Frigg - La signora degli Dèi

Già nella traduzione norrena del dies Veneris, il nostro Venerdì, così come è rinvenibile nell'antico alto tedesco Friatac, oppure nell'inglese moderno Friday e nel tedesco Freitag, appare documentata l'esistenza nel pantheon nordico di una divinità femminile caratterizzata dai medesimi attributi della Venere romana. La maggioranza degli studiosi è concorde nell'identificare tale dea con Frigg, la sposa di Odino. Seguendo la tradizione dei padri, il giorno consacrato alla celebrazione dei matrimoni, all'unione feconda e legale dei sessi per perpetuare le generazioni, era il Venerdì, lo stesso giorno consacrato alla dea Frigg. La "signora degli dèi", come la chiamavano i poeti, avrebbe vegliato sulle giovani coppie, infondendo loro l'esaltante energia vitale, i preziosi umori portatori dei germi di nuove vite. E, confidando in un suo benevolo intervento, le spose il cui grembo era rimasto sterile oppure quelle che non avevano ancora goduto i frutti dell'amore, si rivolgevano a Frigg, madre ed amante primigenia. La dea, che ben conosceva le pene e gli affanni che si provano per i figli, assisteva le partorienti, alleviando i dolorosi spasimi della gestazione. Celeste sposa di Odino, Frigg poteva fregiarsi del titolo di "signora del cielo", appellativo degno della compagna del più importante degli Asi. Oltre a condividere con Odino il prestigioso seggio Hlindskialf, "vetta, torre di guardia", la dea aveva a sua disposizione una splendida dimora a Fensalir, "sala della palude", una delle regioni di Asgardh. La sposa di Odino aveva ai suoi ordini due ancelle, Fulla e Hlin. La prima custodiva, gelosamente riposte in una solida cassettina di frassino, le fatate calzature della dea, lustrandole in continuazione e badando che fossero sempre lucide e splendenti come la luce del sole. La seconda ancella, anch'ella dotata delle magiche virtù di una divinità, era l'ambasciatrice dei desideri della dea sulla terra e soccorreva i guerrieri protetti da Frigg. Avvolta nel suo manto di penne di falco, la "signora degli dèi"poteva sfrecciare nel cielo azzurro, lasciandosi dietro nient'altro che il fruscio impercettibile di migliaia di minuscole penne. E sebbene quel portentoso indumento avesse un valore inestimabile, la dea, dando prova della sua magnanimità, lo aveva prestato più di una volta a Loki, facendogli provare i soavi piaceri della leggerezza del volo. Dei resto fu proprio grazie al mantello fatato che gli Asi poterono affrontare i giganti, eterni nemici degli dèi, andandoli a sfidare nei loro territori e recuperando tesori che si credevano irrimediabilmente perduti. Eppure, non rinunciando alla sua innata sfacciataggine, il maligno Loki, una volta, proprio nella sala dove era riunito il sacro concilio degli Asi, aveva osato chiamarla ninfomane, instancabile inseguitrice di perversi appetiti sessuali. E, continuando ad infangare a dismisura l'onore del padre degli dèi, l'aveva accusata della più turpe forma di adulterio, affermando di averla vista mentre accoglieva nella sua alcova peccaminosa i due fratelli di Odino, Vili e Vé, consumando con loro quello che per il diritto nordico era un ignobile incesto. Ma tutti conoscevano il trepido affetto che la legava a Balder, sfortunata vittima degli oscuri disegni del destino. Quando aveva appreso dei tristi sogni, presagi di future sciagure, che angosciavano il figlio, Frigg non aveva avuto più pace e con indomita volontà aveva percorso l'universo intero, tentando di sottrarlo alla morte. Anche quella volta fu ingannata dal perfido Loki al quale, fiduciosa ed ingenua, aveva confidato il segreto dell'invulnerabilità di Balder. E a lungo pianse la "signora divina", prigioniera dei rimorso, quando seppe che proprio la sua leggerezza aveva consentito a Loki di ordire la sua trama mortale. Frigg era dilaniata dal dubbio atroce di essere stata complice dell'assassino del figlio: i suoi lamenti, strazianti ed interrotti soltanto dai singhiozzi, giungevano da Fensalir fino ai confini estremi di Asgardh, testimoniando il suo incolmabile dolore.

 

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