservata,
l'inopportunità
di affidare tale incarico al figlio di uno degli assassini di due Medaglie
d'Oro
della Resistenza italiana e dei loro gregari.
L'impreparazione
del copresidente italiano sulla materia in discussione, e l'evidente
"sudditanza
psicologica" dei nostri governanti nei confronti di quelli sloveni, gettano
una
pesante
ombra sull'attendibilità delle conclusioni cui è giunta la Commissione mista.
Valutate
queste premesse, la relazione può apparire come un documento politico con il
quale
i governi post-comunisti dell'Italia e della Slovenia intendono chiudere ogni
contenzioso
tra i due stati.
Ciò,
politicamente, è cosa lecita. I governi hanno il diritto ed il dovere di
sviluppare la
politica
intemazionale secondo le loro concezioni etiche, morali e di salvaguardia di
quelli
che
essi considerano gli interessi nazionali.
Non
è lecito invece, che un governo costruisca ad arte una falsa ricostruzione
degli
avvenimenti
storici e da essa pretenda di ottenere la giustificazione della sua linea
politica.
Il
presente studio verificherà perciò, la rispondenza della citata relazione ai
requisiti di
scientificità
richiesti dalla Giurisprudenza per riconoscere a qualunque ricerca, la dignità
di
opera
storiografica distinguendola dal cronachismo volgare, dal pettegolezzo, dalla
falsifi-
cazione
del vero e dalla propaganda politica.
La
storiografia è comunemente intesa come narrazione ed apprezzamento degli eventi
umani
secondo criteri del metodo scientifico.
Da
un lato essa è rappresentazione degli avvenimenti nei quali confluiscono le
azioni indivi-
duali
(oggetto di pura rilevazione e non di giudizio da parte dello storiografo e
quindi si avvici-
na
alla cronaca); dall'altro si risolve in un'indagine critica e comparativa che
ricostruisce avve-
nimenti
connessi fra loro, fatti ignoti sulla base di fatti noti, e li spiega in base
alle circostanze
che
li hanno determinati, seguendo regole di esperienza statistica, psicologica e
sociale. ( 1 )
Si
può allora convenire che la cartina di tornasole della natura storiografica di
una relazione
è
la scientificità del metodo d'indagine che deve ottemperare ai seguenti
requisiti tipici:
a)
AUTOREVOLEZZA DELLE FONTI UTILIZZATE, che si risolve nella scien-
-3-
tificità
delle indagini consultate e nell'inclusione nell'inchiesta delle cosiddette
"fonti
qualificate";
b)
COMPLETEZZA DEL QUADRO TRACCIATO che si risolve nell'esame il
più
vasto possibile del fenomeno indagato, all'insegna non di un'impossibile tota-
lità
delle conoscenze ottenibili, ma quantomeno dello sforzo di non lasciare in ombra
aspetti
qualificanti del fenomeno in esame.
e)
PLURALISMO DELLE FONTI AVVICINATE, che comporta l'approccio con
le
varie ideologie o parti politiche interessate. (2)
Abbiamo
già visto come il Copresidente italiano della Commissione, professor Gior-
gio
Conetti, abbia dato ampia dimostrazione di non competenza nella materia
specifica.
Nulla
egli conosce sui tragici fatti dell'eccidio di Lipa, egli ignora che tale
villaggio trovasi
non
nell'Istria slovenizzata ma in quella croatizzata e lo spropositato ammontare
delle vit-
time
dichiarato dalla Kacin-Wokinz, non lo ha nemmeno sorpreso per l'impossibile
ordine
di
grandezza. Viene da pensare che egli sia all'oscuro di ogni notizia sulla vicina
repubbli-
ca,
del fatto che attualmente la popolazione slovena non raggiunga i due milioni di
abitanti
e
che questo sfortunato villaggio croato di poche case rurali venga fatto passare
per una
città
con un numero di abitanti superiore a quello attuale di Lubiana.
Il
professor Giorgio Conetti quindi, non può essere definito una fonte autorevole
o qua-
lificata.
Il
secondo componente di parte italiana della citata Commissione, è la
professoressa
Maria
Paola Pagnini, titolare dei corsi di Geografìa urbana, di Geografia politica ed
econo-
mica
e dei Fondamenti geografici delle relazioni intemazionali alla Facoltà di
Scienze po-
litiche
all'Università di Trieste.
Essa
è l'autrice di due opere, "La casa rurale del Carso triestino", e
"II sistema di raccol-
ta
dell'acqua nel Carso triestino", che non le danno certo titolo per essere
definita fonte
autorevole
e qualificata sullo scontro interetnico nella Venezia Giulia.
Il
terzo componente della parte italiana di questa Commissione è Lucio Toth,
senatore
della
Repubblica Italiana eletto nelle liste della Democrazia Cristiana, magistrato di
Cassazione
e Presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Egli, pur
essendo
un magistrato e non uno storico, potrebbe avere delle competenze specifiche
nella
materia
di cui tratta la relazione, essendo un rappresentante degli esuli giuliani e
dalmati.
Proprio
a lui, però, sembrano riferite le amare parole del professor Italo Gabrielli,
decano
degli
esuli di Trieste che, sul quotidiano locale, ha scritto: "Purtroppo tra gli
Storici italiani
ci
sono alcuni che, sottoscrivendo il documento, hanno rinnegato quanto vanno
affermando
in
veste di rappresentanti degli esuli".
Ciò
pare confermato dal fatto che egli, il 3 marzo del 2000, su Difesa Adriatica,
periodico
dell'A.N.V.G.D.,
scrisse in un articolo riferito alla tragedia delle foibe, di aver
"conosciuto
l'umanità
di Boldrini (noto capo partigiano comunista nda) durante una lunga conversazione
su
questi
argomenti insieme a Luciano Lama in un circolo dell'A.N.P.I. a Ravenna".
(
1 ) Ondei, / diritti della libertà, pagg. 11-112.
(2)
Tribunale di Torino, 8 gennaio 1990, Stajano e altri, in Giurisprudenza
Italiana, 1982, II, e. 181.
-4-
Però
sul Corriere della Sera del 9 marzo dello stesso anno, comparve nella rubrica
"Let-
tere
ed idee", una nota firmata da sette capi partigiani tra cui il Boldrini,
nella quale si
precisava,
che già prima dell'otto settembre '43 erano stati i criminali di guerra
italiani,
tedeschi,
sloveni e croati ad usare le foibe contro gli slavi, giustificando con ciò gli
eccidi
del
dopoguerra.
L'umanità
di Boldrini, tanto apprezzata dal senatore Toth, si esplicita dunque, col
giusti-
ficare
i massacri dei giuliano-dalmati falsificando la storia ed inventando
infoibamenti mai
compiuti
da parte italiana.
A
queste false affermazioni dei capi partigiani il senatore Toth non ha mai
replicato e ciò
la
dice lunga sui motivi del suo inserimento nella Commissione.
