una breve sintesi di alcune relazioni del prof. Bruno Fedi che chiariscono motivazioni , filosofia e finalita' del CRCSSA

 

Lo scopo di ogni legge, che riguardi il campo scientifico, è migliorare la ricerca: renderla più efficiente, meno costosa, più semplice, anche più etica. La storia della scienza va in questa direzione. La storia di questa legge inizia in questa direzione, poi ne prende una diversa. Basti pensare ai progressi fondamentali nel campo della biologia fatti nel settore dell’Anatomia Patologica, dell’Epidemiologia, dell’Igiene, della Chirurgia, della Clinica in genere. Tutti progressi fatti sull’uomo. Non dimentichiamo la PET, la TAC, la RNM, e tutto ciò che viene da altre discipline, come l’ingegneria e la fisica. Le mie prime osservazioni nel campo della ricerca su animali provocarono risposte ironiche: mi si domandò se intendevo sperimentare direttamente sugli uomini. Pochi giorni fa, Garattini, persona credo non sospetta di animalismo, dichiara in televisione che gli effetti indesiderati del Viox e di altri farmaci, sono dovute a scarsa sperimentazione sull’uomo!

         Il progresso biologico è venuto, come noi diciamo da decenni, dalle culture, dalla genetica, dalla clinica ecc. che hanno permesso di comprendere le mutazioni a livello molecolare ed hanno aperto la strada alle biotecnologie, alle nanotecnologie ecc.; tutti hanno capito che ciò che è tossico e mutageno per le cellule è tossico e mutageno per l’uomo. Si è sviluppata la tossicogenomica. Ma le leggi, per non valorizzare il nuovo, e così far vincere a persone immeritevoli i concorsi, non temono concorrenza.

La nuova proposta di legge, infatti, non spinge nella direzione più promettente, bensì convalida l’idea scientificamente rozza, che senza gli animali non si possa fare ricerca e quindi perpetua la metodica fossile vivisettoria, la quale serve soprattutto per falsificare la scienza ed a rendere costose le ricerche eliminando i concorrenti economicamente più deboli.

Le leggi non possono favorire le frodi e la politica degli alti prezzi.

La nuova proposta di legge perpetua la situazione precedente per quanto riguarda l’esame dei progetti di ricerca. Ci siamo sentiti dire, nel corso della stesura della presente legge, che, per mancanza di personale addetto (2-3 persone), i progetti, inviati dai singoli ricercatori, venivano esaminati in numero limitatissimo. La nuova legge non pone rimedio a questo gravissimo errore, ma rifiuta i comitati di controllo, proposti da me, col pretesto che dovrebbero essere numerosi (dunque costosi) e darebbero risposte diverse da caso a caso. Si rifiuta perfino un preambolo etico che sarebbe stata una dichiarazione di buone intenzioni per il futuro, proposto da Lombardi Vallauri.

La nuova legge va verso un incremento dei campi di applicazione della vivisezione; classifica tra i metodi alternativi anche metodiche che alternative non sono; autorizza la vivisezione anche quando esistano metodi alternativi; perpetua la sperimentazione senza anestesia ecc..

Si commette un errore fondamentale facendo credere ai cittadini che c’è stato un progresso, ma perpetuando il vecchio metodo e la vecchia mentalità. Per queste ragioni non posso dare un giudizio favorevole sulla nuova legge. Lascio comunque questo mio personale ed un altro documento del Movimento Antispecista, che non esprime criteri generali, ma spiega le ragioni della nostra opposizione, commentando i singoli articoli.

 

                                                        Prof. Dott. Bruno Fedi

 

 

DANNOSITA’ DELL’ALIMENTAZIONE CARNEA

 

Che cos’è un veleno?

            E’ una qualunque sostanza che non venga metabolizzata dall’organismo umano, si accumuli danneggiando, o bloccando meccanismi vitali. Questa definizione considera sia l’aspetto qualitativo delle varie sostanze o composti, sia l’aspetto quantitativo. Ciò significa che non solo il cianuro di potassio o l’ossido di carbonio sono veleni, ma anche lo zucchero e l’acqua possono benissimo bloccare fenomeni vitali, in dosi adeguate. E’ ovvio che non si può proibire la vendita di acqua o zucchero, ma anche altre sostanze le quali non sono dannose in piccolissime quantità, come per es. le bevande alcoliche, lo diventano se ingerite in quantità superiori. Tuttavia anche la vendita di queste sostanze non è regolamentata. Perché la commercializzazione di alcune sostanze o composti sia regolamentata è necessaria una tossicità qualitativa anche per quantità minime. L’alcool etilico, già citato come esempio, è una sostanza tossica per l’uomo, ma non in piccolissime quantità. L’effetto è proporzionale alla quantità ingerita, alla velocità di ingestione, alla durata e ad altri fattori. Il fumo di tabacco, così come di molte altre sostanze, è dannoso, ma non in piccolissime quantità e per brevi periodi. I danni, in questi casi, non sono dimostrabili. La dannosità delle bevande alcoliche è tuttavia nota da secoli e quella del fumo di tabacco da alcuni decenni. Queste conoscenze, alcune delle quali piuttosto recenti, sono state sufficienti perché il consumo di alcool e tabacco venisse scoraggiato, tassato e si cercasse in ogni modo di informare i cittadini circa gli effetti dannosi per la salute. Il danno prodotto da bevitori e fumatori a sé stessi ed alla collettività è infinitamente superiore ai ricavi dello Stato attraverso le vendite e le tasse. Un ostacolo grave, nonostante tutto all’intervento dello Stato nello scoraggiare la vendita di queste sostanze, è rappresentato dal gran numero di lavoratori in questi settori. Questi lavoratori, perderebbero il loro posto, se queste sostanze di cui abbiamo parlato, non venissero più vendute. Questo induce tutti gli Stati a non proibirle in modo assoluto, nonostante la dannosità.

            La situazione, per quanto riguarda l’alimentazione carnea è, però, ancora più grave, ma anche di più difficile soluzione. Anche tralasciando il fatto che l’alimentazione carnea spinge verso la deforestazione per creare pascoli, quindi favorisce cambiamenti climatici, condanna alla fame ed alla dipendenza da altri Stati, milioni di persone, non si può non considerare il fatto che questa alimentazione è un danno generalizzato per l’umanità e personale per ogni singolo essere umano che la adotta. Uno dei fatti fondamentali è che l’alimentazione carnea può essere difficilmente definita come qualitativamente dannosa, mentre è evidente la sua dannosità dal punto di vista quantitativo sia per l’intera collettività che per i singoli cittadini. Ancora più dannoso è il pregiudizio che l’alimentazione carnea sia benefica, apportatrice di salute, intelligenza, bellezza. Tuttavia, a ben considerare, l’alimentazione carnea è anche qualitativamente dannosa. Dal punto di vista quantitativo è ovvio che un’alimentazione carnea esclusiva porti a carenze vitaminiche e che l’eccessivo apporto di grassi, contenuti anche nelle carni più magre, favorisca la degenerazione arteriosclerotica dei vani sanguigni. Una alimentazione dunque, basata principalmente sulla carne “fa male”, anche se ciò avviene in modo non apparente e richiede molto tempo. Però, anche i danni del fumo dipendono dalla durata, ma questo non induce alcuno a dire che il fumo fa bene, o che è innocuo. In particolare l’alimentazione carnea, come dimostra una massa sterminata di ricerche nel settore medico e biologico in genere, favorisce in modo diretto o indiretto l’insorgenza di alcune neoplasie e dell’arteriosclerosi. Queste due malattie sono la prima e la seconda causa di morte in assoluto, nell’uomo. Tuttavia, anche tralasciando questi aspetti drammatici, l’alimentazione carnea favorisce la stipsi cronica, uno dei più comuni disturbi dell’epoca attuale. Non si può neppure tacere il fatto che, statisticamente, i popoli che non consumano carne, non siano colpiti da “vene varicose”. Questo fatto, anche se statistico, non può esser privo di rilevanza.

            E’ indubitabile che nella carne, anche della migliore qualità, siano contenute catecolamine, putrescina e cadaverina, in quantità variabili a seconda della freschezza, ma il fatto fondamentale, nell’attuale alimentazione dei popoli del mondo industrializzato, è l’alto contenuto di sostanze tossiche. Queste ultime sono qualitativamente dannose ed assimilabili più ai veleni (qualitativamente tali, di cui abbiamo parlato all’inizio di questo scritto) che a composti che possono essere dannosi solo se ingeriti in grandi quantità. Queste sostanze tossiche, sono come tutti sanno: fitofarmaci, erbicidi, pesticidi ecc. ecc. che sono stati concentrati dagli animali d’allevamento alimentati con cibi che li contenevano. Molte di queste sostanze sono cancerogene e poiché la cancerogenesi si può realizzare anche per una mutazione puntiforme in un qualunque gene umano, teoricamente un solo atomo avente potere mutageno in un solo aminoacido di una tripletta del DNA (ATCC), può determinare la comparsa di una neoplasia. Non dimentichiamo che nella carne da noi abitualmente usata come alimenti sono contenuti anche antibiotici ed ormoni, comunemente usati negli allevamenti.  In questo quadro generale di dannosità per l’intera collettività umana e di dannosità specifica per la salute di ogni singolo consumatore, mi sembra evidente che i Governi, anziché lasciare l’uso della carne alle leggi di mercato (pubblicità che porta ai consumi e consumi che sono presi a pretesto per aumentare la produzione), debbano invece informare i cittadini sui possibili danni con grande beneficio per tutti, sia economico che sociale, oltre che della salute per l’intera collettività.

 

RISPOSTA A SILVIA DEL GROSSO

 

 

            Non molte idee del passato sono sopravvissute fino ad oggi. Si credeva, per esempio, che la pressione sanguigna aumentasse con l’età; non si sapevano gli stretti rapporti fra colesterolemia, infarto, ictus, arteriosclerosi in genere; non si conoscevano i rapporti fra alimentazione e tumori ecc. ecc.

            La verità ci è stata rivelata principalmente da studi epidemiologici, seguendo per decenni migliaia di persone e confrontando la loro alimentazione con le malattie da cui venivano colpite. Si è scoperto, senza ombra di dubbio, che la pressione può restare normale anche in tarda età, con un’alimentazione adatta, povera di grassi animali; che l’arteriosclerosi, nelle sue varie forme (ictus, infarto ecc.), ma anche i tumori, addirittura anche le emorroidi, la stitichezza, le vene varicose (malattie comunissime che affliggono la quasi totalità della popolazione) colpiscono molto di più i carnivori e gli onnivori che non i vegetariani. Dunque se qualcuno vuol vivere, vuol vivere bene e a lungo, sa cosa fare. Si dice però che la carne è ricca di proteine nobili: ebbene il manzo magro ha solo il 19% di proteine contro il 30% del formaggio pecorino, il 37% del parmigiano ed il 34-44% della soia. La carne, invece, contiene una elevata quantità di grassi, anche se apparentemente magra. Questi grassi sono per lo più grassi “saturi”, altamente dannosi per le arterie. Il maiale contiene il 34% di grassi; il manzo il 29%; non parliamo poi di salsicce o hamburger che ne sono pieni. Dunque non c’è un rapporto “equilibrato” di proteine, grassi e glucidi, mangiando carne.

            Nel 1800 i poveri venivano spesso colpiti da “malattie da carenza”. Ciò non era dovuto al fatto di mangiare vegetali, ma al fatto che spesso mangiavano solo polenta, o neppure quella. Certo non mangiavano arance e parmigiano. Oggi, le malattie da carenza si riscontrano in chi mangia carne, specialmente di animali d’allevamento. La causa è che la cosiddetta vitella, un vitello giovane mantenuto anemico per poter vendere carne bianca, è povera di ferro, ma ricca di acqua, antibiotici, ormoni ed altri fattori inquinanti, spesso cancerogeni, i cui effetti non si sommano, bensì si moltiplicano, come è accertato in patologia.

            Un recente studio ha ipotizzato la riduzione mondiale di un terzo dei casi di tumore, semplicemente raddoppiando il consumo di frutta. Questo risultato meraviglioso potrebbe essere ottenuto per l’abbondanza di fibre, vitamine e minerali. Altro che malattie da carenza nei vegetariani: il vero fattore morbigeno alimentare è la carne. Pensiamo solo a questo: la durata della vita, più lunga fra i mediterranei rispetto ai popoli del Nord è dovuta alla loro dieta povera di grassi animali. Non dimentichiamo i fatti: le donne giapponesi si ammalano di cancro della mammella molto raramente, ma, quelle che emigrano in America in due generazioni si ammalano con frequenza pari a quella degli USA, grazie alla dieta americana. Quanto alle considerazioni del dottor Pozzoli sull’”ordine naturale posto dal Creatore”, oppure sul fatto che “Hitler era vegetariano convinto” si può dire solo che non sono considerazioni scientifiche. Da un laureato in medicina ci si aspetta qualcosa di più e di diverso da considerazioni di questo genere.

 

                       

                                                                                              Prof. Bruno Fedi

 

RICERCA SCIENTIFICA E PROGRESSO

SOCIALE

 

            Premessa di questo documento è che la ricerca scientifica è uno dei più significativi indicatori  e un indispensabile fattore di progresso globale in tutti i settori, anche in quello economico. Un paese senza ricerca, non può progredire e, se possedesse una posizione preminente dal punto di vista economico, la perderebbe, diventando prima scientificamente e poi economicamente subalterno dei paesi più scientificamente avanzati. In un’ottica temporale non limitata all’immediato, la ricerca è anche un potente fattore di creazione di posti di lavoro e quindi di stabilità e progresso sociale.

            La tendenza in atto in alcuni settori del nostro paese, sfortunatamente, tende a limitare la frequenza scolastica fino al raggiungimento di un diploma, nell’errata convinzione che la cultura non abbia utilità concreta e che siano altri i fattori di successo economico immediato. Questa tendenza non solo prefigura una società in cui i valori mercantilistici ed edonistici superino tutti gli altri (si tenga conto che in Italia esista un 9% di laureati, contro il 23% dell’OCSE), ma anche crea la premessa di un arretramento economico futuro e di una subalternità crescente verso i paesi scientificamente e tecnologicamente avanzati.

            Conseguentemente una politica che non privilegi la cultura (l’Italia ha una media di 33 studenti per ogni docente; gli USA 15 studenti; la Germania 13; la Svezia 9) è destinato a provocare la decadenza globale. Tutti gli altri aspetti del rapporto fra cultura-ricerca scientifica-progresso globale (come: indipendenza dei ricercatori, multidisciplinarietà, linkage fra le varie discipline, sicurezza, organizzazione efficiente e non arbitraria, meritocrazia; assenza di subalternità all’economia o a preconcetti di ogni tipo, o a strutture, lobbies e consorterie) sono aspetti secondari, anche se fondamentali. Infatti è stata l’assenza di questi requisiti la causa della fuga dei cervelli dalle università italiane che hanno regalato un’alta percentuale di ricercatori agli USA. E’ stata l’assenza di questi requisiti la causa dei casi più eclatanti, come quello del prof. Marino rientrato in Italia dagli USA e poi di nuovo immigrato verso gli Stati Uniti per impossibilità di concretizzare in Italia quanto gli era stato promesso. La stessa cosa è avvenuta al prof. Luzzatto rientrato in Italia dallo Sloan-Kettering Institute e poi licenziato dal manager italiano! Una ricerca subalterna alla politica o all’amministrazione ordinaria, nella migliore delle ipotesi, induce gli scienziati e i ricercatori a mlitare in un gruppo politico, a privilegiare la logica dell’appartenenza, rendendosi conto che le loro possibilità non si basano su una logica meritocratica. Un forte ostacolo a questo deleterio scenario potrebbe esser dato dalla creazione dell’European Research Area (Ruberti e Dahrendorf) ma ci sono segnali che sembrano indicare un desiderio di sganciamento dell’Italia da questa linea di condotta.

