Odino - Il Dio dai mille volti

Dio dagli innumerevoli appellativi, ognuno dei quali richiama una sua impresa o caratteristica, Odino è, in primo luogo, il padre degli dèi e degli uomini. L'etimologia del suo nome rimanda ad una ben definita connotazione caratteriale: Odino, sia nella forma norrena Voden che nell'antico alto tedesco Wuotan ed in quello basso Wodan, come pure nell'antico inglese Woden, significa «furore». Significato conservatosi, del resto, nel tedesco moderno Wut (rabbia, furia). La sfera d'azione simbolica dei dio non si esaurisce in quest'unica direzione, ma abbraccia molti ambiti dell'agire umano, assumendo, di volta in volta, i caratteri del dio padre, psicopompo, ispiratore dei poeti oppure depositario di una saggezza misterica.

Tremende urla selvagge rintronavano da lontano, giungendo alle orecchie dei soldati terrorizzati ed intimoriti: esse annunciavano, con la loro bestialità, l'arrivo di indomite schiere di feroci guerrieri assetati di sangue come dei lupi discesi dalle montagne innevate. I soldati, ormai intontiti ed accecati dalla paura, sapevano che si sarebbero trovati di fronte ad esseri metà uomini e metà bestie feroci che, sprezzanti dei pericolo ed incuranti delle ferite, si precipitavano in battaglia senza armatura, mordendo i loro scudi come degli assatanati, uccidendo chiunque si parasse loro innanzi. Questi oscuri dispensatori di morte e di distruzione erano forti come orsi o tori selvaggi e né fuoco né ferro avevano effetto su di loro. Indossavano solo pelli d'orso o di lupo, che contribuivano ad accentuare il loro aspetto di sinistri ambasciatori del male. Gli animaleschi guerrieri, personificazioni della furia annientatrice, erano i mitici berserkir "quelli vestiti di pelli d'orso", e gli ulfhednir, "quelli vestiti con pelli di lupo". Appartenevano ad alcune società cultuali dedicate ad Odino, nella sua valenza di dio della guerra. I membri di queste società, vere e proprie sette, si sottoponevano a crudeli riti di iniziazione, ingurgitando, a quanto sembra, anche sostanze ìnebrianti e facendo uso di droghe capaci di renderli insensibili al dolore fisico. Ed è in tali sostanze stupefacenti che va forse ricercata la fonte dell'eccezionale carica distruttiva che caratterizzava il loro delirio bellico il furor bersercicus, come è stato definito. Ma le armi che Sigfodhr, "padre della vittoria", uno degli appellativi di Odino, usava per favorire i suoi protetti non erano certo onorevoli: con dei sortilegi imbrigliava le armi del nemico immobilizzandole nelle loro mani, rendendo vano ogni tentativo di valorosa difesa. Oppure accadeva che, all'improvviso, i guerrieri fossero accecati e, non scorgendo nemmeno il nemico, perissero miseramente trafitti dalle lance dei "raccomandati" di Odino. A questo aspetto del dio allude molto chiaramente un altro suo appellativo: Herblindi, l'«accecatore dei guerrieri». Del resto, in simili casi, c'è sempre l'altro aspetto, quello di chi gode, e si ringraziava Hertier, il «rallegratore dell'esercito», quando si usciva vittoriosi da una battaglia. Ma Odino era estremamente capriccioso, pronto a ritirare il suo appoggio da un momento all'altro senza un motivo apparente, funestando i suoi protetti con dispetti mortali. Ma lo spirito di Odino aleggiava soprattutto dopo la battaglia, quando le sue emissarie femminili, le Valchirie, montando cavalcature alate, scendevano sui rutilanti terreni di scontro e prelevavano i corpi dei valorosi che ineritavano l'ingresso alla Valhalla, il paradiso dei prodi. Ecco perché Odino è chiamato Valfódhr, "padre degli uccisi", poiché colui che muore coraggiosamente in battaglia, il val, diventa suo figlio adottivo. Tale suo carattere di divinità psicopompa è alla