Il
quarto componente della parte italiana della Commissione è il professor Fulvio
Salimbeni,
docente di Storia contemporanea all'Università di Udine, presidente del Centro
studi
Alfieri Seri della Lega Nazionale, uno studioso certamente attento alla tutela
dei valo-
ri
nazionali. Rimane un mistero inspiegabile la sua adesione al documento.
Il
quinto componente della parte italiana della Commissione è il professor Angelo
Ara
docente
di Storia moderna all'Università di Pavia. E' figlio della Medaglia d'Argento
al
Valor
Militare alla memoria, Eugenio Ara, sottotenente di complemento del Regio
Eserci-
to,
Divisione Julia, caduto in combattimento sul fronte russo 1' 11 febbraio 1943.
Anche la
sua
adesione al documento rimane per noi inspiegabile.
Il
sesto componente della parte italiana della Commissione è il professor Raoul
Pupo, un
ricercatore
del Dipartimento delle scienze dell'uomo dell'Università degli studi di
Trieste.
Ultimamente
ha scritto, per conto del Comune di Trieste, una breve nota sull'opuscolo
"Foiba
di Basovizza. Monumento nazionale". In essa, parlando delle foibe istriane,
egli ha
ripreso
il tema della "jacquerie" (uccisioni dovute a furore popolare), tanto
caro alla propa-
ganda
croato-comunista, e, per avvalorarlo egli ha affermato che a detta "jacquerie"
riman-
dano
anche episodi quali "l'esposizione delle vittime".
Dato
che le foibe sono delle cavità naturali profonde anche più di cento metri,
dato che delle
600-700
persone che lo stesso Pupo ammette siano scomparse, circa 200 furono riesumate
da
esse
e delle altre non si seppe più nulla, appare per lo meno stravagante, anche se
funzionale alla
propaganda
slavocomunista, il suo discettare sull'esposizione delle vittime!
Frutto
invece di assoluta disinformazione è il suo affermare che "nel 1945,..
.l'epicentro
delle
violenze fu costituito da Trieste e Gorizia, anche se pure nella penisola
istriana si
registrarono
altre uccisioni".
Notizie
di fonte speologica slovena, comprovate e verificate, apparse negli ultimi anni
sui
quotidiani locali, dicono che le foibe del Capodistriano sono ancora oggi piene
zeppe di
resti
umani (400 chilogrammi di ossa sono stati riesumati nel 1992 e portati
all'Istituto di
Medicina
Legale dell'Università di Lubiana dove giacciono tuttora) e studi di
ricercatori
italiani
e croati, non legati alle greppie governative, hanno ricostruito i nominativi di
572
assassinati
nel maggio 1945 nella sola città di Fiume.
Che
il professor Pupo, davanti a questi fatti, per la penisola istriana nel 1945,
parli
genericamente
di "altre uccisioni" dimostra la sua scarsissima conoscenza sulla
parte della
materia
che conceme le stragi.
L'ultima
componente della parte italiana della Commissione è, la professoressa Marina
Cattaruzza
che, da notizie di stampa, dopo un lungo periodo di lavoro presso il
Dipartimento di
Storia
dell'Università di Trieste, risulta ora essere docente di Storia contemporanea
di Berna.
Essa
però, fu coinvolta nell'inchiesta per attività eversiva che si concluse con la
condan-
na
del professor Giovanni Zamboni, ancora oggi latitante, per essere stato l'agente
di colle-
gamento
tra le Brigate rosse e la banda Baader Meinhof.
-5-
L'assoluzione
con formula piena ha ribadito la completa estraneità della professoressa
da
azioni criminose, tuttavia il suo coinvolgimento nell'inchiesta consente di
appurare una
inequivocabile
collocazione politica.
Della
componente slovena di questa Commissione conosciamo solamente i nomi di due
degli
studiosi incaricati: la professoressa Milica Kacin-Wohinz e la professoressa
Nevenka
Troha.
Pur
avendo già illustrato la tendenza della prima all'esagerazione mirabolante (le
240.000
vittime
di Lipa) ed all'attribuzione della responsabilità di questo eccidio a chi non
lo com-
mise
(cioè agli italiani) c'è ancora un dato molto significativo da segnalare sulla
sua
attendibilità.
Su
richiesta della stessa studiosa, la rivista Qualestoria dell'Istituto regionale
per la storia del
movimento
di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia ha pubblicato nel numero di giugno
2000, il
capitolo
tratto dal suo volume "Gli sloveni del litorale sotto l'occupazione
italiana, 1918-1921 ",
riguardante
l'incendio dell'albergo Balkan avvenuto a Trieste il 13 luglio 1920.
La
richiesta era motivata dalla lettura delle polemiche apparse nella rubrica
Segnalazioni
del
quotidiano locale II Piccolo, che la studiosa aveva seguito ed alle quali il suo
lavoro
avrebbe
potuto fornire elementi inediti in lingua italiana, utili ad una migliore
comprensio-
ne
degli avvenimenti.
Senza
entrare in tutto quanto arditamente affermato dalla storica slovena (ci vorrebbe
un
libro
intero), è sufficiente riportare e commentare una sua sola frase riguardante i
fatti del
13
luglio per comprendere l'attendibilità di questa fonte.
"Già
nel corso dell'adunata-scrive la professoressa - i fascisti diedero il via alla
caccia
ai
pericolosi jugoslavi, uccidendo uno spettatore innocente, il cuoco dell'albergo
Bonavia,
Giovanni
Nini, che niente aveva a che fare ne col fascismo ne con la Jugoslavia".
L'uccisione
del Nini è uno dei punti di contrasto tra la storiografìa slavocomunista e
quella
nazionale
(nella quale beninteso non va inserita ne la rivista Qualestoria ne alcuna delle
innu-
merevoli
pubblicazioni che l'Istituto resistenziale edita a spese del contribuente
italiano).
La
prima sostiene che il povero giovane fu, appunto ucciso dai fascisti, l'altra
sostiene inve-
ce
che fu ucciso dagli slavi. In realtà sul fatto esiste l'intervento del nipote
dell'assassinato, che
proprio
sul quotidiano locale, nella rubrica Segnalazioni, in occasione delle polemiche
sui fatti
del
Balkan, ha scritto tra l'altro: "... (mio zio) lasciò il lavoro che aveva
a Milano e cercò
intenzionalmente
lavoro a Trieste per meglio vivere i suoi ideali di italianità e di amor di Pa-
tria...
Mio zio non si trovava lì (in piazza Unità d'Italia) per caso; pur essendo un
giovane
cuoco
aveva degli ideali e andò ad esprimerli alla manifestazione di protesta contro
i fatti
antiitaliani
^li Spalato... Al padre, mio nonno, fu notificato che il figlio Giovanni era
stato
ucciso
dagli slavi per essere intervenuto in difesa di un ufficiale italiano".
Queste
chiarificazioni fomite dal nipote dell'assassinato avrebbero dovuto risolvere
ogni
equivoco
su chi furono gli assassini, ma la studiosa slovena, così attenta alle
polemiche sui
fatti
del Balkan, non ne tiene conto e non ne tengono conto nemmeno i curatori della
rivista
Qualestoria,
che non possono non averle lette sul quotidiano locale.