            Da quanto esposto è evidente l’interconnessione fra formazione culturale, università; rapporti con la ricerca in altri paesi o enti sovranazionali. La ricerca, presuppone ormai strutture sovranazionali, interconnessioni con settori diversi, per esempio fra biologia, fisica, chimica, etica. La ricerca rappresenta un investimento sul futuro dell’intera comunità, sia a livello nazionale che sovranazionale. Gli interventi nel settore della ricerca scientifica hanno conseguentemente, una notevole complessità. Per esempio migliorare il solo aspetto economico della carriera dei ricercatori, senza risolvere quello meritocratico, o quello dell’indipendenza da gruppi di pressione, può essere ininfluente o trasformare i ricercatori stessi in una “casta” tendente a conservare specifici privilegi (Lavelock), senza alcun beneficio per il paese, per la collettività, per il progresso scientifico-sociale. Esaminiamo quali siano i settori di ricerca prioritari per il nostro paese. Uno di questi è certamente l’energia atomica per usi pacifici. Questo settore fu praticamente abbandonato, dopo il referendum sulle centrali. Ciò portò all’abbandono anche nelle ricerche, nelle quali eravamo all’avanguardia. L’intero settore delle “energie rinnovabili”, dall’energia solare, al vento, alle maree ecc. è meritevole di un incremento della ricerca. Un’economia fondata sul petrolio non potrà durare in eterno; inoltre rallenta la ricerca in altri settori, provoca tensioni internazionali il cui costo in sofferenze e vite è difficilmente sostenibile; orienta la società verso un modello consumistico a spese dei paesi più poveri ecc. ecc. La ricerca di base e quella applicata nelle energie alternative  è dunque più che opportuna; è una necessità anche per svincolarci dalla dipendenza economica e quindi politica da chi controlla il settore.

            Un altro settore è quello dell’informatica. Non posso tacere l’errore di cambiare indirizzo alla ricerca ed all’attività della Olivetti, mentre eravamo fra i primi al mondo anche in questo campo. Ciò avvenne per scelta di industriali e banchieri ritenuti sfortunatamente, illuminati. L’informatica potrebbe dare un contributo essenziale al progresso culturale del paese e quindi indirettamente, ma anche direttamente contribuire alla selezione di una nuova generazione di uomini di scienza. Nel campo della chimica, non c’è bisogno di spendere parole. La sola scoperta di Giulio Natta, il polipropilene, dette al paese un primato, dilapidato dalla cattiva gestione di esso e dalla mancanza di investimenti per creare nuovi ricercatori.

            Il settore medico-biologico è uno dei più promettenti per il fatto di possedere già un alto numero di potenziali ricercatori; per il fatto che nuove tecnologie (TAC, PET, RNM, Chirurgia endoscopica, Trapianti) allargano ed approfondiscono le varie aree di ricerca applicata tradizionale. La genetica, la proteinomica hanno aperto orizzonti impensabili fino a pochi anni fa, inaugurando l’era dei trapianti, non più di organi, bensì di cellule (le staminali). Si è aperta l’era degli OGM. Si è trattato di una rivoluzione di portata uguale o superiore a quella della fisica dei primi decenni del ‘900, portatrice di applicazioni immense nel campo della diagnosi, della terapia, della comprensione dei meccanismi di malattia, ma anche nel campo dell’alimentazione, dell’agricoltura, dell’ecologia, della possibilità di trasformare rifiuti tossici in elementi innocui. Tutto questo potrà avvenire se le scoperte scientifiche non dovranno sottostare a logiche di mercato, creando una sorta di neocolonialismo economico che non richiede l’occupazione militare dei paesi colonizzati. Accanto al settore della ricerca fondamentale anche la ricerca scientifica applicata, la bioingegneria, realizza organi artificiali e strumenti sempre più sofisticati. Attualmente questo settore sta attraversando un periodo favorevole in Italia. Come possibile esempio di settore di sviluppo, mi sembra utile suggerire di sfruttare l’attuale tendenza positiva verso l’informatica per favorire al massimo la formazione a distanza, creando una generazione di ricercatori, o per effettuare un training continuo, per quelli già formati. Un’altra possibile forma di applicazione concreta, potrebbe essere la trasformazione di una parte dei 300.000 medici italiani attuali, oggi per 1/3 sottoccupati, in ricercatori. Ciò richiederebbe pochi anni, a fronte dei molti anni che sarebbero necessari per altri paesi anche scientificamente avanzati, che però non abbiano così tanti laureati nel settore biomedico e che dunque sarebbero costretti ad attendere decenni e ad impiegare grandi capitali. Una scelta di questo tipo porterebbe immediatamente il nostro paese all’avanguardia nella ricerca biologica e trasformerebbe in ricchezza ciò che adesso è sottoutilizzato o addirittura un danno per il paese. 

            Un altro settore fondamentale è rappresentato dai nuovi materiali, che possono essere usati non solo per ricerche aerospaziali ma anche per la biologia, la medicina, la costruzione di protesi, senza i difetti di quelle odierne, per la costruzione di apparecchiature o di organi e tessuti artificiali (cuore, fegato, rene, pelle, ossa, cartilagini, ecc. ecc.) concretizzando un importante legame con l’informatica. Quest’ultima infatti può essere usata per ricerche scientifiche simulate (il che costituisce da solo un importante campo di applicazione), ma può anche simulare e disegnare intere parti del corpo permettendone la ricostruzione. Infatti i modelli tridimensionali ottenuti possono venir costruiti concretamente dalla bioingegneria, già citata.

            Un altro settore ancora della ricerca scientifica futura è rappresentato dalle nanotecnologie , dalla scienza dell’infinitamente piccolo, dalla miniaturizzazione che rappresenta un ulteriore settore strettamente legato a molti altri e che renderà possibile lo sviluppo di macchine oggi impensabili.

            Questi settori (bioingegneria, informatica, telematica, biotecnologie, energie, rinnovabili, biomateriali) sono citati come semplici esempi di quanto potrà avvenire e in parte sta già avvenendo, che porteranno ad uno spettacolare sviluppo non solo della chirurgia plastica, o dell’ortopedia, ma anche alla ricostruzione di qualunque organo e tessuto, permettendo il superamento dei limiti etici imposti dalle staminali embrionali, che non saranno più necessarie. Sarà altresì possibile creare nuovi organismi realizzando in campo biologico quanto la fisica ha realizzato fin dal secolo scorso creando nuovi isotopi.

            Non è scopo di questo documento effettuare un elenco completo dei settori in cui è prevedibile uno sviluppo sensazionale, bensì fornire qualche flash e stabilire concetti fondamentali sulla ricerca.

            Il progresso scientifico applicato alla produzione di armi potrebbe portare ad una rapida fine dell’umanità, o alla fine più lenta attraverso l’inquinamento, ma anche semplicemente attraverso alla realizzazione di una società più corrotta. Il progresso scientifico può però anche portare ad una nuova società, raggiungendo nuovi equilibri che non prevedano mezzi crudeli o ripugnanti per la nostra coscienza etica e realizzando una società con una più giusta distribuzione dei beni e della ricchezza: una società più etica. Non impegnarsi nella ricerca scientifica significa semplicemente uscire dalla storia, lasciando altri a decidere per noi. Uno dei nostri compiti è appunto impegnarsi, investendo nel nostro futuro per ottenere una migliore società. Sarà la ricerca a garantire tale futuro, perché assicurerà il rinnovamento dell’industria, che non può sopravvivere se non si rinnova.

            Per ottenere risultati bisogna dire cose credibili: non illudersi di poter diventare ricchi o essere all’avanguardia, senza fatica. Bisogna investire nel futuro ed esporre progetti e programmi. Il progetto è una società migliore, più etica senza gli enormi squilibri di oggi fra ricchi e poveri. Il programma è l’investimento nella ricerca scientifica.

 

RICERCA COME FATTORE DI  PROGRESSO

 

         E’ ormai un fatto universalmente accertato che il progresso globale di un paese sia determinato da quello scientifico. Senza progresso scientifico l’industria muore, o diventa subalterna di altre industrie straniere che, invece, fanno ricerche, scoperte e depositano brevetti. Così è avvenuto anche in Italia negli anni ’60 per l’industria farmaceutica, fino ad allora fiorente, per l’industria chimica, anche in quei settori in cui eravamo all’avanguardia (per es. nel settore fibre sintetiche. Il polipropilene), e per l’industria informatica. L’Olivetti produsse il primo personal computer, ma saggi banchieri e industriali illuminati dichiararono che era inutile. La ricerca industriale non può dipendere dalla politica. Quando ciò avviene, come è avvenuto in Italia il progresso dell’intero paese si arresta. L’ultimo esempio, sempre degli anni ’60, è stata l’industria chimica, alla cui direzione, in un certo momento, si è trovato un uomo intelligentissimo, abilissimo, tuttavia modesto conoscitore della chimica, visto che era un Maggiore dei Carabinieri. Con l’imposizione nei punti chiave di personaggi scelti dalla politica, l’industria chimica ha subito un gravissimo danno.

         Senza ricerca scientifica, l’Università muore; diventa un Liceo, privo di organizzazione dello studio, privo di limiti di tempo, privo di limiti nella ripetitività degli esami falliti, privo di insegnamento avanzato approfondito e organizzato.

         Senza ricerca la cultura muore e l’intero paese perde  la sua identità. L’identità di un popolo non consiste nell’abitudine di mangiare pizza margherita anziché hot-dog, ma nella sua cultura specifica. La ricerca non può essere condizionata neppure dall’economia: inizialmente la ricerca di base può sembrare priva di applicazioni e quindi di utilità, che possono poi rivelarsi immense. Ricordiamoci il fisico Faraday, che, in visita al primo Ministro Inglese, alla domanda: “ebbene mister Faraday, cosa pensate di fare di questa strana forma di energia (elettrica) che avete scoperto?”, rispose: “al momento, signor primo Ministro non lo so, ma sono sicuro che lei troverà il modo di tassarla presto”. La ricerca, soprattutto, non può dipendere da pregiudizi filosofici o religiosi. Non si può dire: “questa osservazione scientifica non può essere vera, perché libri sacri, la nostra tradizione religiosa dicono in modo diverso”. Neppure si può dire: “tutto ciò che è necessario sapere si trova nei libri sacri; il resto è inutile o dannoso”. I risultati di simili preconcetti si osservano nella storia: i popoli che hanno adottato simili concezioni della società  hanno subito l’arresto della loro civiltà e si trovano tutt’ora nel Medioevo. Esistono però delle limitazioni alla ricerca, o piuttosto ai mezzi che si usano, agli scopi che si tenta di conseguire ed al tipo di applicazioni concrete della ricerca. La scienza deve essere etica: non si può ricercare con mezzi crudeli (come fecero i nazisti) non si può fare ricerca per favorire la distruttività e la guerra; non si può ricercare per aumentare l’ineguale distribuzione della ricchezza. Rispettati questi limiti, cioè di ricercare per il bene di tutti, con mezzi eticamente validi e di fare ricerca controllabile, la ricerca deve essere libera.

Esistono settori più o meno promettenti, ma la ricerca fondamentale fornisce una base a tutte le elaborazioni applicative successive, spesso inizialmente inimmaginabili, determinando un progresso globale della società sempre e comunque. Attualmente i settori dell’energia atomica, dei nuovi materiali, dell’informatica, della genetica, delle biotecnologie, delle nanotecnologie, sembrano i più promettenti, ma nessuno può dire che la paleontologia o la paleoclimatologia non possano essere settori di fondamentali scoperte in un futuro prossimo. La genetica, per esempio, ha fatto passi da gigante, permettendo di intravvedere orizzonti inimmaginabili per la cura e la prevenzione delle malattie, per i danni provocati dall’età, per la possibilità di trapiantare organi e tessuti, per produrre cibi, per l’ecologia e l’ambiente.

La grande scoperta dell’esistenza delle cellule staminali anche in organismi ed in tessuti adulti, la possibilità di stimolare la produzione e la differenziazione di queste cellule  è stata favorita sullo sterminato sommerso culturale diffuso creatosi negli ultimi anni nelle società scientificamente avanzate. Questo sommerso culturale è anche opera dei sostenitori dei diritti degli animali e cioè di coloro che sostengono il superamento delle barriere interspecifiche. Essi hanno creato la sensibilità sociale dunque i presupposti e le condizioni per la ricerca le quali hanno fatto si che alcuni cervelli illuminati avessero l’idea della possibilità  di scoprire, hanno fatto sì che si rileggessero in modo diverso fatti scientifici già noti, fino alla identificazione delle staminali non solo negli embrioni, ma anche in organismi adulti. Le osservazioni di chi da decenni si domandava perché si sprecassero milioni di placente, perché si sprecassero milioni di funicoli ombelicali, (o almeno le grandi quantità di sangue contenuto in essi), perché si desse per scontato che le cellule nervose non si possono riprodurre nonostante fatti e osservazioni che facevano pensare il contrario ha portato alla scoperta scientifica. Ciò è stato favorito dalla sensibilità di coloro che si opponevano a ricerche crudeli su altre specie animali. Tuttavia si è scoperto che esistono staminali e staminali: quelle degli embrioni sono “più staminali delle altre”. Però quelle del funicolo e persino quelle provenienti dal S.N.C. sono molto simili a quelle embrionali. Inoltre ci sono molti embrioni, espulsi spontaneamente non volontariamente, che potrebbero essere oggetto di ricerche. Essendo deceduti per cause occasionali, la loro morte non è stata voluta; perché dunque opporsi in linea di principio a studi e ricerche su questi ultimi? Perché permettere l’aborto volontario ma opporsi alle ricerche su embrioni? Non è pura ipocrisia? Dunque anche per coloro che ritengono immodificabile ed eterno ciò che è scritto nei libri sacri, almeno gli embrioni deceduti spontaneamente potrebbero poter essere oggetto di ricerche. Non è razionale dichiarare che sono intoccabili, anche per un fine benefico solo perché in un certo libro c’è una frase scritta tremila anni fa da persone totalmente ignare del futuro e della situazione presente. La situazione in tremila anni è cambiata, c’è stata un’evoluzione: non si può fare ricerca partendo da preconcetti e neppure si può rassegnarci al sorpasso da parte di coloro che questi preconcetti non hanno e conseguentemente fanno e faranno le ricerche sulle staminali.