base della sua identificazione con Mercurio nell'interpretatio romana di Tacito. Identificazione che vediamo agire anche nella traduzione nordica del dies Mercurii (il nostro Mercoledì) reso da alcuni popoli nordici come "giorno di Woden" (si veda anche l'inglese moderno Wednesday). Nelle vene del dio padre di tutti gli dèi scorreva anche il sangue non certo divino dei giganti. Odino infatti nacque, all'inizio dei tempi, dalla gigantessa Bestla, sposa di Bor, figlio dei primordiale essere androgino Buri, plasmato dalla lingua della vacca Adhumula nel ghiaccio salato che avvolgeva il cosmo. In quei tempi oscuri Odino aveva anche due fratelli, Vili e Vé, suoi complici nell'uccisione di Ymir, il macroantropo che, con il suo colossale cadavere, fornì la materia prima per la creazione dell'universo. Odino in seguito, bramoso di potere, si macchiò dell'orrendo crimine di fratricidio, eliminando cruentemente gli ormai scomodi fratelli e divenne il signore assoluto di Asgardh. Sua sposa è Frigg, dea della fecondità e della fertilità, con la quale generò tutti gli altri dèi tranne Thor, primogenito nato da un suo lungo flirt con Jørdh, la "madre terra". Dimora di Odino in Asgardh è Valaskyalf, "scoglio degli uccisi", dove, assiso sul trono Hlindskyalf, scorge tutto ciò che accade nel mondo. Complessa figura mitica, stratificazione di vari ed opposti valori simbolici, Odino è anche il dio della saggezza. Si racconta che il dio per bere alla Fonte di Mimir, la portentosa sorgente di ogni sapere posta nei pressi di una delle radici di Yggrdrasil, abbia dato in pegno un suo occhio all'oscuro guardiano della fonte. L'occhio divino giace da allora nelle acque gelide della sorgente, doloroso prezzo pagato per acquisire una vista più preziosa: lo sguardo del saggio che sa scorgere dietro le apparenze l'essenza delle cose. L'amore per la sapienza e l'ansia di comprendere i più reconditi misteri spinsero Odino a sottoporsi ad un altro cruento rituale. Il padre degli dèi si impicca, "sacrificandomi a me stesso", come dice, ad un ramo dell'albero del mondo, il frassino Yggrdrasil. Per nove giorni e nove notti il dio penzola privo di conoscenza appeso al sacro arbusto. ma non è soddisfatto. Con una lancia si infligge una ulteriore tortura, colpendosi e ferendosi duramente. È la cosiddetta "ferita di Odino", il segno inciso nella viva carne a testimoniare l'appartenenza al dio, ferita che molti guerrieri si procuravano nel tentativo di ingraziarselo. La mente del dio, mentre il suo corpo emaciato pativa immani sofferenze, era libera di vagare alla ricerca di nuovi orizzonti, eliminando le anguste frontiere del già noto. In questo viaggio, simile per molti aspetti a quelli sciamanici ed a quelli più profani indotti dalle droghe pesanti, Odino vide le rune, le iscrizioni dotate di particolari poteri magico-divinatori, e se ne appropriò, raccogliendole da terra. A tale episodio si ricollegano appellativi come "dio degli impiccati"ed una serie di testimonianze che sembrerebbero provare l'esistenza di sacrifici umani tributatigli durante misteriose cerimonie. Molto spesso una noia tremenda assaliva Odino, rendendogli irrespirabile la divina aria di Asgardh, facendogli desiderare il contatto con i comuni mortali. Allora si divertiva a girovagare sotto false spoglie per il mondo, stupendo o terrorizzando chi lo incontrava. E sebbene fosse il più importante degli dèi, usava travestirsi da vecchio, indossando un abito che aveva conosciuto tempi migliori, tutto sdrucito e senza una manica. Vafudhr, il "vagabondo", uno degli appellativi assunti da Odino in tali peregrinazioni terrene, si avvolgeva, per proteggersi dal freddo, in un ampio mantello turchino e si appoggiava ad un nodoso bastone con