La
seconda componente della parte slovena della Commissione è la professoressa
Nevenka
Troha,
di cui registriamo un'affermazione rilasciata al quotidiano II Piccolo, in data
1° aprile
2001.
Essa ammette che negli eccidi furono compiuti anche degli errori e precisa:
"... come il
caso
dei due cassieri triestini che, visto il loro mestiere, erano armati. Furono
scambiati dall'OZNA
per
agenti segreti e come tali subirono le conseguenze del caso".
La
professoressa parla assolutamente a sproposito perché ignora che i cassieri
triestini
fatti
scomparire per sempre non furono due ma sei, e precisamente: Dario Bonara nato a
Brescia
il 14/8/1911, cassiere della Banca d'Italia; Umberto Fegitz nato a Trieste il
30/10/
-6-
1900,
cassiere alle Assicurazioni Generali; Arturo Mion, nato a Venezia il 2/2/1891,
cassie-
re
della Banca d'Italia; Riccardo Pangoni, nato a Trieste il 10/1/1908, cassiere
del Banco di
Sicilia;
Luigi Tessan, nato ad Aviano il 26/10/1892, cassiere dell'I.L.V.A. e Carmine
Zito,
nato
a Bari il 17/7/1895, cassiere del Credito Italiano.
Tutti
e sei furono prelevati dalle loro abitazioni o presso parenti, nelle prime ore
del 4
maggio
1945 ed assieme a loro scomparvero le chiavi delle casseforti di cui erano
custodi e
tutto
il denaro in esse contenuto. Tutti e sei furono prelevati in esecuzione del
medesimo
disegno
criminoso che prevedeva da un lato la rapina di tutto il denaro esistente nelle
ban-
che
e nelle grandi aziende triestine e dall'altro l'eliminazione dei testimoni della
grassazione.
Pertanto
questa affermazione della storica slovena, assolutamente infondata e smentita
dalle
risultanze documentali, dimostra che essa parla molto imprudentemente di fatti
che
non
conosce, ma soprattutto che non è usa ad approfondire, come richiedono gli
elementari
presupposti
di serietà e di scientificità, gli argomenti sui quali si azzarda a
pontificare.
IN CONCLUSIONE DA QUESTA ANALISI
DELLE FONTI DELLA RE-
LAZIONE ITALO-SLOVENA, SI PUÒ'
CONCLUDERE CHE ESSE
HANNO UN GRADO DI AUTOREVOLEZZA
DEL TUTTO INSUFFI-
CIENTE AL COMPITO AFFIDATO LORO.
La
relazione prende in esame le vicende della Venezia Giulia dal 1880 al 1956.
Eppure
il
problema dello scontro etnico italo-slavo iniziò ben prima, tanto è vero che
nei disordini
del
luglio 1868, provocati dagli squadristi sloveni inquadrati nella "Milizia
Territoriale"
persero
la vita tré italiani di Trieste e quasi una ventina furono i feriti.
E'
interessante il riferimento, riportato dalla "Riferta della Giunta speciale
della Dieta
triestina
sui fatti avvenuti a Trieste nei giorni 10, 12, 13 e 14 luglio 1868" alle
grida di
"Verdamena
judi... udriga" (Dagli ai maledetti ebrei), "Questa sera la faremo
finita cogli
ebrei"
e "Mostro di ebreo" frammezzate a grida di "zivio slovenski".
Questi
accadimenti, come l'assalto al giornale italiano di Trieste, L'Indipendente,
alla
tipografia
Apollonio, alla Ginnastica Triestina, al Caffè Chiozza, alla Società Operaia
Tri-
estina
ed alla sinagoga di Trieste, allora sita davanti al Teatro Romano, avvenuti nel
terribi-
le
anno 1882 anche ad opera dei pacifici sloveni della Podpavno Delavsko Drustrvo,
smen-
tiscono
le tesi di un conflitto etnico iniziatesi solo dopo il 1918 e mettono in
risalto, oltre
alla
violenta antiitalianità, il feroce antisemitismo degli sloveni. Questo è
evidentemente
un
tasto molto delicato che la relazione preferisce tenere celato anche perché
qualcuno
potrebbe
rammentare come uno dei più feroci sterminatori di ebrei durante la seconda
guer-
ra
mondiale, il generale "SS" Globocnik, fosse proprio uno sloveno!
La
relazione non parla dell'incendio e della distruzione del quotidiano italiano II
Picco-
lo
di Trieste, della devastazione delle sedi della Lega Nazionale e della
Ginnastica Triesti-
na,
dei saccheggi di negozi gestiti da italiani e dei principali ritrovi della
popolazione italia-
na
(Caffè San Marco, ecc. ecc.) avvenuti il 24 maggio 1915. Così per la
relazione, "il
primo,
clamoroso atto di una lunga sequela di violenze" fu l'incendio dell'Hotel
Balkan,
avvenuto
nel luglio 1920.
Dove
però il quadro è assolutamente incompleto, è nella parte che tratta delle
stragi
compiute
dagli sloveni dal maggio 1945 in avanti. Dice infatti la relazione:
"L'occupazione
jugoslava... si accompagnò nella zona di Trieste, nel Goriziano e nel
Capodistriano
ad un'ondata di violenza che trovò l'espressione nell'arresto di molte mi-
-7-
gliaia
di persone, parte delle quali venne in più riprese rilasciata, in larga
maggioranza
italiani,
ma anche sloveni contrari al progetto politico comunista jugoslavo - in
centinaia di
esecuzioni
sommarie immediate - le cui vittime vennero gettate nelle foibe - e nella
deportazione
di un gran numero di militari e civili, parte dei quali perì di stenti o venne
liquidata
nel corso dei trasferimenti, nelle carceri e nei campi di prigionia (fra i quali
va
ricordato
quello di Borovnica), creati in diverse zone della Jugoslavia".
Si
allegano quindi gli elenchi delle notizie accertate degli eccidi compiuti dagli
sloveni
e
delle riesumazioni di salme nel brandello di Venezia Giulia prima occupato e poi
sgombe-
rato,
dopo quaranta giorni, dagli jugoslavi.
1)
INFOIBAMENTI
a)
Documento n. FO 371/48953 del Public Record Office di Londra che certifica
l'infoibamento,
nel Pozzo della Miniera di Basovizza nei soli giorni del 2 e 3 maggio 1945,
di
400-450 persone catturate a Trieste.
b)
Relazione "The ravines of death", scritta dal professor Diego de
Castro nel settembre
1945,
che certificata la riesumazione nel mese di luglio '45, da quel tragico pozzo,
di 500
corpi
e l'esistenza, sul fondo di esso, di altri 480 metri cubi di cadaveri (pari a
1500 corpi)
da
estrarre.
e)
Testimonianza di Ivan Gugic, figlio di Ivan e di Jaka Cetinic, nato a Vela Luka
il 26/
8/1925,
già soldato della XI Dalmatinska brigada, rilasciata al giornale Hrvatska
Drzava il
14/8/1953,
che certifica:
-
l'avvenuto infoibamento, in data 27/5/45, di 2.000 persone (40 camion da 50
persone
ciascuno)
nell'abisso di Podgora presso Podutik. Detta testimonianza è confermata dalle
dichiarazioni
rilasciate da Albert Svetina, ufficiale dell'OZNA al quotidiano il Piccolo e
pubblicate
in data 30/11/1994;
-
l'avvenuto infoibamento a Kocevije, dal 28/6/1945 al 5/7/45, di circa 30.000
persone
(il
teste precisa che gli abiti degli assassinati riempirono oltre venti vagoni
ferroviari).