Le cellule staminali rappresentano la nuova frontiera della biologia: permettono di superare l’idea e la pratica del trapianto di organi, sostituendola da quella del trapianto di cellule indifferenziate, che ripareranno e rigenereranno gli organi danneggiati. Non solo tutte le malattie genetiche, ma anche tutte quelle degenerative, da usura, tutte le malattie altamente invalidanti di questo tipo, ma anche le atrofie di specifiche zone, limitate ma fondamentali per la vita di tutto l’organismo (la substanzia nigra, la retina ecc. ecc.) ed anche le distruzioni cellulari dovute a traumi, flogosi, perfino tumori, potranno beneficiarne. Dunque la ricerca in questo settore è fondamentale, ma si può fare anche mantenendoci entro i limiti stabiliti dall’uso di mezzi per molti inaccettabili, come produrre embrioni allo scopo di sperimentare su di loro. Basterà ricercare embrioni morti per cause naturali, basterà non sprecare il materiale proveniente dalle placente, dai funicoli, dalle biopsie; basterà favorire la ricerca di base che promuoverà quella applicata. Questa ricerca, non può essere lasciata a coloro che sono disposti a tutto pur di essere ricchi e potenti; non può essere abbandonata alle industrie più ricche le quali praticando una politica di prezzi alti ed alti profitti. Esse escluderanno, come già escludono i concorrenti  meno ricchi dalla ricerca scientifica. La ricerca attuale usa il modello animale per complicare le cose: prima lo usa per estorcere denaro pubblico e privato con il pretesto di risultati promettenti; poi falsifica la scienza, infine e soprattutto usa questo modello per tenere alti i costi. Non si può continuare una ricerca con una metodica che usa gli altri animali, indifferente alla loro sofferenza per alzare i prezzi ed escludere dalla ricerca le industrie meno ricche, specialmente del terzo mondo, praticando in concreto una sorta di neocolonialismo scientifico. Non si può continuare ad usare il modello animale per falsificare la scienza ed ottenere sovvenzioni, non si può continuare con un modello che implica crudeltà ed è fuorviante sia per le coscienze di chi lo usa sia per l’informazione dei cittadini a cui viene fatto credere che tale modello esclude gli esseri umani dall’essere possibili oggetti di sperimentazione. Il salto di qualità nella ricerca deve consistere nel rifiutare ogni pregiudizio fuorviante; nell’includere fra i soggetti della ricerca i popoli del terzo mondo, nello sperimentare soprattutto su colture umane, saltando il passaggio fuorviante della sperimentazione animale. Ciò produrrà una semplificazione, un’accelerazione della ricerca e una riduzione dei costi che la renderà accessibile a tutti, attenuando l’ineguale distribuzione della ricchezza e del benessere.

         Attualmente il nostro paese è agitato da tendenze federative che non devono stravolgerne l’unità, ma per quanto riguarda leggi regionali che stabiliscano una maggiore comprensione, tolleranza, responsabilità dell’uomo verso le altre specie, tale concezione federalista, può essere accettata. Queste leggi non spingono ad usare mezzi inaccettabili e non perseguono fini immorali, ma spingono verso il superamento della barriera interspecifica e facilitano la ricerca. Può essere incostituzionale una legge che proibisca una libertà o una giusta attività. Non può essere incostituzionale una legge che permetta una libertà o l’esercizio di una giusta attività. E’ incostituzionale permettere l’importazione, la commercializzazione, il possesso di rettili che mangino solo animali vivi, cioè una legge che permetta un aumento della distruttività della natura e della variabilità genetica, che stimoli la crudeltà non una legge opposta che proibisca queste crudeltà. Il diritto dunque di alcune regioni di legiferare nel settore dei rapporti uomo-altri animali, nel senso di ridurre la crudeltà è legittimo e va nella direzione di favorire la ricerca etica, cioè verso l’unica via per evitare la subalternità prima scientifica poi industriale e infine della nostra intera comunità civile.

 

COMUNICAZIONE DI B. FEDI

Abstract

 

            Quali sono gli obiettivi dei ricercatori scientifici? Sapere. Come sapere? Nel modo più certo e più accurato possibile. Com’è possibile questo risultato? Effettuando ricerche non inficiate da pregiudizi, credenze, costumi o scopi predefiniti estranei alla scienza. Effettuando ricerche non condizionate da chi fornisce il capitale e vuole risultati economici concreti, a breve scadenza. Effettuando ricerche che non debbano, per legge, essere legate ad un metodo, considerato ortodosso, usato come metro di validazione degli altri metodi, pur non essendo mai stato validato esso stesso (la ricerca su animali non ha mai avuto procedure di validazione). Effettuando ricerche che, se fatte con una certa metodica, deresponsabilizzino gli operatori dalle conseguenze di quanto si è asserito, essere stato osservato. Il metodo di ricerca “su animali” è stato finora legalmente obbligatorio e deresponsabilizzante per chi lo pratica. Questo metodo facilita la falsificazione scientifica, perché, con alcuni accorgimenti (per esempio usando ceppi molto sensibili o poco sensibili si possono interpretare e quindi manipolare i risultati), con tutte le conseguenze sociali ed economiche prevedibili (carriere, denaro, potere, commercio, intrecci politico-affaristici). Tutto questo concorre a mantenere interi paesi, o continenti, in una situazione post-colonialistica dal punto di vista economico, perché impedisce alla ricerca ed all’industria locale di svilupparsi. Dunque ritarda il miglioramento delle condizioni di vita di interi popoli. Come sono possibili ricerche scientificamente avanzate? E’ indubitabile che ciò che si deve studiare, per capire ciò che avviene nell’uomo, dal punto di vista biologico, è l’uomo stesso. La ricerca su animali fornisce indicazioni insicure, approssimate, per somiglianza ed analogia. Per sapere se le ricerche sono valide devono obbligatoriamente essere ripetute sull’uomo. Se i risultati sono uguali (ma sono sempre diversi, almeno dal punto di vista quantitativo), possono venire pubblicati e concretamente utilizzati. Dunque, con questa metodica, la ricerca sull’uomo, è inevitabile. Dopo aver studiato ed organizzato la conoscenza, negli ultimi secoli, degli aspetti più macroscopici della biologia e della medicina, siamo arrivati ai meccanismi più intimi della fisiologia e della patologia. E’ stato fatto un progresso paragonabile a quello effettuato quando siamo passati dalla meccanica classica, alla meccanica quantistica. Siamo oggi arrivati alla patologia molecolare, allo studio dei geni, alle nanotecnologie, alle chimere, agli organismi geneticamente modificati. Sono questi i settori da indagare e da promuovere, attraverso nuove leggi, insieme ad un miglior uso della chimica, dell’epidemiologia ecc. ecc., cioè ad un miglior uso di quanto già sappiamo. Non è dunque accettabile una proposta di legge che, non solo non stabilisca i principi sopraesposti, non solo non favorisca la ricerca nei settori più promettenti, ma neppure vada in questa direzione, neppure si ponga come obiettivo lontano quello di eliminare l’insicurezza, l’approssimazione, la ripetizione delle esperienze, la valorizzazione di quanto è già conosciuto, eliminando l’attuale situazione di colonialismo farmacologico per molti paesi. Una proposta di legge, nel settore scientifico, deve favorire la ricerca, semplificare e rendere più economiche le procedure, valorizzare i settori più promettenti, controllare ciò che si fa, non semplificare abolendo i controlli e consentendo la falsificazione dei risultati, oppure consentendo procedure così complesse da risultare possibili solo ai grandi gruppi industriali, che perseguono ed attuano una politica di “alti prezzi”, così da escludere la concorrenza delle imprese e dei paesi economicamente meno forti.

 

 

 

IL CONTROLLO DELLA SOCIETA’

(attraverso l’energia l’alimentazione, i farmaci, e i mezzi di comunicazione di massa)

 

         Questo progetto è iniziato con l’esemplificazione di due casi concreti: il controllo della società attraverso l’alimentazione e attraverso la ricerca biologica. Potrebbe continuare attraverso l’esame del commercio delle armi, quello della produzione di energia ed anche del controllo della cultura che suggerisce a tutti i cittadini il loro “stile di vita”. E’ evidente che per un documento che illustri tutti gli aspetti del controllo sociale sono necessarie molteplici competenze.

         E’ difficile che i singoli cittadini percepiscano il controllo che viene effettuato sulla società attraverso la ricerca scientifica, oppure, più genericamente attraverso la cultura. La percezione della situazione è maggiore nel campo della sanità, dove risulta chiaro che il controllo della salute e della malattia o quello della ricerca, giocano un ruolo fondamentale. Nel dopoguerra il settore della sanità, resa sempre più estesa a varie fasce sociali e sempre più gratuita, servì a creare la riproduzione del consenso politico, permettendo alle industrie di produrre, alla classe medica di prescrivere liberamente, ai cittadini di consumare gratuitamente. Molte fasce sociali ebbero ragione di essere soddisfatte di questo stato di cose. Contemporaneamente furono forzati i consumi, attraverso la persuasione palese od occulta: fu fornito un modello consumistico. Fu allora che venne creato un mostro che divora ogni anno oltre 100.000 milioni di euro, con guadagni, evasioni fiscali, occasioni di posti di lavoro, impensabili. Ci sono stati alcuni casi assolutamente scandalosi di corruzione o di malasanità, come gli scandali Poggiolini, De Lorenzo, lo scandalo degli emoderivati, ma anche scandali ignorati dall’opinione pubblica come quello dei vaccini. Si è trattato di casi drammatici, ma che hanno colpito un ridotto numero di cittadini e non hanno avuto eco. Altri casi come quello di una signora (collegata con l’industria Fidia) sorpresa ad un posto di frontiera, con ricevute per 420 miliardi di lire in borsetta, sono stati presto dimenticati. Altri casi ancora sono stati così enormi da essere praticamente invisibili: per es. la mancanza di programmazione e di prevenzione, le leggi che non ostacolano l’inquinamento, lo strapotere delle lobbies farmaceutiche, il perpetuarsi di una situazione medievale con feudi e baronie nelle università e nella sanità. Si tratta di feudi in cui ogni cattedratico, o presidente di ASL, sistema i propri protetti, cioè coloro che hanno il grande merito scientifico e sociale di aver “tirato la sua personale carretta”, oppure di essere semplicemente suoi familiari. A questo si è aggiunta la lottizzazione politica che ha portato a subordinare la sanità ai politici. Nella visione di molti politici locali ogni ASL o Ospedale deve fornire un certo numero di voti. Alcuni anni fa, tangentopoli mise in crisi il sistema che si bloccò temporaneamente interrompendo la prassi degli appalti, ma, nella sanità, come hanno dimostrato anche alcuni casi recentissimi, il sistema non è cambiato. La sanità è un mezzo potente di riproduzione del consenso. Si perpetua anche il sistema universitario, con un controllo capillare sulle singole persone che “faranno carriera” ed effettueranno grandi guadagni. Si mantengono invariati i metodi di ricerca e si ottengono perfino leggi favorevoli all’industria dei farmaci; per esempio quelle sui farmaci che pur non scadendo dopo tre anni debbono venire eliminati e quindi debbono essere ricomperati dall’industria che li produce. Naturalmente ci sono aspetti negativi: con questi sistemi la ricerca diventa marginale; non c’è un sufficiente numero di operatori ad alto livello, perché non vengono incentivati. Nascono così i viaggi della speranza, i traffici di organi (il traffico di cornee al S. Camillo di Roma ne è un esempio), i traffici sul sangue ecc.. Ciò comporta anche il perpetuarsi di una fiorente industria privata e l’esclusività di interventi innovativi in alcune case di cura che spesso si sono dotate per prime di TAC e RMN. Le deficienze del settore pubblico favoriscono così una fiorente attività privata, anzi l’Ente Pubblico viene spesso usato a scopi privati. L’ospedale e l’università vengono usati per la “visibilità” e cioè per creare un’attività da svolgersi privatamente. Avviene cioè una privatizzazione dei guadagni ed una socializzazione delle perdite anche in questo settore. Tutto questo è grave per la società nel suo complesso. L’università diventa subalterna all’industria, unica a pagare per convegni, ricerche ecc.. L’industria non è un ente benefico: è governata da leggi di mercato. Dovrebbe fare ricerca ma trova più comodo comperare i brevetti: il numero di brevetti italiani prodotti annualmente è un decimo di quello tedesco. Senza parlare dei ricercatori e degli investimenti. L’industria, in questo modo si rende subalterna alla ricerca compiuta all’estero. In sostanza è la società intera che diventa subalterna a paesi scientificamente più avanzati. L’inferiorità scientifica provoca la fuga dei cervelli e questo crea un circolo vizioso, perché aggrava l’inferiorità, che, a lungo andare, diventa una concreta inferiorità sociale. Dunque il controllo della salute e della malattia, a livello italiano, facilita e perpetua uno stato di superiorità americana. Avere eliminato l’industria e la ricerca italiana (avvenuta subito dopo casi emblematici: il caso Marotta, il caso Ippolito) ha portato ad una crisi scientifica, che provoca oggi una crisi sociale. In tutto questo, il modello di ricerca, ha giocato un ruolo importante. La situazione non è insolubile, ma certo non facilmente: ci vogliono idee nuove e queste sono difficili ad accettare per il solo fatto di non essere già conosciute.

 

         All’inizio degli anni ’50, l’Italia aveva un’industria farmaceutica ed un’industria chimica che la portò anche ad ottenere un premio Nobel (scoperta del polipropilene). L’Italia aveva un comitato nazionale per le ricerche ed una sua politica petrolifera. Questa situazione venne radicalmente cambiata in breve tempo, con atti politico-giudiziari. Il direttore dell’ISS (Marotta) fu condannato. Il direttore del CNR (Ippolito) fu ugualmente condannato. Il presidente dell’Agip (Mattei) ebbe un misterioso incidente, un presidente della Repubblica Italiana, in quel periodo ebbe a dire: “la ricerca noi la facciamo fare a chi ha quattrini da spendere”. Ciò sanciva la decisione di rendere la ricerca italiana subalterna a quella di altri paesi. Da allora l’Italia non è più stata un possibile concorrente nel mercato globale: non abbiamo un’industria farmaceutica; nel settore della chimica, se vogliamo il prolipropilene, dobbiamo comprarcelo dagli stati che lo producono.

         Dagli esempi citati, risulta evidente come si possa controllare il mercato globale. Non è necessaria l’occupazione militare: basta controllare l’energia, gli alimenti, la ricerca, la salute, ma soprattutto l’informazione che è condizione indispensabile anche per tutti gli altri settori citati. Talora basta controllare la sola informazione, o, al più, l’informazione e la ricerca. Nel momento attuale, però, il controllo totale dell’informazione è difficile, perché l’inaspettato sviluppo di informatica e telematica hanno reso accessibili le informazioni anche ai più sperduti villaggi africani. Inoltre, la concretezza dei nostri concittadini, cioè il rifiuto di guardare al domani, oltre che all’oggi, hanno creato due situazioni favorevoli a chi vuole cambiare lo stato delle cose.

         Esaminiamo il solo aspetto salute-malattia, trascurando gli altri. Con la conferenza di Marrakesch (1997) è nato il mercato globale. E’ stato un grande balzo in avanti, perché non occorre più invadere militarmente, uccidere, rubare, ma, da allora si possono rendere schiavi i cittadini ed interi popoli, con metodi puramente economici. Tutto si può acquistare; tutto è diventato merce. Ovviamente i popoli più ricchi comperano dai più poveri, i quali sono costituiti da cittadini singoli che agiscono nel proprio interesse e non nell’interesse di tutti: dunque vendono derrate alimentari (che sarebbero indispensabili ai loro concittadini affamati) oppure comperano con denaro ricavato dalle vendite oggetti non indispensabili. I governi, peggiori dei loro cittadini, generalmente comperano armi. In campo scientifico non si vendono alimenti, ma cose ancora più importanti, per esempio la genetica della flora, o anche quella dei cittadini stessi, cioè la biodiversità mentre si comperano brevetti e prodotti altamente tecnologici. Le nazioni più ricche vendono questi prodotti altamente tecnologici e hanno così il controllo del mercato: in realtà acquisiscono il controllo del paese. Nel campo della salute e della malattia non conta però il solo controllo; noi siamo condizionati dal nostro retaggio storico ad impiegare certi sistemi di ricerca a preferenza di altri. Le osservazioni scientifiche che hanno portato allo spettacolare sviluppo dell’ultimo secolo, sono iniziate con gli studi sui cadaveri agi albori dell’età moderna. Si è imparato finalmente l’anatomia, come si vede sui cadaveri; si è imparata la fisiologia, poi la patologia, l’istologia, la genetica, ma il progresso in tutti i campi scientifici, specialmente i quelli della fisica e della chimica, induce i ricercatori biologici a cercare anch’essi un laboratorio in cui riprodurre i fenomeni.