la punta di ferro: nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quel vecchio orbo, con una lunga barba grigia incolta, con il viso seminascosto da un cappello floscio a larghe tese fosse il dio invocato dai guerrieri, il signore di tutti gli dèi. In altre occasioni, quando si richiedeva la sua presenza "ufficiale", ad esempio, nelle sacre riunioni ai piedi del frassino Yggrdrasil, Odino sapeva sfoggiare tutti gli attributi conferitigli dal suo rango e valore. Allora cavalcava il magnifico destriero Sleipnir, "che sdrucciola", uno stallone grigio con otto zampe, dotato della straordinaria facoltà di galoppare sia sulla terra che in cielo, sfrecciando più veloce del vento. L'eccezionale animale era il frutto della singolare unione dell'astutissimo dio Loki, abilissimo nelle metamorfosi animali, con il portentoso stallone Svadhilfari. Sulle spalle di Odino sono appollaiati due superbi corvi: Hugin, "pensiero"e Munin, "memoria". Ogni giorno, alle prime luci dell'alba, i neri volatili si alzano in volo raggiungendo le più remote regioni della terra e al loro ritorno, all'imbrunire, riferiscono al loro padrone tutto ciò che hanno visto e sentito. Grazie ai due pennuti ricognitori il dio è costantemente informato degli avvenimenti mondani. Ai fianchi dei dio supremo degli Asi, preannunciati dai loro tremendi ululati, avanzano minacciosi, con le enormi fauci spalancate, Geri, "ghiottone", e Freki, "vorace", due famelici lupi che simbolizzano la furia battagliera degli ulfhednir. Odino brandisce una splendida spada, la famosa Gungnir, forgiata dai nani Brokk e Sindri. Implacabile strumento di morte, l'arma divina, una volta scagliata nel mezzo di una battaglia, continuava da sola a colpire all'infinito, dispensando orrende menomazioni agli sfortunati nemici dei dio. Gli abilissimi nani artigiani e fabbri, creatori della magica spada, donarono al dio anche l'aureo anello Draupnir, "che gocciola", fornito della stupefacente proprietà di autoriprodursi ogni nove notti in otto esemplari di identico peso e bellezza. L'inestimabile gioiello, fonte di infinite ricchezze, sarà posto, come aureo viatico per il triste viaggio nell'aldilà, sulla pira funebre del bellissimo Balder, lo sfortunato figliolo di Odino ucciso dalla malvagità e dall'invidia di Loki. Sembra che Odino custodisse gelosamente una macabra reliquia, testimonianza del suo amore paterno: la testa di Mimir, il dio che insieme ad Hoenir fu inviato tra i Vani come pegno di pace dopo la lunga guerra tra le due famiglie divine. I Vani erano soliti chiedere consigli al saggio Hoenir, ma questi accettava di rispondere ai loro quesiti solo se poteva consultarsi con Mimir, irritando non poco i signori di Vanaheim. Un giorno, stufi di attendere sempre l'arrivo del dio, lo decapitarono, eliminando cosi i contrattempi che imponeva ai loro consulti con Hoenir. Odino, padre degli dèi e quindi anche di Mimir, si precipitò nel regno dei Vani e, colmo di disprezzo e di dolore, si fece consegnare il capo crudelmente reciso. Ritornato ad Asgardh, il dio cosparse di erbe magiche la testa e, recitando delle litanie a lui solo note, riusci a non farla imputridire. Da allora, nei momenti di necessità, Odino conversa con la testa mummificata, intonando cantilene magiche e chiedendole consigli sulla condotta da tenere. Ed è proprio con la testa di Mimir che Odino si consulterà quando, avvicinandosi ormai la fine dei tempi, guiderà gli dèi ed i suoi guerrieri contro le schiere demoniache. Ma a nulla gli serviranno i suggerimenti del decollato: nonostante le sue arti magiche e la sua sapienza misterica il padre degli dèi perirà, inghiottito nelle possenti fauci del lupo Fenrir.

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