Detta
testimonianza è stata confermata autorevolmente dalle cerimonie ufficiali in
suffragio
delle
vittime che si svolsero sul posto la domenica 8 luglio 1990 alla presenza
dell'arcivescovo
di
Lubiana, Alojzij Sustar e di Milan Kucan in rappresentanza della Repubblica
slovena.
d)
Testimonianza di Hrvoje Bogjanin e della signora C.S.N., moglie di un capitano
croato
della 7.a brigata con sede a Sini, pubblicate da Hrvatska Drzava nel 1955 che
denun-
ciano
il massacro di 40.000 persone nella fossa anticarro di Maribor e di altre 30.000
nelle
foibe
di Kocevski Rog, Rajenburg, Kamnik e nei pozzi abbandonati nella miniera di
Brastink.
Dette
testimonianze, per quanto concerne la fosse anticarro di Maribor, sono state
confermate
dagli
scavi fatti nel giugno 1999, e dai quali in soli primi 70 metri della fossa
originariamente
lunga
2,5 - 3 km, sono stati riesumati ben 700 (settecento) scheletri. Gli scavi sono
stati quindi
sospesi
e tutta la zona dove c'era la fossa anticarro è stata dichiarata "terra
sacra".
e)
Testimonianza di Milan Zajec, sopravvissuto all'infoibamento di 2.000 persone
nella
Jama
pod Macesnovo Brezno il 2 giugno 1945, rilasciata a F. Izanec (Odporti grobovi.
III,
1-319
anno 1971, Buenos Aires) confermata da speleologi sloveni che hanno rinvenuto
nei
pressi
dell'abisso parecchi effetti di scarso valore che i morituri erano stati
obbligati a
buttare
a terra con i loro abiti prima di venire massacrati.
f)
Relazione dello speleologo sloveno Frane Maleckar al 7° Convegno di Speleologia
di
-8-
Ronchi
dei Legionari (giugno 1999) che certifica l'esistenza di grandi quantità di
resti
umani
nelle foibe di Capodistria, dalle quali sono stati recuperati solo 400 kg con i
quali
sono
stati ricomposti, all'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Lubiana
ben 130
scheletri,
dei quali uno identificato.
g)
Relazione del professore sloveno Tone Ferenc (agosto 1990) che certifica
l'uscita "per
ignota
destinazione" dalle carceri di Lubiana, avvenuta nelle notti del
23/12/1945, del 30/12/
1945
e del 6/1/1946, di 112 deportati italiani tra i quali numerosi Volontari della
Libertà italiani
di
Trieste e di Gorizia perché contrari al comunismo ed all'annessione della
Venezia Giulia alla
Jugoslavia.
Da nostre indagini è emerso che gli sventurati furono precipitati nella foiba
di Gorgola.
h)
Relazione dello speleologo Andrej Mihevc al Simposio Intemazionale "Man of
Karst"
di
Postumia (settembre 1993) che certifica l'esistenza in Slovenia di 71 abissi
contenenti
resti
umani e che in quindici di essi "a lot of people were thrown into".
i)
Articoli del mese di novembre 1998 del quotidiano II Piccolo di Trieste che
riferisco-
no
di grande quantità di resti umani nella foiba di Montenero d'Idria.
1)
Articolo del 7 marzo 1999 del quotidiano il Piccolo che certifica l'avvenuto
infoibamento
nell'abisso sito lungo la strada che da Tolmino porta a Gabrje ad una ventina
di
chilometri da Gorizia, di 91 bersaglieri della Repubblica Sociale Italiana
m)
Relazione dell'A.C.D.J. sulla vicenda delle 97 Guardie di Finanza in servizio il
2
maggio
1945 alla Caserma di Campo Marzio a Trieste, ivi catturate dagli slavocomunisti,
tenute
in prigionia fino al 3 maggio nella Villa Necker di Trieste, trasferite il
giorno 4
maggio
nella caserma di San Giovanni e da qui inviate, il 5 maggio 1945, a Div accia,
dove
furono
passate tutte per le armi e precipitate nell'abisso di Roditti.
Da
tutto quanto è stato esposto e che rappresenta solo uno spaccato, molto
significativo
ma
comunque ancora parziale perché si potrebbe continuare ad elencare molti altri
casi di
notizie
d'infoibamenti confermati, ogni persona in buona fede non può che convenire
sulle
seguenti
conclusioni:
1)
La "tecnica" dell'infoibamento fu largamente usata dai partigiani
comunisti italiani e
sloveni
alla fine del secondo conflitto mondiale allo scopo di eliminare, in spirito di
feroce
vendetta,
i soldati delle forze armate nemiche caduti prigionieri.
2)
La stessa tecnica fu largamente usata dagli stessi soggetti nei confronti della
popola-
zione
italiana dei temtori contesi della Venezia Giulia allo scopo di terrorizzare
questa
componente
etnica ed indurla all'abbandono della terra natia.
3)
Essa, infine, fu ancora largamente usata sempre dagli stessi soggetti nei
confronti di
chiunque,
qualsiasi fosse la sua nazionalità, potesse apparire "ideologicamente non
affida-
bile"
e quindi un potenziale avversario del regime comunista che si era instaurato.
LA
TECNICA DEGLI INFOIBAMENTI, O DEGLI ALTRI TIPI DI UC-
CISIONI
DI MASSA (CHE COLPI' CENTINAIA DI MIGLIAIA DI ES-
SERE
UMANI) FU DUNQUE LO STRUMENTO CON CUI VENNE
REALIZZATA
LA VENDETTA SUL NEMICO SCONFITTO, LA "PU-
LA
DALMAZIA, NONCHÉ' LA "PULIZIA IDEOLOGICA" NEI CON-
FRONTI
DI CHIUQUE FOSSE SOSPETTABILE DI ESSERE UN PO-
TENZIALE
AVVERSARIO DEL COMUNISMO.
-9-
2)
RECUPERI DI SALME DA FOIBE E FOSSE
a) Documento "TABLE OF
FOIBE EXPLORED BY VG CIVIL POLICE IN
COLLABORATION WITH CITY PIRE
BRIGADE - BOMBS MINES DISPOSAL UNIT
AND
COMITATO RECUPERO SALME DI PERSONE INFOIBATE "
Esso
certifica che dal 21/11/45 al 23/4/48, furono recuperate da foibe e fosse della
Vene-
zia
Giulia, a cura degli Enti coinvolti, 464 salme. Esso inoltre aggiunge che nelle
scuole
edifìci
pubblici, ospedali e caserme della sola città di Trieste furono recuperate nei
mesi di
maggio
e giugno 1945, altri 401 corpi per un totale complessivo di 865 salme.