 

Gentile Dottor Augias,

 

nella trasmissione da lei condotta si svolgono dibattiti su problemi importanti, con raro equilibrio, senza cercare di creare un pubblico che si conformi all’opinione di chi parla. In poche parole Lei forma un ascoltatore critico e non conformista. Alcune di queste conversazioni, per esempio quella col Prof. Boncinelli, sono state assolutamente affascinanti, per quel che è stato detto e per quel che è stato fatto intuire. Per queste ragioni mi rivolgo a lei. Penso che non si farebbe un grammo di male se si parlasse fra i tanti argomenti trattati, anche del rapporto dell’uomo con gli altri viventi, cioè gli ”altri animali” (specialmente i cosiddetti “esseri senzienti”), sia dal punto di vista scientifico che etico. A molti questi sembrano argomenti fatui, non seri rispetto alla gravità di quelli che riguardano gli esseri umani. La gravità dei problemi umani, tuttavia, non è indipendente dai rapporti dell’uomo con il “non-self”. Questi rapporti sono stati cruciali per tutta la storia dell’umanità e lo sono ancora per il suo futuro. Tutta la nostra preistoria e la nostra storia sono state condizionate da questi rapporti: l’evoluzione stessa è strettamente legata ad essi. Noi non eravamo e non saremo ciò che siamo adesso. Gli altri animali non erano e non saranno ciò che sono per sempre. Che cosa ci distingue dagli altri animali così tanto da darci una pretesa superiorità assoluta e da creare un fossato incolmabile fra noi e loro per l’eternità? (ma esiste l’eternità?). Quali sono le conseguenze concrete nel commercio, nella ricerca scientifica, nello “stile di vita” degli umani? Il nostro comportamento è la risposta del self contro il non-self, oggi come milioni di anni fa. Eppure, dall’australopiteco ad oggi, tutto si è evoluto, tranne i nostri comportamenti atavici, specialmente quelli verso gli altri animali. Noi obbediamo ancora alla legge del più forte come nelle epoche ancestrali. Non crede che una conversazione su questi argomenti potrebbe essere interessante?

         Lei scrive su molti giornali: Non crede che aprire un dibattito su etica, ricerca, stili di vita delle civiltà del passato e del presente sarebbe interessante? La storia viene insegnata e conseguentemente vista da tutti come una serie di battaglie: autentici mostri che hanno commesso le azioni più immorali, diventano così dei semplici personaggi storici. Ma la storia, non è storia di guerre; è soprattutto storia dell’evoluzione, del divenire del pensiero, di ciò che l’umanità ha creduto e scoperto, insieme a tutte le aberrazioni nell’applicazione concreta, come appunto le guerre.

         Se di questi argomenti Lei facesse parlare un segretario di partito o il presidente di qualche grande organizzazione internazionale, Lei otterrebbe forse qualche lampo di intelligenza in mezzo ad un mare di luoghi comuni, anche se molto ben esposti. Anche il nostro rapporto con il non-self, con gli altri animali potrebbe essere illustrato dal Presidente del WWF o di Lega Ambiente, che lo conoscono benissimo, tuttavia per sentito dire da altri. Quelli che conoscono l’argomento direttamente e che sarebbero capaci di dire cose nuove, sono invece il Prof. P. Bercof (Virologia, Università “La Sapienza”), il Prof. G. Celli (Univ. Bologna), un professore di Virologia dell’Università di Napoli, una professoressa dell’Università di Genova, un professore dell’Università di Firenze e pochi altri. Nella rubrica “Le storie”, si può partire da un avvenimento specifico, come  sono state le storie di tanti deportati, per parlare del problema generale, cioè la storia e l’etica di quel periodo. Per esempio potremmo partire dalla storia di G. Tremante, che ha perduto tre figli per reazioni avverse al vaccino antipolio. Sembra impossibile, ma il fatto è reale. Si può partire da fatti più generali: per es. la pubblicazione del libro “Imperatrice nuda” di H. Ruesch (quello del paese delle ombre lunghe), oppure da fatti emblematici per la storia della scienza, come il tentato furto da parte di R. Gallo, della scoperta di L. Montainier (a proposito del virus HIV), oppure da fatti d’attualità, per es. la nuova legge sull’impiego degli animali, che sta per essere presentata, oppure ancora, partire dalla ricerca sulle staminali (l’argomento praticamente è quello dei prossimi referendum), oppure, finalmente, la presa di coscienza del problema del rapporto fra noi e gli altri animali, cioè il non-self, da parte dei filosofi (Silvana Castiglione, Lombardi Vallauri, Tom Regan, Peter Sing ecc.).

 

Se lei è interessato, credo che un breve colloquio, anche telefonico, potrebbe chiarire ulteriormente quanto le ho scritto.

 

         Con la più viva cordialità

Bruno Fedi

Prof. B. Fedi

Via dei Colli n. 20 – Terni

Tel. 0744/301217

Cell. 347/7426211

e-mail: brunofedi@libero.it

 

CONVEGNO ASSISI

 

 

         In tutta la storia dell’umanità esiste un profondo contrasto tra ciò che gli uomini hanno detto, hanno dichiarato di voler fare e ciò che hanno fatto veramente. Esiste cioè un contrasto tra l’astrazione e la concretezza; figuratamente, potremmo dire, fra il corpo e lo spirito. Il numero di coloro che non hanno presentato questa disarmonia, che sono stati coerenti con ciò che avevano detto, è sorprendentemente piccolo. Sembra quasi che l’incoerenza, la menzogna consapevole, o inconsapevole, le alte dichiarazioni di principio e le azioni miserevoli siano state la norma, così da non meravigliare coloro che vedevano la differenza fra ciò che si dice e ciò che si fa. Gli uomini si meravigliano piuttosto dei rari casi di concordanza fra le parole e i fatti, così da far gridare, assai spesso, alla santità quando questo accordo appare evidente. La saggezza popolare, gli aforismi dei grandi uomini, rispecchiano fedelmente tutto questo: “la ragione del cuore ci comandano più imperiosamente di due padroni, si che obbedendo all’uno siamo infelici, obbedendo all’altro siamo sciocchi” (Pascal); “la parola è stata data all’uomo per nascondere il suo pensiero” (P. Vincent); “molti vedono quello che tu pari e pochi capiscono quello che tu se’”(Machiavelli). Qualcuno pensa che, forse, uno stato patologico, la “malattia” in senso lato, possa essere un fattore di disarmonia. Non è così. La malattia è fattore di disarmonia se, per malattia, si intende quel cambiamento della base neurologica che milioni di anni fa ci fece acquisire una aggressività illimitata e non autoregolata verso il non-self. Questo cambiamento dalla situazione primordiale trasformò i cacciati in cacciatori. Questo cambiamento avvenne per una mutazione genetica, o a una serie di mutazioni: sarebbe dunque logico pensare che la disarmonia fra la concretezza e l’astrazione, fra ciò che diciamo e ciò che facciamo, sia attribuibile alla nuova base neurologica, che è ormai da considerare normale per gli esseri umani. La causa della disarmonia, non può essere uno stato patologico banale. Si può pensare che Hitler sia stato quel mostro che realmente fu (comoda soluzione per milioni di complici!), perché schizofrenico e similmente potremmo pensare per Stalin, Mao, Pol-Pot, Idi Amin, Bokassa ecc. ecc., ma sembra un po’ forzato pensare che tutti i grandi faraoni, gli imperatori persiani, i re assiri, fino ad Alessandro, Cesare, Traiano, Federico I, Carlo V, Elisabetta, Caterina, Maria Teresa, fino a Mussolini, Franco, Pinochet, Videla, Ciausescu ecc. ecc. per citare solo i più classici mostri, siano stati tutti dei malati? Se ciò fosse vero, il fatto indicherebbe una bizzarra tendenza degli umani a scegliersi, come padroni assoluti, uomini ammalati e questo sarebbe già una forma di psicopatologia collettiva. E’ ovvio che tutti costoro, non erano dei malati, bensì normalissimi mostri ed è stata la loro normalità ciò che ha creato la disarmonia, fino a compiere le azioni più immorali. Statisticamente dovremmo dichiarare “anormali” i grandi maestri dell’etica, che sono stati coerenti con ciò che dicevano. Certamente sono stati anormali, se non altro per essere molto al di sopra della normalità etica dei loro tempi.

Che cos’è dunque che crea la disarmonia tra ciò che diciamo e ciò che facciamo? Cioè fra l’etica che è stata elaborata in 5 milioni di anni (o almeno negli ultimi 2.500) e le nostre azioni? Il primo fattore è la genetica. Ciascun vivente reagisce agli stimoli con l’aggressività, o la fuga. Anche un animale estremamente semplice, un unicellulare, un’ameba, reagisce in questo modo, ma questa è la norma comune per tutti gli animali, da quelli relativamente più complessi (per es. il serpente reagisce aggredendo o fuggendo) fino all’uomo. La risposta aggressiva è dunque biologica: l’animale aggredisce, o fugge, per difendersi o per predare. Alcuni animali sono più aggressivi, ma anche questi ultimi non vanno in cerca di qualcuno da aggredire; aggrediscono secondo le circostanze. Solo l’uomo ricerca questa situazione. La frase dunque: “erit tibi, fili mi, tanquam leo querens quem devoret” (Sthendal) è falsa. Gli altri animali hanno una genetica che organizza una base neurologica aggressiva, nei predatori e difensiva negli altri, ma tutti con limitazioni proprie della specie. Anche i preominidi più antichi, presumibilmente il ramapiteco, l’avevano. Intervenne però un cambiamento, una mutazione genetica, che organizzò una diversa base neurologica. L’aggressività venne esaltata, divenne illimitata (in un certo senso patologica), insieme a molte altre caratteristiche: linguaggio, socialità ecc.. L’animale uomo, da quel tempo, si è evoluto: basti pensare alla capacità cerebrale, con tutto ciò che ne è conseguito nel bene e nel male. Tuttavia non dobbiamo credere che tutto sia genetica o che la parte genetica, sia assolutamente preminente nell’uomo. La genetica spinge gli uomini verso una caratteristica evoluzione sociale; quest’ultima provoca la nascita di una cultura diffusa che in buona parte va a convalidare le pulsioni genetiche, attraverso il ben noto processo della “razionalizzazione degli atti”. Fondamentalmente, le leggi genetiche primarie a cui l’uomo obbedisce sono due: la prima è aggressività pura e semplice, che viene razionalizzata, o piuttosto pseudorazionalizzata dalla cultura sviluppatasi nel corso dell’evoluzione sociale con il ben noto ed universalmente accettato “principio del più forte”. La seconda legge è una limitazione e specificazione della prima: è l’aggressività contro i “diversi”. Immunologicamente parlando dovrei dire, verso il “non-self”. Tuttavia, anche la seconda legge contribuisce a convalidare la prima e cioè il principio ancestrale già illustrato per gli animali più semplici della duplice risposta agli stimoli come aggressione o fuga. Il comportamento umano del preominide, ma poi anche dei cittadini di imperi organizzati dell’antichità classica, o del Medioevo, o dell’età moderna, è sempre lo stesso: ci si regola secondo la legge del più forte, anche se si finge di agire per nobili principi (portare la civiltà ai popoli barbari!), oppure per principi di difesa (difesa del reich millenario dall’accerchiamento!). Il principio di violenza, che è un archetipo di comportamento, che è un fossile comportamentale, non è stato abbandonato mai. Al massimo, possiamo dire che ha subito delle limitazioni. I più lontani preominidi aggredivano tutto e tutti, anche le donne, per spinte sessuali che mascheravano la tendenza del gene a replicare se stesso. La spinta evolutiva creò, nel tempo, gruppi più stabili, poi clan, tribù sempre più grandi. I preominidi non aggrediscono più membri della loro famiglia, del clan o della tribù, ma soltanto gli estranei. Si creano poi le gentes, le nazioni. Il romano classico non aggredisce persone appartenenti al suo popolo, ma considera lecita ogni violenza nei confronti dei “barbari”. Addirittura, nei loro confronti, non esiste la pietà. L’evoluzione della società porta ad una limitazione della violenza contro coloro inizialmente considerati diversi per costume, religione, colore della pelle, sesso. L’aggressività continua fino ad oggi e si teorizza che sia perfettamente giusta, essendo prescritta dai costumi, dalle religioni, dalle leggi, contro chi è “geneticamente diverso”: cioè gli altri animali. La genetica e successivamente il costume, hanno proibito l’aggressività verso le donne (potrebbero essere le madri dei nostri figli); l’aggressività contro i bambini (potrebbero essere addirittura nostri figli). Questo rispetto dei cuccioli esiste anche in molte altre specie animali, il che testimonia l’influenza della genetica. Tuttavia questi comportamenti creano la figura del “diverso”. Diverso per nazione, colore della pelle, costume, religione, lingua, sesso. E’ stato dunque superato il sessismo, il razzismo, l’integralismo religioso, ma non l’antropocentrismo, neppure dalle religioni. Si è però creata, in questo modo, una dicotomia fra la morale di Dio e quella di alcuni uomini. Dunque, il fattore che influenza i comportamenti umani, non è la malattia, ma la normalità genetica, evolutiva e culturale. Molto spesso la cultura che l’uomo ha creato giustifica comportamenti crudeli. Tuttavia l’uomo non ha creato, solo la cultura della violenza, più o meno limitata, ma anche quella della non violenza, quella del Budda, del gran re Asoka, quella di Cristo, di Francesco, di Ghandi e di Capitini. Quest’ultima è la dottrina di coloro che capiscono che non si può continuare a procedere rispettando un fossile comportamentale, il principio ancestrale della violenza. E’ contro la ragione ed, in ultima analisi, anche contro la genetica continuare a procedere con massacri sempre più grandi. L’espressione di Dante: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” è già la consapevolezza che la cultura deve superare le leggi biologiche e la pseudorazionalizzazione degli atti che ha tentato di giustificare tali leggi. Dunque non è la malattia, la causa della disarmonia, bensì sono la genetica, l’evoluzione e la cultura. Ricordiamoci che non possiamo influenzare tutto ciò che ormai è avvenuto: l’entropia, la freccia del tempo va sempre in una sola direzione. Tuttavia possiamo influenzare la cultura.

 

Bruno Fedi. M.D. Ph. D. consultant pathologist in the hospital of Terni. Italy. Gold medal (Fiuggi reward) for researchs in the urological area. Author of “Destructive Evolution”; “To kill for Having” etc. Since 1968 teacher in courses of Urology in the University of Rome. Vegan since 1975.

