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31 ottobre 2002 - L'Espresso


 

 

 








 
Ndrangheta e politica / il caso di Lamezia Terme
BARRICATI IN CONSIGLIO

 

 

 


Il prefetto ha chiesto lo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Ma il sindaco non ne vuole sapere. E trova solide sponde nel governo. Mentre Pisanu temporeggia
di Francesco Bonazzi

Un sindaco che querela il prefetto? Accade a Lamezia Terme nel mezzo di una guerra di 'ndrangheta. E, guarda caso, alla vigilia dello scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. Una ragnatela di omicidi, minacce, vendette e tradimenti politici. Con tre sottosegretari del governo Berlusconi impegnati nel ruolo di pompieri. E una città di 75 mila abitanti che assiste al tutti contro tutti.

In questi giorni sul tavolo del ministro degli Interni, Beppe Pisanu, giace il dossier Lamezia. Il prefetto di Catanzaro Corrado Catenacci ha chiesto che il consiglio comunale venga sciolto dal governo perché troppi suoi esponenti sarebbero legati alle cosche. Ma a Lamezia, dopo sette anni di centro-sinistra, dal 13 maggio 2001 comanda la Casa delle Libertà. E il sindaco Pasquale Scaramuzzino fa di tutto perché a Roma se ne ricordino, nell'ansia di salvare la città da un provvedimento già subito nel 1991, quando a Lamezia c'erano dieci omicidi di mafia l'anno. Ultima mossa di questi giorni, una denuncia per diffamazione contro il prefetto, reo di aver svelato alla Commissione antimafia che un proprio collaboratore aveva subito un tentativo di corruzione da parte dell'amministrazione comunale, sotto forma di lauta consulenza («per un importo da non dormirci la notte»).

Così, l'aria a Lamezia è di nuovo pesante come ai vecchi tempi. Le cose erano migliorate nel 1993 con l'elezione di un magistrato, la diessina Doris Lo Moro, che ha governato per due mandati. Un minimo di trasparenza era tornata, e i delitti erano scesi a un paio l'anno. Contemporaneamente era partito un grande processo contro la cosca locale dei Torcasio-Gianpà. Ma a luglio del 2000, il processo "Primi passi" crolla in appello e gran parte degli 80 imputati viene assolta. In aula, i pentiti si limitano a raccontare che si fregavano tra loro nell'esazione del pizzo. Così, risolti a buon mercato i conti con la giustizia, gli uomini d'onore passano a regolare i propri. I Gianpà e i Torcasio cominciano a scannarsi. Lo fanno con 13 assassini e nove tentati omicidi in 21 mesi.

Intanto, il 13 maggio 2001, il centro-sinistra crolla. Lo Moro si candida alla Camera e perde contro l'avvocato del Ccd Pino Galati, oggi sottosegretario alle Attività produttive. Galati fa eleggere sindaco, con una maggioranza del 75 per cento, il forzista Scaramuzzino. E come vice, gli piazza Albino Mauro (Ccd), legale dei Torcasio. La serenità del nuovo corso viene scossa dal ferimento di Giorgio Barresi, consigliere del Ccd, gambizzato mentre chiacchiera con tre mafiosi. Oggi Barresi è impossibilitato a partecipare alle riunioni in Comune, in quanto arrestato per usura. Ma il segnale più allarmante arriva a marzo di quest'anno con l'omicidio dell'avvocato Torquato Ciriaco. Solo un mese prima aveva inaugurato con il sindaco la prima sala Bingo di Lamezia. Immediatamente chiusa dalla questura, convinta che fosse di proprietà di un imprenditore legato alla 'ndrangheta.

Ciriaco era soprattutto l'avvocato di Salvatore Mazzei, re del calcestruzzo lametino. È proprio di Mazzei che parla il prefetto nella sua audizione segreta in Antimafia il 20 settembre. Mazzei è il proprietario di una grossa cava abusiva che si vede da tutto il golfo di Sant'Agata, recentemente messa in regola dal Comune. Catenacci afferma che «da lì proviene tutto il materiale che serve per la costruzione dell'autostrada tra Cosenza e Vibo Valentia». E svela che «qualche mese fa un'impresa di livello nazionale ha rinunziato a un appalto da 60 miliardi di vecchie lire perché aveva subito il sabotaggio di un impianto per la produzione del calcestruzzo». «Praticamente, tutti sono obbligati a comprare il calcestruzzo da questo signore», conclude il prefetto. Un mastino di origini napoletane che nella sua carriera, quando ha chiesto lo scioglimento per mafia di un Comune, ha vinto 21 volte su 22.

La bagarre s'è scatenata la scorsa estate, quando Catenacci ha aperto le procedure di scioglimento per Lamezia. La sua prima relazione inviata al Viminale a fine agosto ha fatto fare un salto sulla sedia ai big della Cdl calabrese che stanno a Roma. Galati ha subito difeso il sindaco, con una lettera aperta in cui la buttava in politica. Poi, solo silenzio. Il sottosegretario agli Interni, Antonio D'Alì, è stato meno accorto. Nei giorni scorsi girava voce che avesse dato udienza a Scaramuzzino, suscitando in Antimafia le polemiche sull'opportunità del gesto. Poi è arrivata la vibrante difesa del sottosegretario calabrese Jole Santelli. Che dal ministero di Giustizia, la sera del 15 ottobre, ha spedito all'Ansa un comunicato in cui attacca pesantemente il centro-sinistra sul caso Lamezia. Forse avvertita dal capo del suo staff Antonia Pastorino, compagna di D'Alì, la Santelli ha poi capito di avere esagerato. E nel giro di due ore ha chiesto all'Ansa una rettifica, smorzando le accuse. Peccato che nel comunicato abbia fornito la prima conferma autorevole che l'incontro tra D'Alì e Scaramuzzino era avvenuto davvero.

Intanto, pochi giorni prima della visita dell'Antimafia a Lamezia, Galati ha convinto il vicesindaco Mauro a dimettersi, in cambio della presidenza di Lamezia Europa, consorzio che gestisce l'ex area Sir. E Angela Napoli, deputato di An, da quando ha denunciato la gravità della situazione vive sotto scorta. Accusata dalla sua maggioranza di danneggiare Lamezia e la Cdl (vedi scheda).

Ora, la clamorosa querela del sindaco apre uno scontro istituzionale dagli esiti imprevedibili. Ad alcuni deputati Pisanu ha detto che lo scioglimento del consiglio di Lamezia è probabile. Quando? La voce che circola è che al Viminale aspettino di vedere se analogo provvedimento debba riguardare anche Isola Capo Rizzuto, comune del Crotonese governato dall'Ulivo.

 

  3 ottobre 2002 - L'Espresso

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