Altre
riesumazioni ricavate dalla stampa coeva e non inserite nella tabella di cui al
punto
precedente.
,
Q/^^T "• 11737 Reparto 2 - uffìcio C/5/F del10 stato Maggiore della
Marina, dd.
19/10/1945.
Certifica che dai campi situati dietro il Sacrario di Redipuglia, sono stati
trova-
ti
6 cadaveri m avanzato stato di decomposizione, uno dei quali identificato per
quello della
signora
Tolloy Annunziata.
Relazione
del Consorzio Sanitario di San Leonardo, dd. 21/5/1945 che certifica la
nesumazione
di 8 cadaveri con ferita d'arma da fuoco alla testa (foro d'entrata in regione
frontale
e foro d'uscita in quella occipitale)
Relazione
di don Mario Laurencig, parroco di San Volfango di Drenchia che certifica la
nesumazione,
m località Ruchin di Drenchia, di 14 + 17 salme non identifìcabili perché
nude
e m avanzato stato di decomposizione.
Articolo
Messaggero Veneto dd. 24/11/1945 con 3 salme riesumate in località Case
Meneghini
a S. Pier d'Isonzo
Articolo
Messaggero Veneto dd. 16/7/1946 con 3 salme riesumate (1 a Trieste sul Mon-
te
Spaccato e 2 a Duttogliano).
Articoli
Messaggero Veneto e Corriere Alleato 4/10/1946 con riesumazione di 3 schele-
tri
(uno a Doberdò del lago, uno a Chiusaforte ed uno a Caporetto).
Articolo
Messaggero Veneto dd. 8/10/1946 col ritrovamento della salma di don Zavadial
parroco
di Gorenje Polie.
Articolo
Corriere Alleato dd. 8/1/1947 col ritrovamento di 1 salma alle Noghere
Articolo
Corriere Alleato dd. 3/4/1947 col ritrovamento della salma del tenente Curato-
Io
a Claunicco di Dolegna.
Articolo
Corriere Alleato dd. 4/4/1947 coli'esumazione di 3 salme a Lovisano del Colilo
e
di 6 salme a Robedischis.
Articolo
Corriere Alleato dd. 20/4/1947 col recupero di 23 salme a Poggio Poggino di
Dolegna.
Articolo
Corriere Alleato dd. 19/7/1947 con il recupero di 6 scheletri al quadrivio
Sagrado
Polazzo,
Doberdò e Marcottini
Articolo
Corriere Alleato dd. 2/8/1947 col ritrovamento di una fossa comune a Sesana
con
15 salme.
Articolo
Corriere Alleato dd. 9/8/1947 col ritrovamento di un numero imprecisato di
salme
da una fossa di Micheli di Berie a Rifembergo. (Secondo Diego de Castro erano 10
salme).
Articolo
Messaggero Veneto dd. 14/8/1947 col ritrovamento di una salma a Brestovizza
Articolo
Messaggero Veneto dd. 31/8/1947 col ritrovamento di 3 salme nella foiba di
Rupingrande.
-10-
Articolo
Corriere Alleato dd. 3/9/37 col ritrovamento di altre salme a Rifembergo e dei
resti
di altre 5 persone a Quisca.
Altre
riesumazioni ricavate dall'elenco esposto dal professor Diego de Castro nel suo
"II
problema di Trieste", nota 1 di pagina 171 e 172, non inserite nei
precedenti elenchi.
a)
30/10/1948 resti umani (quantità imprecisata) scoperti in due foibe a Doberdò.
b)
13/4/1949 resti di 5 persone trovati in una foiba presso Monte Spaccato a
Trieste.
e)
18/6/1949 rinvenuta a San Floriano una fossa comune con un numero imprecisato di
salme
ed i resti di 3 persone vengono trovati a Doberdò.
d)
28/6/1949 ritrovamento ed identificazione di un cadavere a Doberdò.
e)
2/7/1949 ritrovamento della salma di un carabiniere a Gradiscutta.
f)
9/7/1949 esumazione a San Floriano delle salme di 5 soldati italiani. Nello
stesso
mese
ed in quello successivo vengono alla luce a San Floriano altri resti umani.
g)
8/3/1950 ritrovamento a Doberdò di 3 scheletri con le mani ancora legate dal
filo di
ferro.
Altri resti umani vengono trovati durante il mese di marzo.
Considerato
che da quanto sopraesposto sui recuperi di salme da foibe e fosse risultano
riesumati
più di mille corpi, appare evidente, per ogni persona in buona fede, che la
trage-
dia
degli assassini di massa travolse ben più di "alcune centinaia di
persone" come sosten-
gono
gli studiosi della Commissione mista italo-slovena.
QUESTA
AFFERMAZIONE, AVANZATA DAGLI STORICI DELLA
COMMISSIONE
MISTA ITALO-SLOVENA NELLA LORO RELAZIO-
NE,
E' ASSOLUTAMENTE INFONDATA, SENZA RISCONTRO E
SMENTITA
DALLE RISULTANZE DOCUMENTALI CITATE CHE
TENIAMO
A DISPOSIZIONE DI CHIUNQUE VOGLIA COLMARE LA
SUA
NON CONOSCENZA DEI FATTI.
QUESTA AFFERMAZIONE, INOLTRE, QUALORA NON SI VOGLIA
METTERE
IN DISCUSSIONE LA BUONA FEDE DEGLI STORICI DI
QUESTA
COMMISSIONE, GETTA UNA PESANTISSIMA OMBRA
SULLA
PREPARAZIONE E SULLA COMPETENZA IN MATERIA
DEGLI
STUDIOSI CHE L'HANNO SOTTOSCRITTA.
Un
altro aspetto mancante nella relazione è lo studio dell'influenza della
politica
asburgica,
sullo sviluppo dei gruppi etnici nel periodo considerato.
Nella
relazione si afferma che... "etnicamente mista era solo la città di
Gorizia dove il
numero
degli sloveni era però crescente, tanto da far ritenere ad autori politici
sloveni alla
vigilia
del 1915 che il raggiungimento di una maggiorazione slovena nella città
isontina
fosse
ormai imminente".
Secondo
i dati dei censimenti austriaci risulta che a Gorizia gli slavi erano passati
dai
4.831
del 1900, ai 10.868 del 1910 con un incremento del 125 mentre la popolazione
totale
aveva avuto un incremento del 22 e gli italiani erano passati da 16.112 a 14.812
con •
un
decremento del 9.
Questo
più che raddoppiato numero di slavi a Gorizia, in soli dieci anni, non può
essere
spiegato
di certo con un'impossibile esplosione demografica, ma solamente con la massic-
cia
immigrazione voluta dalle autorità imperiali asburgiche, proprio per cancellare
l'identi-
tà
italiana della Venezia Giulia.