Professor Fedi examines the problems of animals and nature from a biological point of view. The evolution of mankind is a reality not to be forgotten. “Ramapitecus”, more than five millions years ago, means a victim, rather than a murderer. But a long succession of mutations transformed mankind and the man became the destructive creature whom we know. He elaborated, in some millions years, a behaviour arisen by his genes, but also by his culture. This culture partially strenghts genetic pulses; partially is against them. But something did not change since the prehistoric ages; the first principle written in our DNA is the conservation of genes, that means conservation of mankind. Mankind differs from all the other animals, because his instinct of aggression is without any limitation, against nature and not-self. A sort of tumoral behaviour. This fact is very dangerous; it is not important if in my jungle the lion sleeps to night... or becomes destructive, this fact is not dangerous for mankind and nature. But the scientific knowledge of mankind is really dangerous for everyone and everything. Any way, the man created with the culture of violence, also a culture of non-violence. Buddha, Ashoka the great, Gesù, Saint Francis, Ghandi and many others cannot be forgotten. So, while destructivity increases, at the same time, many men became conscious of this and destructivity decreases, not in our genetic area, but from a cultural point of view. We can not yet change our genetic pulses, but we can know reality and must change our culture and educate the others.

It is better to know where to go, but not to know how, than to know how, but not to know wherProf. Bruno Fedi

Terni, lì 01.10.2005

 

Abbiamo esaminato l’evoluzione dell’Io dal punto di vista della genetica e conseguentemente dal punto di vista antropologico. L’evoluzione dell’Io è stata diversa in Oriente ed in Occidente. Non per quanto riguarda i corpi fisici, ma per quanto riguarda la mentalità, i comportamenti, che sono diversi in Oriente ed in Occidente. E’ ovvio che ciò dipende dall’evoluzione culturale, però anche dalla base neurologica. Alla base della evoluzione culturale occidentale ci sono stati:

1.     l’atto di “contare”. Siamo cioè una civiltà che misura, una civiltà che conta;

2.     il principio di “non contraddizione” (nessuna parte di un ragionamento può essere in contrasto con altre, o con il concetto di base; nessuna parte, o l’intero ragionamento, possono essere in contrasto con quanto si conosce già);

3.     il principio di “verificabilità sperimentale”;

4.     il principio di “confutabilità”.

Abbiamo dunque in Occidente una civiltà che almeno cronologicamente è figlia di quella orientale (basti pensare ai numeri, che abbiamo derivato dalla civiltà indiana e l’astronomia), ma diversa da quella da cui è originata.

Tuttavia qualcosa è uguale in Oriente ed in Occidente.

Il primo principio scritto nel DNA di orientali ed occidentali è il principio di sopravvivenza, che implica indirettamente quello che comunemente si chiama: “il principio del più forte”.

Da questo principio discendono direttamente tutte le strutture sociali autoritarie e violente. Infatti anche gli indiani hanno creato regni ed imperi basati sulle guerre di conquista, cioè sulla violenza. Anche i cinesi si sono ritenuti così superiori a tutti gli altri da chiudersi per molti secoli in un isolamento che li ha portati all’inferiorità tecnologica, da cui stanno uscendo. Anche i giapponesi hanno stabilito in epoche ormai lontane, che l’uomo giapponese è il padrone del creato. Notare: l’”uomo giapponese”, non la donna giapponese! In Occidente i romani hanno chiamato barbari tutti coloro che non appartenevano alla Repubblica Romana; i tedeschi hanno continuato a credere fino al 1945 di essere un razza superiore. Contro la stupidità umana anche gli dei sono impotenti! Questa stupidità è costata, solo nell’ultima guerra, cinquanta milioni di morti.

Questo principio di violenza genetica e di stupidità culturale, può essere moderato dalla cultura, ma non annullato. Da Budda al gran re Ashoka gli orientali hanno preceduto gli occidentali nel comprendere che la violenza genetica o culturale che sia non può essere il principio regolatore del comportamento dei singoli e della società. Formalmente anche gli occidentali hanno accettato questo principio di non violenza, accettando l’insegnamento di Jesus, ma in pratica il principio applicato è sempre rimasto quello del più forte. La differenza fra Oriente ed Occidente è stata solo culturale. La società occidentale, basta sul contare, è stata più efficiente scientificamente e quindi anche economicamente e quindi anche militarmente, per alcuni secoli. In Occidente lo sviluppo della base neurologica e dell’Io ha portato ad una società “predatrice”, organizzata sulla sopraffazione, che si è esercitata sulle donne (primo oggetto di scambio fra gli uomini; cioè donne considerate oggetti); sugli uomini (trasformati in schiavi e successivamente, anche attualmente, in “forza lavoro”, oppure in: “fruitori del sistema”); sui diversi (diversi per colore della pelle, per religione, per costumi e abitudini varie). Qualunque diversità è stata usata come pretesto per trattare come oggetti o almeno come inferiori i portatori della diversità stessa. Questi comportamenti sono stati razionalizzati dichiarando che i diversi non erano uomini. Ovviamente, questa spiegazione è una pseudorazionalizzazione: è un concetto ridicolo e grottesco. La scienza ha oggi cancellato queste false spiegazioni, ma il principio di violenza è sopravvissuto:

1.     nella ricerca (che viene compiuta sugli altri animali o su popoli più poveri degli europei. Animali e popoli che vengono trattati come oggetti);

2.     nell’alimentazione (anche qui gli animali sono trattati come oggetti, come carne, non come esseri viventi; i popoli più poveri sono sfruttati fino alla morte per fame);

3.     nella struttura sociale (che distingue i ricchi, individui o popoli che siano, ed i poveri).

Mi limiterò a parlare della ricerca biologica e dell’alimentazione.

In Occidente la ricerca biologica ha avuto uno sviluppo spettacolare; si è industrializzata e massificata. Ha pensato di aver trovato laboratori biologici già pronti, senza bisogno di costruirli, negli animali, considerati oggetti di sperimentazione. Sono stati effettuati esperimenti e ricerche assurde: per esempio è stata sperimentata la resistenza della colonna vertebrale umana piegando cani vivi, fino alla rottura della loro colonna vertebrale. Osservazioni già compiute sugli uomini sono state ripetute su altre specie animali, senza rendersi conto dell’assurdità del comportamento. Si è cioè sperimentato sugli animali e trasferito sull’uomo il risultato in modo acritico e diretto. Questo tipo di scienza è stata crudele; questo tipo di scienza si è proclamata indipendente dall’etica, il che vuol dire amorale. Questo tipo di scienza è dipesa, invece, con tutta evidenza dall’economia (cioè dalle multinazionali). I crudeli mezzi impiegati sono stati giustificati dai fini, senza tener conto che questi fini erano di per sé inaccettabili, perché erano l’iperproduzione ed il consumismo. Qualunque cosa diventa dannosa se viene prodotta illimitatamente: c’è un aspetto qualitativo ed un aspetto quantitativo anche nel produrre dei beni.

Per esempio la ricerca biologica è certamente una buona cosa; la ricerca porta concretamente alla produzione di farmaci. Anche questi ultimi possono essere una buona cosa, ma il loro uso indiscriminato può avere effetti nefasti: per esempio portare all’antibiotico resistenza. La ricerca finanziata da multinazionali può portare alla rivendicazione di brevetti e conseguentemente a negare l’uso di questi stessi farmaci ad interi popoli che ne hanno un bisogno assoluto. Il risultato di questi fatti è che molti sono morti e molti moriranno, anche se la ricerca scientifica non è certo un male.

Dunque la ricerca effettuata con crudeltà è priva di moralità; cresce senza limitazioni, così come in biologia fanno i tumori; dipende da ragioni economiche e da forze economiche; trasferisce all’uomo risultati inesatti ed incerti ottenuti sugli altri animali (gli altri animali, essendo geneticamente diversi dall’uomo, non possono dare risultati uguali a quelli ottenibili sull’uomo). Quest’ultimo concetto (il trasferimento dei risultati all’uomo) è la ragione dei disastrosi effetti collaterali registrati negli ultimi anni (il Viox, da solo, ha provocato 28 mila morti!).

Gli orientali però hanno avuto una mentalità diversa ed hanno seguito altre vie diverse da quelle degli occidentali. Non sono arrivati precocemente alla massificazione delle metodiche di ricerca su animali. Tuttavia molti di loro hanno studiato in G.B. ed USA ed hanno così riportato in patria il modello di vita occidentale. Permettete che vi dica che io spero con tutto il cuore che almeno gli indiani non abbiano copiato le aberrazioni dell’occidente.

L’altro aspetto della società di cui voglio parlarvi è l’alimentazione.

L’uomo, occidentale o orientale, ha distrutto per millenni le foreste per ottenere terre coltivabili. Queste terre hanno prodotto molto cibo e la popolazione umana è aumentata notevolmente. Tale aumento ha creato la necessità di ancora più cibo; dunque la necessità di più terre coltivabili ed ancora meno foreste. Tuttavia, fino al XIX secolo, l’uomo ha usato soltanto l’energia solare e soltanto concimi naturali per coltivare le terre ottenute dalla distruzione delle foreste. Non ha quindi alterato gravemente l’ecosistema. Oggi però, usa il petrolio (sono necessarie alcune migliaia di calorie per ottenere un Kg di carne). L’uomo ha usato anche concimi chimici e farmaci per l’agricoltura e per gli animali. In Italia, in certi luoghi, si arriva quasi a 250 Kg di fertilizzanti, spesso mutageni, per ettaro. Il 60% degli antibiotici prodotti, viene usato per gli animali d’allevamento; la quantità di acqua (3.800 litri per ogni Kg di carne) e la quantità di energia impiegate nell’agricoltura e negli allevamenti, sono immense. L’agricoltura dunque, è tossicodipendente. Inoltre gli occidentali hanno cambiato le loro abitudini alimentari: essi divorano attualmente 80 Kg/per anno/per persona, di carne, sottraendo gli alimenti vegetali necessari ai popoli più poveri per nutrire gli animali d’allevamento sottraendo spazio alle foreste e quindi O2 al pianeta.

Tutto questo in un mondo in cui un miliardo e mezzo di persone soffre la fame, senza che l’opinione pubblica occidentale sia informata che mangiando carne uccide gli altri uomini e fa ammalare i mangiatori di carne (l’alimentazione carnea è direttamente o indirettamente responsabile di un numero di morti all’incirca uguale a quello provocato dal fumo di sigarette). Uno studio dell’OMS ha dimostrato che il solo raddoppio del consumo di frutta e verdura ridurrebbe di 1/3 il numero di morti per tumori. Dunque per ottenere questa ecatombe di uomini, viene praticata prima una ecatombe di animali. Il numero degli animali macellati ogni anno è molti miliardi.

Che cos’è tutto questo, se non l’applicazione del principio primordiale di violenza alla ricerca ed all’alimentazione?

Questo principio di violenza, che pervade la civiltà occidentale, può essere fatto proprio dai popoli emergenti per imitazione, perché la genetica, orientale o occidentale che sia, non può per adesso, essere cambiata. Tuttavia le nostre cultura sono diverse: se voi indiani prenderete nuove strade scientifiche, conserverete le vostre abitudini alimentari tradizionali; percorrerete nuove strade sociali, che non siano la ricerca della produzione illimitata, la ricerca del successo economico e della sopraffazione sui più deboli, a qualunque costo, potrete essere gli autori di un nuovo rinascimento come lo fu il Rinascimento italiano nel XV secolo. Un articolo della vostra Costituzione, unico fra tutte le costituzioni, che è ispirato alla non violenza sugli altri animali, fa sperare anche noi occidentali. Voi potete essere la speranza del mondo.Bruno Fedi

L’evoluzione non è finita

         Inizialmente pensai solo all’importanza della ricerca, della scienza, dei metodi usati. Poi mi resi conto che questo era strettamente legato all’etica. Quest’ultima era la premessa e la conseguenza della ricerca, della scienza, dei metodi. Mi resi conto che il probabilismo del principio di Heisenberg si applicava anche alle cose, agli avvenimenti, ma anche del fatto che tutto l’esistente rispetta  esattamente le stesse leggi. Questo mi spinse ad essere, anche nell’etica, più possibilista, forse più tollerante, ma secondo la moda attuale, un pericoloso relativista. Finalmente compresi la non assolutezza delle cose, dei concetti, la loro continua evoluzione nello spazio-tempo. Etica e ricerca sono legate fra loro in modo non assoluto, bensì mutevole, sono legate con modalità e stati che evolvono. L’evoluzione stessa è legata all’etica e dipende dall’etica: la stessa cosa avviene con la ricerca. Sono tutti aspetti di una realtà probabilistica, in cui, a queste tre dimensioni, se ne aggiunge una quarta: il tempo, interconnesso con le precedenti.

        