Ciò
è confermato anche dai dati di Trieste, dove nello stesso periodo, gli slavi
passarono da
6.536
a 22.529 con un incremento del 245 mentre a Capodistria, dove non ci fu tale
opera
-11-
snazionalizzatrice
asburgica, gli slavi passarono, nello stesso decennio, da 558 a 599 con un
incremento
del 7 praticamente allineato con l'incremento del totale della popolazione (9).
Il
mancato studio della situazione dei gruppi etnici nel periodo in esame è una
grossa
carenza
della relazione che non pare però casuale.
Essa
infatti parla di "delusione per il mancato accoglimento (in sede di
Trattato di Pace e di
Memorandum
di Londra nda) delle storielle rivendicazioni sui centri urbani di Gorizia e di
Trieste...".
I dati dei censimenti dicono che, nel 1880, gli slavi erano 3.420 a Gorizia,
2.933 a
Trieste,
97 a Rovigno, 493 a Capodistria, 1 a Pirano e 44 a Monfalcone, per un totale di
6.988 tra
sloveni,
croati, serbi, bosniaci, ecc. su una popolazione complessiva di 123.965 anime,
pari
quindi
al 5,6. Da ciò risulta che le cosiddette "rivendicazioni storiche"
erano e sono, ancora
oggi,
niente altro che pretese imperialistiche ed espansionistiche, allineate con la
secolare spin-
ta
delle popolazioni balcaniche verso occidente, molto ben rappresentate dalla
famosa frase
scritta
sull ' Edinost dell ' 11 gennaio 1911:".. .L'italianità di Trieste, che
si trova agli sgoccioli,
festeggia
la sua ultima orgia prima della morte. Noi sloveni inviteremo domani questi
votati
alla
morte a recitare il confìteor!",
che illustra quale fosse la soluzione finale prevista dagli
sloveni
per il problema italiano della Venezia Giulia e Dalmazia.
Ci
sono poi altri punti nei quali il quadro prospettato è assolutamente
incompleto, come
quello
dei rapporti tra la Chiesa cattolica, l'Impero Austro-Ungarico prima ed il Regno
d'Italia
poi.
Non si può parlare infatti delle rimozioni dei vescovi di Trieste e di Gorizia
senza ricordare
che
essi, per le caratteristiche prerogative dello stato austroungarico, venivano
nominati dal-
l'Imperatore
e poi tale nomina era ratificata dal Pontefice. Non si può sottacere il fatto
che a
Trieste,
città ove gli sloveni, seppur incrementati dall'immigrazione forzata,
raggiungevano a
malapena
il 14, oltre al Vescovo sloveno, tutte e cinque le parrocchie avevano un parroco
sloveno
ed in esse sia la liturgia che la catechesi si teneva in sloveno, lingua
sconosciuta all'86
degli
abitanti.
IN
CONCLUSIONE DI QUESTA ANALISI SULLA COMPLETEZZA
DEL
QUADRO TRACCIATO DALLA RELAZIONE SI PUÒ' CONCLU-
DERE
CHE ESSO E' SICURAMENTE INCOMPLETO E LASCIA IN
OMBRA
ASPETTI QUALIFICANTI DEL FENOMENO IN ESAME.
oulle
vicende del nostro confine orientale, sia quelle dei tempi lontani della seconda
metà
dell'Ottocento che quelle della prima metà del Novecento, esiste tutta una
fioritura di
studi,
testimonianze, ricerche e documentazioni che vanno dalle opere di Ruggero Fauro,
di
Attilio
Tamaro e di Federico Pagnacco, fino a quelle di Mario Dassovich, di padre
Flaminio
Rocchi
e di Luigi Papo. Questi ultimi tré Autori hanno scritto opere non irrilevanti
con
particolare
riferimento alle tragiche vicende delle uccisioni e delle persecuzioni di
italiani,
che
possono certamente venire criticate ma non possono essere completamente rimosse.
Anche
quello che è sicuramente il più autorevole studioso degli avvenimenti della
Ve-
nezia
Giulia, il professor Diego de Castro non pare abbia avuto l'onore della
considerazio-
ne
da parte della Commissione. E' ben vero che egli non è uno storico, e ci tiene
a sottoli-
nearlo,
purtuttavia i suoi trattati (II problema di Trieste, Brevi cenni sul problema
giuliano
nell'ultimo
decennio ed il monumentale La questione di Trieste) avrebbero dovuto trovare
spazio
almeno nelle considerazioni della parte italiana della Commissione.
Il
fatto è che nessuno di questi Autori gravita, o ha mai gravitato nell'orbita
degli Istituti
per
la storia del movimento di liberazione ed in quella della galassia di
pubblicazioni quali
-12-
(tanto
per citane qualcuna) il Mulino, dove hanno ripetutamente scritto il professor
Giovan-
ni
Miccoli e la professoressa Marina Cattaruzza, quali Passato e Presente diretta
dal professor
Enzo
Collotti dove scrive il professor Raoul Pupo, o la già citata Qualestoria, che
di tale
Istituto
è l'organo ufficiale ed ospita continuamente tutti gli Autori dell'area
slavocomunista
come
Miccoli, Cattaruzza, Pupo, Collotti, Fogar, Valdevit, Vinci ecc. ecc.
L'attendibilità
storica di questo Istituto è mirabilmente documentata nei ponderosi volu-
mi
riguardanti i Caduti, le Vittime civili ed i Dispersi dei comuni del Friuli
Venezia Giulia
nella
seconda guerra mondiale.
In
essi, con brevi didascalie, sono spiegate le circostanze della morte o della
scomparsa
di
migliala e migliala di persone, ma da un attento esame emergono delle cose
stranissime.
Si
va dal caso del patriota Vinicio Lago, ufficiale del Regno del Sud, assassinato
dai parti-
giani
della Garibaldi Natisone il primo maggio 1945 alla periferia di Udine, che viene
spacciato
per
ucciso dai cetnici, collaborazionisti dei nazifascisti, al caso dell'onorevole
Giordano
Pratolongo,
morto di tubercolosi a Rovereto che viene spacciato per vittima di
un'aggressione
neofascista
avvenuta a Monfalcone più di cinque anni prima. Si dice che l'orefice Francesco
Stermin,
assassinato a scopo di rapina da partigiani comunisti che avevano costituito la
famigerata
banda
Icaro, morì per generiche ferite d'arma da fuoco e che Norma Caris, prelevata a
Trieste
dalla
Guardia del Popolo il 2 maggio 1945 e successivamente morta nelle carceri di
Lubiana, fu
uccisa
da forze nazifasciste il 31 marzo 1945. Tra le vittime di un imprecisato campo
di stermi-
nio
nazista viene indicata tale Mariuccia Laurenti, sorella del capo partigiano
sloveno Eugenio
Laurenti,
di cui è certo che fu eliminata dagli slavi perché riconosciuta come spia dei
nazisti,
mentre
tra i partigiani vittime della Risiera figurano cinque sventurati che operavano
grassazioni
e
rapine durante i coprifuoco notturni e che, catturati per questo motivo dalla
polizia, furono
fucilati
al carcere del Coroneo.