         L’etica non è sorta come tale, ma come esigenza primaria per la nascita delle prime società. L’etica primordiale fu una serie di prescrizioni, o di tabù, che tendevano a creare, o a rafforzare una situazione di vita comune fra famiglie o gruppi diversi. Si trattava di prescrizioni che erano strettamente legate alla struttura sociale (familiare, per clan, per gruppi etnici, per orde composite, ecc.), alle credenze religiose e ad altre conoscenze tecniche e scientifiche. Ciò che era permesso, cioè ciò che era considerato etico, dipendeva da osservazioni che avevano dimostrato l’utilità, o al contrario, la dannosità. Le prescrizioni etiche della famiglia, o del clan, permettevano l’aggregazione di chiunque non ne facesse parte, la creazione di nuove strutture sociali sempre più numerose e complesse. Questo comportava delle regole, per esempio di tipo sessuale: le donne non potevano essere di tutti, per evitare i conflitti entro i singoli clan. Per le stesse ragioni, il comando non poteva essere di tutti: quest’ultimo doveva essere affidato ai più forti, cioè agli uomini. Si creò così una struttura gerarchica, forzatamente di tipo autoritario. Le regole riguardavano vari aspetti della vita: per esempio la proprietà, oppure l’autorità, oppure l’incesto. Quest’ultimo poteva essere permesso ed, in certi casi, molto più avanti nei tempi storici, poteva essere addirittura la regola (i faraoni d’Egitto). In taluni gruppi, si creò una struttura matriarcale, con la trasmissione, anche in epoche ormai storiche, persino dei nomi delle famiglie, in linea femminile. Con l’aumentare della complessità dei gruppi, l’osservazione pratica, cioè l’alto numero di insuccessi nella generazione dei figli, spinse gli uomini a considerare non etici i rapporti sessuali fra consanguinei. In linea generale, in epoca preistorica, l’etica fu identificata con la religione e con i suoi precetti, o tabù. Il fatto è in un certo senso, ovvio: l’etica non poteva essere stabilita in base a conoscenze scientifiche che non esistevano: era etico ciò che lo sciamano dichiarava tale. Contemporaneamente l’etica fu anche identificata con l’obbedienza ai capi. L’etica fu dunque autorità basata sulla forza (dei capi), ma non solo su questa: l’etica divenne frequentemente il principio che razionalizzava la forza, fornì la giustificazione della forza, per mezzo dell’autorità degli sciamani, o dei sacerdoti. La forza servì dunque ad imporre l’etica che divenne sempre più autoritaria. Si creò così un circolo vizioso fra l’autorità morale dei sacerdoti e la forza concreta dei capi da un lato, mentre dall’altro l’etica rafforzava l’autorità e la forza che sacerdoti e capi imponevano. L’imposizione a rispettare certe prescrizioni principali, prima verbalmente, poi per scritto, durò un periodo lunghissimo: praticamente tutta la preistoria. La lunghissima durata di questo periodo, portò alla perdita delle motivazioni iniziali delle prescrizioni e quindi portò a dimenticare le ragioni stesse delle prescrizioni, mentre non si dimenticò il metodo autoritario che era stato impiegato. La società che troviamo all’inizio dei tempi storici è già dunque un organismo complesso, frutto di milioni di anni di evoluzione antropologica, poi di centomila anni di preistoria, che si evolverà ulteriormente in settemila anni di storia conosciuta. Recenti scoperte, hanno spostato la comparsa della razionalità nel pensiero e nel comportamento, assai indietro nel tempo prima della comparsa presunta dell’homo sapiens (Le scienze agosto 2005). Negli ultimi settemila anni si sono formati alcuni modelli sociali, mentre prima esisteva una situazione più uniforme. La società primitiva, dovunque sia stata osservata e studiata, è ancora oggi uniformemente caratterizzata da un forte spirito comunitario e da scarso senso di proprietà. I membri di queste società tribali, spesso vivono in capanne comuni, senza che sia nato ancora il diritto di proprietà, come noi lo intendiamo oggi. Tutto è di tutti, con limitate eccezioni per gli oggetti personali. Per esempio: la pelle con cui ciascuno si copre è personale, un ornamento è personale, ma non è strettamente personale uno strumento, per es. un’ascia, se in quel momento non è usata. Questa società, tuttavia, è autoritaria: gli ordini del capo non si discutono, specie se rafforzati dallo sciamano, che è la via di trasmissione dei tabù e degli ordini degli dei. Dunque, lo stesso sciamano ha una grande autorità, spesso maggiore di quella del capo. Da questo tipo di società sembrano direttamente discese anche alcune civiltà dei tempi storici. Per esempio, quella spartana, in cui le famiglie mangiavano insieme, non c’era libertà personale, bensì decisioni che venivano prese da un gruppo dirigente, fortemente autoritario. Questo tipo di società era stato efficiente nella preistoria, per superare la scarsa capacità di difesa e di offesa del singolo individuo, per offrire migliore protezione e permettere la sopravvivenza dei singoli e dei gruppi. Dunque questa società autoritaria era stata tale per necessità. Questo descritto è però un modello sociale che offre pochi stimoli ai suoi membri. Nessuno è stimolato a costruire una capanna migliore di quella comune, in cui vive insieme con tutti gli altri. Questo tipo di società, in cui tutti sono uguali, non produce competizione fra i singoli e non li stimola. Forse non produce l’invidia, ma neppure stimola a migliorare e non incoraggia l’intraprendenza personale. Arrivati ai tempi storici, il modello descritto diventa assai meno efficace, che nella preistoria. Gli spartani, citati come esempio, erano così condizionati, così limitati dalla loro struttura sociale, che non produssero nessun filosofo, nessun poeta, nessuno scienziato, ma si limitarono a saper combattere, proprio come una tribù di un milione di anni prima. Anche nel mondo medievale e poi moderno, si sono riprodotti modelli che ricordano quello descritto. Sono modelli sociali che limitano la libertà e l’intraprendenza dei singoli individui in ogni campo; modelli in cui si sono burocratizzate le attività e limitati gli stessi pensieri dei cittadini; quindi si sono limitate le capacità e l’inventiva di ogni singolo individuo. Si è così concretizzata una situazione paradossale: da un’idea astratta, fondamentalmente buona: “tutto è di tutti” si ottiene il pessimo risultato di limitare l’intraprendenza. L’etica di questa società è soprattutto obbedienza a quanto deciso dal capo, qualunque cosa sia. Per esempio, in questo modello di società, può essere immorale la proprietà. Ciò che nella tribù primordiale andava quasi bene si è, però, adattato al mutare delle situazioni in modo progressivo, si è evoluto, anche perché, in società poco numerose, non era necessaria una burocrazia. Ma ciò che era il meglio nella preistoria, in società poco numerose, non poteva funzionare per società costituite da milioni di uomini, come nell’antichità classica o ancora più tardi, perché in società così vaste c’erano stati dei processi di specializzazione necessari per la gestione di gruppi complessi e numerosi. Era nata dunque una classe dirigente, spesso autoritaria, violenta, oppressiva, per la quale non era valida la regola “tutto è di tutti” bensì un’altra regola non detta: “tutto è (o almeno è gestito) dalla classe dirigente”. Ciascun singolo cittadino, in questa situazione, è ancor meno stimolato ad impegnarsi: il risultato è che tutto funziona (obbligatoriamente), ma tutto funziona male. L’autorità della classe dirigente, in questo stato di cose, investe anche la scienza, la ricerca. Le idee dei dirigenti, o del dirigente, decidono il destino dei singoli. Si arriva a situazioni paradossali: chi non sa decide al posto di chi sa. L’appartenenza ad un gruppo, vale più della capacità, della conoscenza, del sapere, del saper fare. Si arriva al punto di accettare principi assurdi, sia in campo scientifico (teoria della superiorità della razza; teorie pseudogenetiche di Lisenko), sia in campo filosofico o giuridico. Si accettano principi indimostrati, o contrastanti con quelli biologici noti. Il risultato è sempre disastroso, perché le leggi biologiche, non rispettano le leggi umane: sono le leggi umane quelle che debbono adattarsi a quelle biologiche e non il contrario. Il modello sociale, dunque, è sin dall’inizio, dalla più lontana preistoria, caratterizzato da aspetti negativi. Questo modello, basato sull’autorità, entra in crisi quando arriva a rinnegare i suoi principi ispiratori, inizialmente estesi a tutti, nella società primitiva e crea un’élite autoritaria che tende ad esercitare, conservare ed esaltare i propri privilegi. Il che avviene alquanto frequentemente. L’evoluzione del modello preistorico e successivamente storico, può  avvenire però, anche in modo diverso da quello descritto. L’evoluzione può avvenire, nel senso che oggi potremmo chiamare liberistico e che potremmo, forse, paragonare al modello ateniese, anziché a quello spartano. Ciò che domina è l’individuo, il quale si sviluppa, si evolve nel bene e nel male ed edifica una società dove la libertà di pensiero crea capolavori in ogni capo. Anche in questo modello esistono difetti, che diventano evidenti col tempo. L’individualismo, la scarsa solidarietà, imprimono una forte spinta disgregativa. Anche questa società ha aspetti negativi, dunque, alla sua origine, non impone idee scientifiche infondate, o contrastanti con leggi naturali, fisiche o biologiche, ma la creazione di una classe dirigente avviene lo stesso. Questa classe tende ad acquisire e a conservare dei privilegi. Non viene dunque scoraggiata l’intraprendenza, non vengono imposte idee assurde, ma la situazione sociale, rende inutili perfino alcune scoperte scientifiche di quel periodo. Per esempio, Erone scopre il principio che sarà alla base dei motori a reazione, ma che solo 2000 anni più tardi troverà applicazione. Alla scoperta del principio, non segue alcuna ulteriore esperienza e tantomeno alcuna applicazione pratica. Non si costruiscono neppure dei banali mulini a vento, perché la società schiavista di quell’epoca rendeva queste strutture economicamente non convenienti.

         I primi filosofi, padri della nostra civiltà, erano all’oscuro di quanto oggi sa qualunque persona, anche poco colta. Non conoscevano la chimica, la fisica, la biologia, l’evoluzione ecc.. Dunque cominciarono a ragionare sul poco che sapevano e l’evoluzione del loro modo di pensare (la logica, il principio di non contraddizione, la riflessione sulla natura e sulle sue leggi) ha portato alle conoscenze attuali. La loro grandezza è aver stabilito un modo di ragionare. Non per questo tutto ciò che dissero era ed è rimasto giusto. Per esempio: Eraclito intuisce che la materia è costituita da particelle elementari piccolissime e che queste, arrivando a noi ce la rendono percettibile. E’ vero, ma solo in parte. La conclusione logica di Eraclito era che la realtà non è ciò che appare: dunque non è vera. L’intuizione, invece, che tutto scorre, anche se il significato non è quello che noi intendiamo oggi, è vera. Platone, all’opposto, non pensa a particelle, non pensa ad un fluire continuo, ma nota come la realtà apparente e la realtà concreta, possano essere diverse. Dunque nulla è come appare. Molti guardano la stessa cosa, ma vedono cose diverse. La stessa cosa appare addirittura diversa, nei diversi momenti. L’osservazione influenza il fatto, o l’oggetto osservato. Dunque, spazio, tempo, osservatore, influenzano il risultato dell’osservazione. Oggi potremo chiederci se l’elettrone, che si trova contemporaneamente in due punti diversi, esiste come elettrone, o come più elettroni contemporaneamente. La materia esiste, o esiste come probabilità di esistenza, in un dato luogo e tempo? Dov’è finita l’antimateria? La materia esiste, regolata da leggi che ormai conosciamo a livello macroscopico e da leggi quantistiche, che sono diverse dalle precedenti, a livello submicroscopico. Certo è vero, come Eraclito pensava, che “tutto fluisce”. Certo è vero, come pensavano Parmenide e Platone, che nulla è come appare, o che, non sempre la realtà è ciò che sembra, come dichiara Aristotele. Oggi noi sappiamo che la realtà è probabilità di esistenza. In questo quadro si inserisce il concetto di Darwin. La realtà è un divenire. Tuttavia questa nuova idea, questa mutazione del modo di pensare tradizionale è ben lontano dall’essere applicato nella nostra società e così pure i concetti relativistici di Einstein. Ancora oggi persone che occupano posti di grande rilievo, affermano l’esistenza di verità assolute, valide in ogni tempo e in ogni luogo e tentano di applicare la loro verità alla scienza ed alla vita sociale. Il divenire di Eraclito, l’evoluzione di Darwin, la relatività  di Einstein, il principio di indeterminazione di Heisenberg, sono concetti che la loro mente non sopporta. Forse è il momento che questi concetti intollerabili, vengano acquisiti ed applicati alla filosofia, alla religione, all’etica, alla scienza, alla società. Siamo sull’orlo di un grande cambiamento.

Agli albori della storia l’etica dell’uomo di Ninive, o di Gerico, è certamente rozza, autoritaria, illogica, anche se in epoche remote, ma già storiche, si trovano grandi esempi di singoli uomini che hanno intuito e praticato un’etica superiore, più idealistica, non legata solo a prescrizioni pratiche aventi lo scopo di consentire il funzionamento di strutture sociali complesse. Alcuni di essi edificarono costruzioni filosofiche o religiose avanzate rispetto ai loro tempi e, forse, anche ai nostri. Non possiamo dimenticare il re di Maleth, il re Ashoka, Siddarta. Tuttavia, siamo costretti ad ammettere che la comparsa diffusa di un metodo nuovo di ragionare e, quindi, di un nuovo stile, compare con i greci. Ciò che compare con loro è la logica, il ragionamento. Il fattore che determina le scelte non è più l’imposizione autoritaria, la rivelazione da parte di Dio, oppure la tradizione, bensì il pensiero logico. I greci ragionano su tutto quindi anche su cosa sia morale o immorale. Ciò che di loro è arrivato fino a noi ne è l’esempio evidente, ma è chiaro che non solo i filosofi, bensì molti cittadini ragionano allo stesso modo. Gli esempi sono tanti: da Antistene a Democrito, da Agesilao ad Anassagora ecc.. Il metodo di ragionare, il tentativo di arrivare a risultati logici non cambia con i singoli individui, anche se si giunge a concetti tra loro diversissimi. Mentre dunque l’etica iniziale degli ominidi era molto vicina alle leggi naturali (legge di sopravvivenza dei singoli e legge di sopravvivenza del gruppo) fu poi una serie di imposizioni e di tabù, ciò che rese possibile la convivenza. L’etica greca e successivamente ellenistica, quindi in tutto il mondo antico a noi più vicino, scaturì invece, dal ragionamento, dalla potenza del pensiero. Che molti ragionamenti fossero fallaci, o conducessero a risultati illogici, non meraviglia, essendo basati su conoscenze scientifiche elementari, ma questo è solo un aspetto del problema. Il fatto innovativo principale era il ragionamento logico con le conoscenze scientifiche che si cominciavano a raccogliere, oppure con le necessità pratiche (obbedire agli ordini dello stato). Il ragionamento logico e l’etica che ne derivava, non si occupavano, invece, degli dei ed i rappresentanti di questi ultimi (i sacerdoti) non si occupavano della filosofia dei vari pensatori. Nessuno si prese la briga d’indagare se Platone credesse in Zeus, oppure no; né tantomeno i sacerdoti di Zeus, o di Dioniso, pensarono di mettere sotto accusa Diogene per le sue scelte etiche e di vita. La condanna della proprietà, del matrimonio, della schiavitù, il ritorno alla natura, l’uguaglianza fra gli uomini e gli altri animali di Antistene e poi di Diogene, sono idee che nessuno perseguitò, perché il metodo era stato quello di tutti: ragionare logicamente. Neppure le degenerazioni di questo metodo e di queste idee, da parte di alcuni discepoli dei filosofi citati, fu perseguitata. La loro dottrina etica investiva già allora molte ingiustizie: dalla schiavitù alla condizione degli animali, ma non si diffuse, come avvenne poi per il Cristianesimo. L’idea etica era scaturita da un ragionamento logico, ma non forniva agli uomini una speranza vera, esplicita, in questa vita e neppure una speranza in una vita futura. Fu dunque un’idea etica come tante, come quella degli scettici o degli stoici. In taluni casi, questi ragionamento caddero nel dogmatismo (per esempio gli scettici: a loro si deve il dogma che nulla si può sapere, anche se quest’ultimo è esso stesso un dogma. Non solo è un dogma, ma è anche un paradosso: se nulla si può sapere sappiamo almeno questo, cioè che nulla si può sapere). Dalla rovina, per corruzione interna, del mondo antico nasce quello medioevale e da quest’ultimo, la società moderna occidentale. Nasce una sorta di liberismo temperato, o radicale; in alcuni casi nasce un puro collettivismo, talora nascono insieme entrambe le cose. Quest’ultima soluzione sembra una formula magica, ma non lo è. Contiene in sé i difetti del liberalismo e del collettivismo, piuttosto che i pregi.

         Talora i modelli sociali degenerano nell’autoritarismo, talora nel professionismo politico, oppure nell’assistenzialismo, come attualmente in Italia, dove si aiutano finti invalidi, finti malati, ma assenteisti veri, premiando così i peggiori e rendendo il sistema molto ingiusto per tutti. In sostanza, si attua una selezione alla rovescia, premiando ciò che c’è di peggio, nel privato e nel pubblico. I finti amministratori della cosa pubblica, che non sanno, non sanno fare, però gestiscono, diventando autentici parassiti della società. Nonostante ciò ottengono le poltrone su cui siedono, generalmente a vita, attraverso la manipolazione del consenso degli elettori, cittadini ignari che li ritengono non pericolosi, perché assistono appunto finti invalidi e perché, gli amministratori spesso sono caratterizzati dagli stessi difetti comuni a quasi tutti, dunque, sono simili ai cittadini comuni. Si crea una società che arriva a dichiarare il profitto: “una variabile indipendente dell’azienda”. Cioè l’azienda non deve essere produttiva, secondo questa concezione, ma elargire semplicemente stipendi. Oppure si arriva a depenalizzare truffe certe, per esempio il falso in bilancio. Cioè si arriva ad autorizzare e a stimolare alcuni tipi di truffa, perpetrati solitamente dai ricchi nei confronti dei poveri. In poche parole si stabilisce il principio che essere ricco significa essere al di sopra della legge, è una condizione dunque auspicabile ed in senso lato è una condizione etica. Si crea così una situazione paradossale: da un lato, un gran numero di persone che riceve senza dare, come la plebe romana nel periodo imperiale. La ricchezza dell’impero, che aveva sottomesso tutti, era tale che la plebe non combatteva più, con lo spirito unitario delle primitive tribù romane, non lavorava, ma riceveva lo stesso “panem et circenses”. E così è avvenuto anche attualmente. Si ricevono stipendi senza lavoro, sussidi, pensioni non meritate e spettacoli gratuiti che servono al controllo sociale. Basti pensare allo spettacolo giornaliero della televisione o a quelli degli occasionali atti di violenza negli stadi, tipici anche della decadenza romana. Anche oggi, come in epoca romana, un gran numero dei presenti negli stadi ha ricevuto biglietti omaggio. Accanto a questa categoria di persone, pronte a votare per chiunque assicuri la continuazione delle elargizioni, si crea una seconda categoria: quella dei più ricchi, al di sopra delle leggi, autorizzati, o almeno mai puniti, per le loro truffe, nonché quella dei politici e degli amministratori a vita, che non hanno fatto neppure un giorno di attività produttiva, ma che vanno in pensione solo quando vengono abbandonati dalla vita stessa. Questo avviene non in un partito, ma in tutti, nella società in cui viviamo.

Dunque l’etica riguarda, nella preistoria regole pratiche che permettono la convivenza, la creazione delle società primitive. In epoca storica, con i greci, si comincia ad indagare la natura; è l’alba della scienza che rende filosofi i primi scienziati, da Eraclito, a Pitagora, ad Aristotile. Nel mondo ellenistico e romano, l’etica riguarda soprattutto i rapporti fra i cittadini, oltre che tra cittadini e stato. L’etica fornisce un modello di vita con gli stoici, gli epicurei, cioè con Lucrezio e Plotino. Ma irrompe una nuova etica, un nuovo modello di vita e di società: l’etica cristiana. La filosofia e l’etica laica si confrontano per secoli con quella cristiana, finché sembra che questa abbia tutto sommerso, tutto permeato. Tuttavia, con l’evolvere della società tardo romana e poi medievale, rinasce la scienza. Con il rinascimento, c’è una eccezionale fioritura di genialità, prima in Italia, poi in tutta Europa e con la nuova scienza, anche nuove concezioni etiche e sociali, si affermano. Da allora l’etica si confronta con il Cristianesimo, ma soprattutto con la scienza, con i limiti della conoscenza e con i metodi scientifici. L’etica fornisce modelli di vita, ma soprattutto valuta, indaga i limiti della ricerca scientifica, anche se nascono correnti che esplorano l’aspetto sentimentale, anche se si esplorano i rapporti fra individui e stato e fra classi sociali. I nuovi scienziati sono diversi dagli antichi, ritenuti soprattutto filosofi. I nuovi scienziati non hanno tempo di elaborare loro proprie concezioni generali, perché sono totalmente presi dalla loro alta specializzazione. Sono invece gli studiosi di filosofia, coloro che traggono conclusioni generalizzanti dalle scoperte scientifiche che si susseguono a ritmo vertiginoso e rendono l’etica precedente totalmente obsoleta. Ogni scoperta pone il problema dei possibili usi, dei limiti non superabili e dei mezzi che si possono usare. Si crea il problema della scienza in toto, si scopre che il caso e la necessità, i quali regolano le mutazioni genetiche, valgono anche per la filosofia, anche per l’etica, anche per la società. Si scopre che il principio di indeterminazione e le leggi quantistiche possono essere valide per l’etica. Questa stessa è, in termini genetici, una “mutazione” della filosofia moderna, che si adegua alle scoperte della fisica e della biologia. B. FEDI

Signor Presidente, Signore e Signori,

per risolvere i problemi bisogna conoscerli. Sapere qual è la causa. La mia deformazione professionale è guardare le cose dal punto di vista biologico e scoprire l’etiologia. Ho cominciato con l’elencare i problemi: 1) l’ecologia (il clima); 2) la fame e la sete; 3) lo sfruttamento della schiavitù; 4) la guerra; 5) le malattie; 6) la miseria e l’ingiustizia sociale; 7) le grandi migrazioni. I problemi reali sono molti altri, ma mi limiterò ai primi sette. Si tratta di problemi planetari; non problemi di civiltà, o di specie, o semplicemente di popoli.

         Il problema dei problemi, per tutto ciò che esiste, cioé per i viventi, è continuare ad esistere ed il mezzo per ottenere questo è conservare l’equilibrio fra specie viventi ed ambiente. Noi umani continuiamo ad esistere perché siamo stati una mutazione dagli ominidi e dai preominidi, in accordo con la natura. Conservare questo equilibrio è difficile: ci sono fattori incontrollabili: per es. l’asse terrestre, asteroidi, mutazioni biologiche ecc.. Come se non bastasse stiamo tentando di aggiungere fattori che dipendono direttamente da noi: per es. l’iperproduzione; i rifiuti; la distruzione della variabilità genetica; la distruzione delle foreste ecc. ecc.. Questi fattori sono tutti legati tra loro, nessuno è indipendente. Mentre gli uomini sottovalutano questi fattori e le loro interconnessioni, nella beata incoscienza che le nostre aumentate conoscenze e la tecnica troveranno una soluzione, la situazione si aggrava progressivamente. Teniamo conto che non possiamo agire sui fattori incontrollabili, mentre è possibile, almeno teoricamente, agire sugli altri. Per es. sulla bomba demografica; sull’inquinamento; sulla cultura dei cittadini e dunque sul loro stile di vita; sullo sviluppo scientifico ed infine sull’etica. Quest’ultimo fattore e ciò che condiziona le nostre scelte, la cultura, lo stile di vita, quindi condiziona tutti gli altri. E’ quest’ultimo fattore, dunque, a poter essere considerato la causa determinante di tutti gli altri e per questa ragione è la causa assolutamente misconosciuta e da tutti trascurata degli effetti dei comportamenti umani. Qualunque altro fattore si consideri sembra che possa essere ritenuto la causa di tutti gli altri o almeno di molti, ma non è così: la causa prima sono le scelte etiche degli uomini, avvenute in ere primordiali, o anche in epoche vicinissime a noi. Per es. il clima è causa di quasi tutto, ma è anche effetto, dello sfruttamento dell’ambiente ed anche degli uomini, dell’iperproduzione, dell’inquinamento. Ma lo sfruttamento e l’iperproduzione dipendono dalla nostra etica di riferimento. Inoltre lo sfruttamento degli esseri umani è causa delle grandi migrazioni della nostra epoca, che favoriscono la schiavitù e quindi ulteriore sfruttamento. Le migrazioni la schiavitù e lo sfruttamento provocano un gran numero di malattie. Ed è sempre lo sfruttamento a causare direttamente o indirettamente la fame e la sete di interi continenti, nonché guerre e quindi migrazioni e malattie. Dunque il clima è causa primaria e diretta della fame e della sete, ma queste sono cause di sfruttamento e quest’ultimo, chiudendo questo circolo vizioso, aggrava le condizioni climatiche. Dunque è ovvio che è un po’ difficile influire sull’asse terrestre, ma con semplici ragionamenti è evidente che lo sfruttamento dell’uomo sull’ambiente e dell’uomo sull’uomo è uno dei fattori primari delle catastrofi che affliggono il mondo. Anche identificato, però, lo sfruttamento non è di facile eliminazione. E’ reso quasi necessario dalla proliferazione demografica. Dunque la causa dello sfruttamento è la proliferazione demografica, ma quest’ultima è strettamente legata alla cultura e all’etica. L’etica che noi abbiamo applicato negli ultimi 15 millenni è stata quella della liceità dell’uomo di sfruttare la natura, gli altri viventi, i più deboli, in una parola il non-self. Molti anni fa scrissi che lo studio della filosofia e lo sviluppo delle bidonvilles alla periferia di Città del Capo sono inversamente proporzionali. Volevo dire che la cultura da un lato, fame, malattia, povertà, migrazioni ecc. dall’altro lato, sono inversamente proporzionali. Dunque l’elemento identificato come causa di tutti gli altri è l’etica ed il mezzo identificato per concretizzare la dipendenza è l’uso che gli uomini fanno della loro etica. Infatti dal nostro codice etico dipendono i nostri stili di vita, quindi anche lo sviluppo demografico, il consumismo, il produttivismo ecc. ecc.. Ma anche l’etica non nasce dal niente. Da cosa dipende? Dipende dalla nostra genetica e dall’influenza ambientale, cioè dall’evoluzione. Partiamo da un fatto recente: dai preominidi, dagli australopiteci con 350 cc. di capacità cranica (lucy: ritrovamento della Great rift Valley). In questi nostri progenitori si innescarono una serie di mutazioni che costituiscono una sorta di mutazione continua nella specie umana. Queste mutazioni portarono ad una capacità cranica attuale di 1.500 cc.. Nel corso di queste mutazioni, molto precocemente, cambiò anche la base neurologica dell’uomo: da difensiva, divenne aggressiva e caratterizzata dalla mancanza di autolimitazione, com’è invece in moltissime altre specie animali. La spinta socializzante caratteristica dell’uomo e la cura della prole fecero di questo preominide mutato una mutazione vincente, in accordo con la natura. Si formarono così famiglie, poi clan, tribù, genti, finalmente popoli. I preominidi e successivamente gli uomini hanno rispettato due principi biologici: a) quello del più forte (cioè il principio di violenza il quale fa sì che il pesce grosso mangi il pesce piccolo); b) quello della diversità (gli umani hanno aggredito soprattutto i diversi). Accanto a questi principi biologici ne esiste uno culturale, che è stato acquisito abbastanza recentemente, nel corso della storia: l’antropocentrismo. L’antropocentrismo ha rassicurato gli uomini, ha dato fiducia, li ha fatti sentire superiori, addirittura li ha fatti sentire protetti da Dio che era il loro Dio e non il Dio delle altre specie. Di questi principi, solo quello della diversità è andato restringendosi, mentre si è allargata la tolleranza verso i diversi. La tolleranza, prima limitata alla famiglia, al clan, alla gens, si è estesa ai bianchi, poi a tutti gli uomini, almeno teoricamente. Ma la tolleranza non si è mai estesa fino a comprendere gli altri animali e la natura. Persino l’ecologia è antropocentrica! La distruttività invece non si è mai ridotta; è stata però razionalizzata. Anche la razionalizzazione è stato un progresso: la distruttività ha dovuto essere giustificata. In genere si giustifica la distruttività verso gli altri dichiarandoli “diversi”, cioé dichiarando che sono bestie.

         L’antropocentrismo però, al momento attuale viene contestato. La scienza faticosamente acquisita ha dimostrato che l’antropocentrismo è falso. Alla mentalità antropocentrica, nel corso della storia,  molte religioni hanno dato contributi fondamentali, razionalizzando i principi di violenza sui diversi. In concreto molte religioni hanno appoggiato governi costituiti e la loro violenza, hanno giustificato il nazionalismo, il patriottismo, la difesa pura e semplice dei propri costumi ecc. il detto notissimo: Dio, patria, famiglia, non è casuale. In buona sostanza è stata difesa la distruttività, il piacere di avere potere, il piacere di possedere, quindi è stato difeso un certo stile di vita. E’ stata difesa la società dell’avere (Fromm). Ciò che Fromm non dice, nella sua splendida analisi è però, che la società dell’avere è la conseguenza della distruttività sull’ambiente, sugli altri uomini, sul non-self.

         In epoche più recenti di quelle degli australopiteci, ai concetti di dominio sugli altri, di proprietà, di potere temporale che è stato dato da Dio ai re, si sono sostituiti, ma in qualche caso si sono aggiunti, i concetti del potere economico. Questo potere si concretizza attraverso il produttivismo, il conseguente consumismo, l’espansione che viene considerata illimitata ed infine attraverso la priorità assoluta delle leggi di mercato, contro le quali molte voci si sono levate. Negli ultimi anni anche Papa Woityla ha parlato contro tale concezione della vita.

         Abbiamo visto che l’etica non è nata dal nulla: la radice di tutto è la distruttività ed i mezzi impiegati sono l’etica ed uno pseudo utilitarismo immediato e momentaneo. La distruttività  spiega facilmente le guerre, ma spiega anche il desiderio di dominare gli altri, il desiderio di possedere e conseguentemente lo sfruttamento dell’ambiente e lo schiavismo degli uomini. Questi ultimi sono la causa della fame, della sete, delle migrazioni, delle malattie, di ulteriore sfruttamento, di povertà e ingiustizia sociale, di inquinamento ed infine dei cambiamenti climatici che chiudono un complesso circolo vizioso. Dunque tutto dipende dalla distruttività che agisce attraverso l’etica, dalla quale dipende lo sfruttamento: in buona sostanza dipende dall’applicazione del principio del più forte che tutti applicano in natura perché biologico e dal principio di è autolimitato. Nell’uomo questo principio manca di limiti ed è razionalizzato, rafforzato dall’antropocentrismo. Nell’uomo la capacità di produrre armi trasforma la sua distruttività, che sarebbe modesta, in una distruttività globale. Per la soluzione dei problemi globali non basta che i principi sopraddetti non vengano più applicati, almeno teoricamente, agli uomini con diversi colore della pelle, o con diversa religione: per autodistruggerci è sufficiente la distruzione della variabilità genetica. Ma se a questo fatto si aggiunge la capacità di produrre elementi nuovi, non esistenti in natura, attraverso le scoperte della fisica atomica, la capacità di produrre sostanze nuove non esistenti in natura (il polipropilene ecc. ecc.) e addirittura organismi viventi nuovi (OGM), la distruttività umana viene esaltata enormemente. Tutte queste capacità, come se non bastasse, vengono combinate ed esaltate dalle leggi di mercato che rendono inutili le conquiste militari come nei secoli scorsi. L’acquisizione dei brevetti è sufficiente per dominare tutti gli altri, mentre perché tutti coloro che sono concretamente sottomessi ai possessori dei brevetti vengono tenuti tranquilli  dai mass-media: attraverso il calcio, San Remo, programmi di quiz, veline più o meno svestite ecc..

         Ho tracciato un quadro pessimistico: la base neurologica umana non si può cambiare. Ma la cultura e l’etica si possono cambiare. Conseguentemente si possono cambiare gli stili di vita: evitare la distruttività e lo sfruttamento, evitare le catastrofi, cioé la fame, la sete, le migrazioni, lo schiavismo ecc.. Non possiamo limitarci a chiedere che buoi agnelli o cavalli siano macellati con più umanità, non si può procedere a piccoli passi, perché questa politica richiederebbe altri 10 mila anni. Non riuscirebbe. Dobbiamo chiedere un radicale cambiamento etico: dobbiamo chiedere la rinuncia a due principi biologici che sono veri e propri fossili di comportamento per l’uomo moderno e risalgono alle primi origini della vita: il principio del più forte ed il principio di diversità. Dobbiamo chiedere, parlare, scrivere tutti contro un principio culturale che la scienza ha dimostrato infondato: il principio antropocentrico. Non possiamo comportarci oggi con le conoscenze ed i mezzi dell’era spaziale come gli australopiteci della Great rift Valley.