Moltissime
persone i cui cadaveri furono riesumati dalle foibe, risultano, in questi pon-
derosi
libroni pagati dal pubblico denaro, come "scomparsi" o
"deceduti" per cui non
sorprende
che nella relazione si parli solo di "centinaia" di infoibati.
E
ben vero che due storici di parte italiana, nominati inizialmente, sono stati
sostituiti.
Ciò,
però, non ha alterato la composizione "slavo-comunista" della
Commissione, perché
10
scrittore Fulvio Tomizza (prematuramente scomparso) nell'estate 1945 era
schierato sulle
posizioni
ideologiche titine e, mentre i suoi connazionali fuggivano per sottrarsi alle
persecu-
zioni
slovene, egli, iscritto all'U.A.I.S., lavorava tranquillamente per radio
Capodistria.
Neppure
il professor Elio Apih, ritiratesi per motivi personali, avrebbe contribuito al-
l'equilibrio
della pluralità delle fonti, considerata la sua militanza politica in un
partito di
sinistra
e le strane modalità di pubblicazione, nel suo libro "Trieste. La storia
politica e
sociale",
del documento n. FO 371/48953 che egli per primo rinvenne al Public Record
Office
di Londra e che certifica gli infoibamenti avvenuti al Pozzo della Miniera di
Basovizza
nei
giorni 2 e 3 maggio 1945.
Contrariamente
ad ogni regola della Scienza che non accetta alcuna censura, il professore
non
pubblicò integralmente il documento, ma ritenne di edulcorarlo censurandovi
ampie parti.
Scomparvero
così le definizioni di "ferocemente antiitaliani" con le quali
l'intervistatore
inglese
definì i due sacerdoti sloveni interrogati. Sostiene la storiografia italiana
di sinistra
che
i nostri vicini ci hanno sempre amato e mai si dimostrarono antiitaliani, per
cui le
parole
dell'inglese furono cancellate.
Scomparve
così la precisazione del sacerdote sull'infoibamento di persone ancora vive.
11
prete testimoniò infatti che la "maggior parte delle persone era stata
fucilata nel modo
corretto
prima di essere gettata dentro la foiba". Evidentemente nella smentita
dell'infoibamento
di persone vive, vi è la conferma che parte di esse aveva subito tale
-13-
martirio.
Il particolare, sfuggito al sacerdote ma non allo storico Apih, è la conferma
della
barbarie
e pertanto doveva essere censurato e lo fu.
Dalle
dichiarazioni di uno dei due preti risulta che ai morituri non furono nemmeno
sommi-
nistrati
i Sacramenti, "poiché non ne valeva la pena". Anche questo
particolare la dice lunga
sulla
civiltà e sull'umanità slovena nel trattamento degli italiani e pertanto fu
censurato.
E
per concludere il discorso sull'imparzialità di questo storico, resta da
accennare la
questione
dei processi pubblici davanti al baratro. "Quasi tutti furono condannati a
morte.
Quelli
che non furono condannati a morte vennero lasciati comunque insieme agli altri.
Tutti
i 150 vennero fucilati in massa...".
Riportare
che anche coloro i quali non furono condannati a morte vennero poi fucilati
con
gli altri, evidentemente sembrò al professore cosa disdicevole e pertanto egli
ritenne
giusto
tenerla nascosta al lettore che avrebbe potuto farsi un'idea non corretta sulla
civiltà
e
sull'umanità dei nostri vicini e dei loro servi, i comunisti triestini.
APPARE
QUINDI EVIDENTE CHE LA RELAZIONE NON RISPETTA
NEMMENO
IL TERZO DEI REQUISITI CHE CERTIFICANO LA
SCIENTIFICITÀ'
DEL METODO D'INDAGINE, POICHÉ' ESSA E'
FRUTTO
DI SOLE FONTI BEN IDENTIFICATE DI NATURA
SLAVOCOMUNISTA.
L'analisi
svolta ha evidenziato che la relazione non ottempera a nessuno dei tre requi-
siti
richiesti dalla Giurisprudenza per concederle la dignità di opera
storiografica, e pertan-
to
si può concludere che essa costituisce un classico esempio di falsificazione
del vero ai
fini
di propaganda politica.
Tuttavia
essa ha ricevuto un coro di consensi che va attentamente analizzato.
Applaudono
felici tutti i personaggi politici sloveni, tra i quali il sottosegretario agli
Esteri,
Franco
Juri, il figlio del pluriomicida delle Malghe di Porzus. Nulla di strano. Gli
eredi, sia
naturali
che politici degli infoibatori non possono che essere soddisfatti di un
documento nel
quale
le secolari mire imperialistiche slave sono definite "storielle
rivendicazioni", dove gli
efferati
massacri di centinaia e centinaia di migliala di esseri umani sono minimizzati
in "centi-
naia
di vittime" e dove si ribadisce ancora una volta il concetto di debito
morale degli italiani
verso
gli slavi per le "persecuzioni" che quest'ultimi avrebbero subito.
Applaudono
tutti i politici di sinistra, eredi di quel Partito Comunista Italiano, complice
ed
attivo
sostenitore degli assassini titini, i quali vedono cancellato dalla relazione il
turpe tradi-
mento
compiuto quando, in nome dell'internazionalismo marxista, operarono affinchè
tutta la
Venezia
Giulia fosse ceduta alla Jugoslavia ed insultarono, derisero e perseguitarono le
povere
genti
istriane che si rifugiavano in Patria per sfuggire alle persecuzioni
slavo-comuniste.
Applaudono
anche altri storici, che fingendosi al di sopra delle parti, portano il loro
consenso
al lavoro della Commissione.
Uno
di questi è il professor Joze Pirjevec, autore del volume "Serbi, Croati e
Sloveni"
edito
nel 1995 dalla Universale Paperbacks il Muliono. In esso non è spesa nemmeno
una
parola
sugli infoibamenti di italiani avvenuti dall'autunno 1943 fino all'estate 1945,
nella
parte
dell'Istria ceduta alla Croazia.
Essi
semplicemente non sarebbero mai avvenuti e la maggioranza dei numerosi italiani
di
quei
temtori, "spaventata a morte dall'arrivo degli slavo-comunisti e dal feroce
regime staliniano
che
vi instaurarono, preferì emigrare in massa riparando in Italia ed a
Trieste", (pag. 113).
-14-
In
detto libro (pag. 153) viene anche affermato, parlando degli imputati dei
processi celebra-
ti
dal Tribunale speciale per la sicurezza dello stato, che "dieci dei quali
furono condannati a
morte
e fucilati nel periodo antecedente la seconda guerra mondiale" e, parlando
invece del
dopoguerra
(pag. 164), si sostiene che Tito dovette subire l'anatema di Stalin nel '49.