 

CONVEGNO DI BOLOGNA

Cos’è che vogliamo cambiare? Cambiare alcune procedure, o qualche test, o addirittura non cambiare nulla, ma fingere di aver cambiato molto? Questa è inerzia metodologica, come dice il Prof. Lorenzini dell’I.S.S.. Oppure vogliamo cambiare l’etica, conseguentemente cambiare i comportamenti, le abitudini, le leggi, la ricerca, fare cioè ciò che la Prof. Flavia Zucco chiama una “rivoluzione culturale”? Qualcuno dice che dobbiamo procedere con una politica dei piccoli passi. Se dovesse avvenire che noi scegliessimo questa linea di condotta, essa sarebbe giusta, qualche “piccolo passo”, qualche aggiustamento sarebbe giusto solo se si procedesse verso un fine ultimo, sia pure lontano, come un grande cambiamento: cambiare l’etica per cambiare la società. L’etica attuale non è adeguata alla società del terzo millennio. Uno dei punti più scottanti è il rapporto fra noi, la natura, gli altri animali, ma anche la clonazione, la fecondazione assistita e tutti i campi della bioetica sono aree in cui bisogna stabilire nuovi principi etici. Sarebbe un progresso fondamentale stabilire che non esiste fra noi e gli altri animali un solco incolmabile, una differenza qualitativa immutabile, ma vedere ogni cosa ed ogni problema in un’ottica evolutiva. La scoperta delle somiglianze genetiche fra noi, scimpanzè e gorilla, maggiori di quelle che abbiamo con l’orang-outang è significativa. Stabilire che esiste una differenza qualitativa incolmabile significa voler essere dei maghi e prevedere il futuro; significa prendere fondamentalmente una posizione materialistica, asserendo il contrario.

GLI ANIMALI NELLA VISIONE ANTROPOCENTRICA

DELL’UOMO TECNOLOGICO

 

         La nostra società non è solo antropocentrica, anche se questo è il fatto fondamentale. E’ una società basata sul ragionamento logico, tecnologizzata, ma anche superstiziosa, egoista, disinformata (spesso disinformata ad arte), consumistica, dissipativa, distruttivista, liberista anarcoide, violenta, geneticamente portata all’inganno e alla sopraffazione. Con tutte queste encomiabili virtù, tuttavia produce ricchezza per chi considera gli altri, il non self, in primo luogo gli altri animali come cose, cioè come mezzi per ottenere potere o denaro. Allevatori, cacciatori, trasportatori, venditori, macellatori, mafiosi, produttori di droghe, di strumenti, di mangimi, fertilizzanti, pesticidi, le deodoranti, lettiere, guinzagli, cappottini, vivono e si arricchiscono con comportamenti crudeli, considerando gli animali dei “mezzi”. Non si è creata un’industria, bensì un tipo di società, uno stile di vita, impostato sull’iperproduzione, su bisogni creati artificiosamente, su vendite forzate, sulla disinformazione, sulla violenza palese o segreta e su una politica economica degli alti prezzi. Tutti i vari settori della nostra società sono intimamente legati. Per esempio: la produzione di antibiotici ed ormoni è legata all’allevamento degli animali; l’energia è legata alla produzione agricola, la genetica agli OGM; la vendita dei cereali dei paesi poveri al commercio delle armi; la produzione alimentare è legata alla cultura e quindi allo sviluppo generale, quindi alle scoperte scientifiche e infine all’assetto politico. Quest’ultimo, a sua volta, può favorire certe produzioni, certi stili di vita, certe informazioni e quindi costituisce l’ultimo anello di una catena che chiude il circolo vizioso dei rapporti fra settori apparentemente indipendenti. Il legame fra tutti i settori è costituito dalla informazione, che spesso è disinformazione. I nostri bambini in poche ore giornaliere di televisione ricevono in media 20 mila spot annui, cioè 200 mila spot in dieci anni. Ovvio che la loro mentalità sarà condizionata da questa massa enorme di informazioni ricevute. Essi considereranno in modo diverso da noi per esempio la produzione di CO2 (quando passeremo da 380 parti per milione a 450, i poli fonderanno) considereranno in modo diverso i cambiamenti di clima. Eppure queste informazioni e questi dati sono intimamente legati alla produzione di acqua, alla fame, alle malattie, all’incidenza dei tumori (l’80% dei tumori è d’origine ambientale). Si può arrivare ad aspetti grotteschi: la società dissipativa distrugge le foreste, i polmoni della terra, ma produce miliardi di animali. Ogni animale, le mucche per esempio, producono quattro volte il loro peso in feci nel corso della loro vita ed un’enorme quantità di CO2. Miliardi di tonnellate di feci inquinano il nostro mondo: per esempio nella “Padania” la quantità di feci è tale da essere equivalente alla presenza di 110 milioni di abitanti! Non solo: ogni americano produce 18 tonnellate di CO2 per anno; ogni europeo 12 tonnellate; ogni cinese 2 tonnellate e mezzo. Non ce ne accorgiamo, ma viviamo in un mondo sommerso da... inquinanti.

Tutte le professioni ed i settori che ho poco prima indicato, si oppongono a qualunque cambiamento perché disinformati. Il problema dell’occupazione e l’interesse egoistico dei singoli sono fattori di opposizione importantissimi. Basterebbero cambiamenti relativamente modesti per ottenere risultati strabilianti. Per esempio con un aumento del consumo di frutta si otterrebbe una fortissima riduzione, fino al dimezzamento dei casi di tumore. Ebbene, questo risultato potrebbe essere considerato dannoso per le industrie farmaceutiche, così come una cessazione brusca del consumo di carne renderebbe disoccupati milioni di lavoratori e provocherebbe grandi cambiamenti nell’assetto politico che qualcuno catastroficamente prefigura in un nuovo Medioevo. Perfino una più lungimirante e morale legislazione nel settore degli animali da compagnia potrebbe eliminare il rifornimento continuo della popolazione dei randagi e potrebbe danneggiare dunque un gran numero di allevamenti, di piccoli esercizi commerciali. Dunque perfino una legislazione più etica troverebbe oppositori.

Il modello di vita attuale della società occidentale è solidamente basato su una società mercantilistica che continua quella dei secoli precedenti con la differenza che quest’ultima tendeva a mantenere le popolazioni nell’ignoranza considerata mezzo di controllo; la società attuale controlla la situazione attraverso la disinformazione, la creazione di bisogni inesistenti e la spinta agli alti consumi ed agli alti prezzi. La società attuale si basa non sulle virtù ma sui vizi umani: la legge del più forte e cioè la sopraffazione (ingannare e truffare  i fruitori del sistema, evitando gli eventuali rigori della legge per sé medesimi); la crudeltà, cioè l’indifferenza verso le sofferenze altrui (si giudica dal risultato non dai mezzi che si sono usati per ottenerlo); l’egoismo (tutto il benessere la ricchezza e il potere per sé medesimi); la cecità (nessuna previsione del futuro, vivere nel presente; chiedere addirittura la libertà di procreazione irresponsabile). Questi sono i pilastri della società antropocentrica, che ha raggiunto il benessere con l’applicazione dei principi prima elencati. Ma la società occidentale non può continuare con gli stessi principi. Non può produrre altre macchine, o case e ricoprire il territorio, oppure mangiare il doppio e rendere tutti i cittadini obesi. Gli americani ci provano col cibo, gli italiani con le case. Si potrebbe pensare di estendere il nostro benessere al terzo mondo e vendere a quest’ultimo l’eccesso di macchine, cibo ecc. ecc., ma non è possibile, perché la produzione di CO2  arriverebbe rapidamente a 450 parti per milione ed i poli fonderebbero. E’ evidente che con questo modello, noi abbiamo basato il nostro benessere sul furto al terzo mondo, che non possiamo portare al nostro livello di benessere; sulla crudeltà di comportamento nei confronti degli animali e non solo degli animali. Tutto questo porta ad un equilibrio instabile che è stato spezzato dalla presa di coscienza che anche senza una guerra totale, ma semplicemente con attentati, col terrorismo, una parte del terzo mondo può danneggiare gravemente quello industrializzato e addirittura può invaderlo[1]. Il mondo industrializzato funziona in quanto basato su uno stile di vita, su una concezione che non tiene conto della evoluzione rapida dell’ambiente e della società, ma non tiene conto neppure dell’evoluzionismo come fatto scientifico. Questo porta gli occidentali a ragionare ed a comportarsi come 2000 anni fa, anzi come 2 milioni di anni fa, cioè a tenere un comportamento “fossile”. L’evoluzionismo, la consapevolezza dell’importanza del fatto scientifico, di cui bisogna tener conto in tutto, anche nella valutazione di un ovocita o di uno spermatocita è uno dei fondamentali apporti del movimento animalista alla società (B. Fedi. Tesi di specializzazione in bioetica. Univ. Cattolica di Roma, 1996). Tuttavia di questo fatto fondamentale, nessuno si cura. Meno di tutti se ne cura l’unica forza innovatrice che 2004 anni fa tentò di cambiare il mondo, ma che oggi sembra vivere in un eterno presente e ammette solo la possibilità che a questa granitica situazione, delle sue eterne scritture si possano dare solo interpretazioni diverse. Questo è, di fatto, negare il principio di non contraddizione, su cui è basato tutto lo sviluppo del ragionamento occidentale. L’affermazione più grottesca, che nega apertamente il principio di non contraddizione è la pretesa di infallibilità, perché questa prevede addirittura il futuro, prevede che non esisterà alcuna evoluzione, alcun cambiamento, non per 10 o per 100 anni, bensì in eterno. Affermazioni “infallibili” sostituite dopo non molto da altre affermazioni opposte, ma altrettanto infallibili, violano il principio di non contraddizione.

Chi guadagna da tutto questo? Finora il mondo industrializzato, ma non certo gli animali e il terzo mondo. Ci hanno guadagnato i bianchi, i ricchi, chi appartiene a certi gruppi o a certe consorterie, ma non i poveri, gli uomini di colore, gli altri animali. Gli altri animali muoiono nel mondo cristiano come in quello pagano o in quello degli antichi preominidi. L’interesse non è generale. Questa società distruttivista, miope, utilitarista, egoista è manovrata da mezzi di comunicazione che perpetuano un certo modello di vita e possono spingerci in qualunque direzione, anche con l’uso di droghe legalmente permesse (fumo e alcool) o occulte e che quindi costituiscono una limitazione della libertà dei cittadini. La società globale è globalmente condizionata e manovrata, non solo dai governi, ma anche da compagnie commerciali di stolti che non vedono più lontano del bilancio annuale.

Dunque qual è lo spazio per gli altri animali (e gli altri uomini)? E’ uno spazio limitatissimo se non ci sarà un cambiamento di mentalità in senso più etico come voleva l’uomo di cui ho parlato prima e poi vollero Francesco d’Assisi, molti filosofi e scienziati: Leonardo, Galileo, Darwin. Per questo bisogna superare l’egoismo individuale, non solo verso gli altri ma anche all’interno del nostro movimento. Animalisti, vegetariani ed ecologisti applicano al loro interno le stesse regole che rifiutano all’esterno. Anche il carrierismo interno, anche l’appropriarsi di idee altrui, siano esse di Ruesch, di Croce, di Fedi o di Tamino è violenza. Anche la calunnia, la maldicenza, i gruppi e le consorterie sono violenza. Non possiamo chiedere che i principi di non violenza siano applicati fuori dal noi, ma non entro il movimento. Quest’ultima sarebbe una misera furbizia che chiede agli altri quello che è decisa a non applicare per sé medesima. Noi non possiamo essere uguali alla società che vogliamo cambiare, non possiamo considerare gli uomini gli altri animali, ma neppure la terra, o l’acqua o l’aria come mezzi. Se gli alberi, il panorama sono mezzi per far quattrini, alberi e panorama non esisteranno più.

Oggi noi continuiamo un comportamento fossile che va dalle lotte fra animali alla ricerca più avanzata, passando per l’alimentazione e il commercio. Tutto tende a mantenere questa situazione, per ragioni economiche, occupazionali ma soprattutto per la mancanza di un’etica nuova che sostituisca quella non più adeguata del passato. Il problema del nostro rapporto con gli altri animali e la natura in genere può essere risolto solo in una nuova visione generale. Dobbiamo considerare il non-self non più come cose, beni, merci, o da un punto di vista filosofico, come mezzi, o da un punto di vista religioso come esseri animati, però senz’anima; oppure da un punto di vista giuridico come oggetti e non soggetti di diritto. Perfino persone molto lontane da questo modo di pensare, come l’ex ministro Giorgio Ruffolo che considerano soprattutto l’aspetto economico, dichiarano l’impossibilità di considerare merci il panorama e la natura in genere. Ciò, secondo Ruffolo porta ad un completo stravolgimento dello stesso mercato. Personalmente considero il problema dal punto di vista biologico. La prima legge scritta nel nostro DNA è quella della sopravvivenza della specie. Il gene usa il corpo per replicare se stesso, rendendosi quasi immortale. In questo quadro si può pensare che l’uomo possa sopravvivere distruggendo il non-self, la variabilità genetica? Non si può entrare da soli in Paradiso. La storia umana è tutta una serie di tentativi di sfuggire alla sofferenza e alla morte. Per ottenere questo risultato dobbiamo estendere a tutti gli esseri senzienti e a molti non senzienti la nostra etica e includerli nel nostro grande inconsapevole progetto storico. Se non facciamo questo per ragioni etiche, dobbiamo farlo per ragioni pratiche. Il problema non è se gli animali siano modelli attendibili di ricerche, se l’alimentazione carnea sia migliore di quella vegetariana; se la caccia sia uno sport; se le pellicce, l’allevamento siano commerci qualunque; se gli alberi e la natura siano a nostra disposizione; se i nostri fratelli più deboli o semplicemente meno avanzati tecnologicamente possano essere trattati con la legge del più forte, bensì se il comportamento antropocentrico che conferisce potere discrezionale su tutto, che considera la vita un bene monetizzabile e considera ogni cosa come mezzo per ottenere potere e denaro, sia compatibile con la nostra stessa sopravvivenza. Si è realizzata una globalizzazione commerciale, un totalitarismo economico che ha travolto l’ecologia e l’equilibrio della mente degli uomini, in una visione miope che non vede l’evoluzione. In nome di lontanissime pulsioni che ci vengono dal più lontano passato remoto, in nome di pseudorazionalizzazione religiose di queste tendenze fossili si può arrivare sino a proibire di ricercare, cioè a non lottare più contro la sofferenza e a rendere sterili per legge. Fra essere o avere dobbiamo scegliere di essere, ricordando che nulla è per sempre; tutto evolve.

 

 

                                                                  B. Fedi

[1] Si è creata una situazione simile a quella della decadenza romana.  Anche allora c’era un sistema basato sulla violenza, sulla legge del più forte che aveva portato ad una società che si reggeva sul lavoro degli schiavi e sull’approvvigionamento continuo a costi molto bassi. C’è stato l’ampliamento dell’Impero romano, il sistema andò in crisi. In quel periodo un uomo capì e cercò di impostare il mondo su principi diversi dalla violenza. Tutti sanno come finì. Quello che non ho mai trovato in alcun libro di storia è che l’insegnamento di quell’uomo fu formalmente accettato quando i suoi successori stabilirono di accordarsi col potere reale e di accettare l’insegnamento etico teoricamente ma di non applicarlo di fatto. Oggi, il funzionamento della società è basato sullo stesso principio di sopraffazione anche se si deruba il terzo mondo senza bisogno d’invaderlo militarmente. Lo schiavismo è stato sostituito da quello economico. C’è un sistema liberistico apparente in realtà con privilegi ed esenzioni, che viene inteso come diritto allo spreco, come diritto del più  forte, basato sull’egoismo individuale e sul conservatorismo.