Sfortunatamente
per l'attendibilità del professor Pirjevec è incontrovertibile ed
incontroverso
che l'anatema staliniano colpì Tito, non nel 1949 ma un anno prima, nel
1948
e che i fucilati in esecuzione di condanne capitali emesse dal Tribunale
speciale prima
della
seconda guerra mondiale furono cinque (Gortan, Bidovec, Milos, Marussic e
Valencic),
e
non dieci!
Un
altro dei laudatori della relazione è il professor Roberto Spazzoli, coautore
col
professor
Raoul Pupo del già citato opuscolo del comune di Trieste sulla foiba di
Basovizza.
In
esso egli afferma che "Nelle drammatiche giornate del 29 e 30 aprile, la
località di
Basovizza
si trovò al centro di violenti combattimenti tra le formazioni jugoslave della
IV
Armata
che puntavano sulla città e le unità tedesche che la stavano abbandonando: sul
campo
rimasero molti caduti, da una parte e dall'altra, carcasse di cavalli e diverso
materia-
le
militare. Secondo alcune testimonianze il terreno fu subito sgomberato
precipitando sal-
me
e quant'altro nella voragine".
Studiando
però l'accurata ricerca fatta dal professor Samo Pahor sulle persone decedute
a
Trieste e dintorni per le ferite riportate nei combattimenti dal 28/4 al
3/5/1945, si scopre
che
in questi "violenti combattimenti", i molti Caduti di parte jugoslava
furono undici, tutti
il
giorno 30 e che il 29, nonostante i "violenti combattimenti" non morì
nessuno!
Nello
stesso opuscolo, il professore ha scritto che "Secondo un rapporto
ufficiale della
polizia
del Governo Militare Alleato furono recuperate 464 salme, di cui 247 di
militari, in
molti
casi inumati in fosse isolate o comuni.
In
realtà il documento cui il professore fa riferimento (e di cui possediamo copia
origi-
nale)
riporta un totale di 865 corpi recuperati, ma poiché nel corso dei decenni, uno
dei
divulgatori
più accaniti della storiografia slavocomunista, il signor Galliano Fogar, già
pre-
sidente
ed ora segretario a vita dell'Istituto per la storia del movimento di
liberazione trie-
stino,
ha ripetutamente martellato nei suoi scritti e nelle sue conferenze il numero di
464
salme
recuperate, ecco che ormai tale ammontare ha ricevuto il crisma della verità e
nessu-
no
si preoccupa più di andare a controllare i documenti e tutti parlano e scrivono
per sentito
dire
ripetendo strafalcioni clamorosi.
Lo
stesso signor Galliano Fogar, interrogato come esperto di storia nel processo
per i
crimini
della Risiera, non ebbe esitazioni nel dichiarare sotto giuramento che i quattro
partigiani
impiccati dai tedeschi in via Massimo d'Azeglio a fine marzo 1945, erano stati
tutti
e quattro catturati dalla Guardia Civica cittadina e consegnati da questa ai
nazisti.
In
realtà, come risulta dagli atti del processo che assolse il Podestà Pagnini
dall'accusa
di
collaborazionismo per essere stato il comandante della Guardia Civica, solo uno
dei
quattro
giovani fu fermato alla rotonda del Boschetto da una pattuglia di questa
formazio-
ne,
mentre gli altri tre furono arrestati il giorno seguente in tutt'altro posto
dalla polizia
politica.
Sulla
stessa linea di micrometrica precisione si pone anche il professor Giampaolo
Valdevit,
già candidato diessino, non eletto nelle liste degli ex comunisti alle ultime
elezio-
ni
regionali.
In
data 28 febbraio dello scorso anno, sul quotidiano locale "II
Piccolo", egli scrisse che
il
già ricordato villaggio di Lipa, incendiato per rappresaglia dai tedeschi
nell'aprile 1944,
"fu
distrutto, con i suoi abitanti, dall'esercito italiano nel 1942".
Nel
settembre del 1998, quando era Presidente dell'Istituto Regionale per la storia
del
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movimento
di liberazione, gli fu segnalato che il già citato onorevole Giordano
Pratolongo,
non
era deceduto a Trieste in seguito ad una aggressione neofascista (come sostenuto
nelle
opere
dell'Istituto), ma era invece morto di tubercolosi a Rovereto, come certificato
dal
quotidiano
comunista di Trieste, II Lavoratore.
Naturalmente
la segnalazione rimase senza risposta.
Tuttavia
questo studioso, per cui è normale spacciare per uccisa da "aggressione
neofascista"
una persona morta di tubercolosi, diventa improvvisamente meticoloso e pre-
ciso
quando parla delle cause dell'Esodo degli italiani dalla Venezia Giulia.
"L'esodo degli
italiani
non fu il risultato di una pulizia etnica" - egli ha puntualizzato il 9
aprile di que-
st'anno
al Corriere della Sera - "Fu piuttosto il riflesso di un drammatico
cambiamento
sociale:
la comunità (italiana) ancora legata a condizioni culturali ed economiche
tradizio-
nali,
vide irrompere nella vita di tutti i giorni la modernità rappresentata dal
potere statale
comunista".
Insomma
per costui, gli operai italiani dei cantieri e degli opifici di Pola e di Fiume,
notoriamente
lontani dalla modernità del progresso tecnologico, avrebbero lasciato le loro
città
perché spaventati dalla modernità rappresentata dalle opanke, le modernissime
calza-
ture
di cenci e spago delle turbe balcaniche, croate, serbe e montenegrine!!!
Appare
evidente a questo punto come ci si trovi davanti ad una pantomina ben organiz-
zata
e come la ritrosia del Ministero degli Affari Esteri italiano alla pubblicazione
di questo
pseudo
documento storico faccia parte di un piano ben organizzato e concordato tra
tutte le
parti
interessate a far passare come ineluttabile ed ineludibile la sua
ufficializzazione.
Dapprima
escono sui giornali sloveni delle indiscrezioni sui contenuti dello
"studio",
poi
gli storici sloveni protestano per la pubblicazione parziale che lederebbe i
loro diritti di
autore,
infine qualcuno passa il testo ai giornali italiani che lo pubblicano. Subito
tutti i
corifei,
facendo finta di aver appena letto il documento che invece conoscono da tempo,
si
affrettano
a tesserne le lodi in modo che il Ministero, coram populo, sia obbligato a
recepir-
lo
e a farlo suo.
SI
DEVE QUINDI CONCLUDERE AFFERMANDO CHE LA RELA-
ZIONE
DELLA COMMISSIONE MISTA ITALO-SLOVENA NON HA
DIGNITÀ'
SCIENTIFICA E PERTANTO NON E' UN'OPERA
STORIOGRAFICA
MA UN LIBELLO DI CONTROINFORMAZIONE
FONDATO
SULLA FALSIFICAZIONE DEL VERO A FINI DI PROPA-
GANDA
POLITICA VOLUTA DAI GOVERNI POST-COMUNISTI
DELLE
REPUBBLICHE ITALIANA E SLOVENA.
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