Freya - la Dea dell'amore

Signora dei Vani, Freya simboleggia diversi aspetti del femminile, includendo, ad esempio, la sfera dei poteri magici e della sessualità sfrenata. Tuttavia particolari vicende mitiche la presentano come una madre ed una sposa teneramente legata ai suoi doveri muliebri, tanto che alcuni studiosi, anche sulla base di altri particolari, vedono in lei un altro nomen della sposa di Odino.

Nata dall'incestuosa unione di Njdrdhr con la sorella, Freya era innanzitutto la Vanadis, la «dea dei Vani» per eccellenza, l'unica presenza femminile della famiglia andata a vivere, agli inizi dei tempi, tra gli Asi. Affascinante visione di grazia ed avvenenza, la signora dei Vani nascondeva sotto i suoi tratti perfetti una innata malizia. E, forse esagerando, si raccontavano sapide storielle sulle sue avventure galanti, disinibite escursioni nel regno della voluttà. Gli antichi, a tal proposito, amavano ripetere, per sigillare in un distico la lascivia e la gioiosa intemperanza della dea, le parole rivoltele da Hundìa, una megera vissuta, non si sa come, tra gli dèi: «Tu corri nelle notti... come la capra coi capri vagabondi ... ». Anche Loki, dando libero sfogo al suo sarcasmo, l'aveva duramente accusata di essere una ninfomane, pronta a soddisfare le voglie del basso ventre con chiunque, fosse un Aso o un Elfo. Del resto, sebbene fosse del tutto lecito tra i Vani, la si accusava di essersi unita in un coito incestuoso con il fratello Freyr. L'estrema dissolutezza di Freya, la sua irrefrenabile energia sessuale, erano cantati dai poeti riella Mangsongr, la poesia amorosa che era severamente proibita, ma che, dando voce alle istintualità elementari, fioriva nel segreto di alcove, agendo come un afrodisiaco in versi. E proprio in una di tali poesie si narrava come Freya avesse ottenuto Hildsvini, «cinghiale da battaglia», magnifico esemplare dalle setole auree, rilucenti come quelle del cinghiale di Freyr. Ebbene, si diceva che la dea aveva donato le sue grazie femminili ai due nani Dain e Nabbi, trascorrendo con loro una infuocata notte di passione: "'alba, come segno d'affettuosa dedizione, ebbe il prezioso animale. Un'altra volta poi, per esplorare regioni del piacere sconosciute, aveva trasformato, con incantesimi a lei sola noti, un suo amante umano in un feroce ma ben dotato cinghiale: quel coito all'insegna della ferinità le aveva procurato sensazioni e ferite indimenticabili! Il collo di Freya era ornato da Brisingamen, la «collana dei Brisinghi», gioiello noto per la sua incomparabile bellezza in tutta Asgardh. Anche sulla provenienza di tale monile circolavano storie maliziose, dove si insinuava che la dea avesse utilizzato la sua ars amatoria per sedurre un popolo intero di nani (i Brisinghi, per l'appunto), per poter avere l'inestimabile collana. Quando si recava al sacro concilio nella piazza principale di Asgardh, la dea montava su un cocchio
scintillante, avvolta in radiose vesti. La sua graziosa vettura era trainata da una coppia di gatti, animali di cui sono note la focosità e l'intolleranza verso qualsiasi legame. La coppia di felini simboleggiava l'irrequietezza amorosa di Freya, il suo essere fedele solo ed unicamente all'imponderabile flusso delle passioni e dei desideri. Eppure, quasi a voler smentire il ritratto sin qui tracciato, erano note le disavventure di Freya nella terra dei giganti. Qui, sebbene avesse potuto godere della vigorosa prestanza sessuale dei colossi di Jdtunheim, aveva più di una volta rifiutato sdegnosamente le loro offerte di matrimonio. E proprio per salvaguardare il suo onore Thor dovette intervenire rumorosamente, ma con efficacia, fracassando crani e dissipando desideri malriposti. Inoltre si conoscevano le «pene d'arnor perduto» patite da Freya per un certo Odhr, unico a quanto sembra suo sposo legittimo. li misterioso Odhr abbandonava spesso l'affascinante consorte per intraprendere lunghi viaggi nelle più desolate contrade, impegnato in non si sa quali avventure. E la povera Freya, freniente d'amore, lo inseguiva invano, piangendo calde lacrime che, subito dopo, si trasformavano in gocce d'oro fuso: per questa ragione, nei versi criptìci degli antichi poemi nordici, si trova l'espressione «lacrime di Freya» per indicare l'oro. L'incessante vagabondare della dea produsse, poi, un moltiplicarsi dei suoi appellativi, assumendo, di volta in volta, nomi e connotazioni di divinità locali come, ad esempio, Mardoll e Gefn, il cui significato è spesso indecifrabile. Freya, durante il matrimonio con l'eterno viandante, aveva messo al mondo due leggiadre fanciulle, Hnoss e Gersemi. I loro nomi, come avveniva in quei tempi, simboleggiavano le loro virtù: essi significano «gioiello» e «tesoro», ma la loro bellezza sfuggiva ad ogni descrizione o appellativo. Per ritornare nel campo delle supposizioni e dei pettegolezzi, si diceva che dietro ai panni dell'enigmatico Odhr si celasse il padre degli dèi, Odino. Anche la signora dei Vani possedeva uno straordinario manto di penne di falco, magico indumento che le permetteva di librarsi in volo proprio come la sposa di Odino, fornendo così l'occasione per ulteriori illazioni. Ma le affinità con Frigg non finiscono qui. Auree collanine, modellini della sua celebre Brisingamen, venivano messi al collo delle partorienti per allontanare gli influssi malefici. Freya, quindi, usurpava i protettorati della «signora degli ASI», quasi a voler prendere il suo posto anche nella devozione popolare. Inoltre, inserendosi di prepotenza in un universo simbolico tipicamente femminile, anch'ella era preposta alla salvaguardia della fecondità e della fertilità, divenendo la dispensatrice di nuove vite e di ricchi raccolti. A tal proposito, due appellativi di Freya, Horn e Syr, sembrano essere stati coniati apposta: il primo, che significa «concime liquido», intende rimarcare la benefica azione esercitata dalla dea sulle colture, rendendole fertili proprio come fa il concime; il secondo, «scrofa», allude all'eccezionale prolificità dei suini, animali eletti a simbolo della prosperità. Ma ben altri frutti aveva portato Freya tra gli uomini e gli dèi: di sua competenza, infatti, era la magia seidhr. Sommo depositario di questa arte era Odino, conoscitore degli intimi segreti delle rune e dei procedimenti magici loro connessi. E, forse proprio durante una loro segreta tresca amorosa, Odino le aveva insegnato le arcane tecniche della magia seidhr. Divinazioni ottenute in uno stato di trance violenta, durante il quale si avevano limpide visioni di avvenimenti passati e futuri; possibifità di nuocere a distanza, imbrigliando nei meandri di incantesimi verbali le vittime predestinate, inibendo loro qualsiasi movimento: questi, in sintesi, i poteri conferiti dalla magia seidhr. Quasi a voler rinchiudere in un unico tragico ciclo la vita e la morte, Freya, signora della foga amorosa, indice di una vitalità sconfinata, svolgeva anche il ben più tristo compito di madrina dei morti in guerra. Anche in questa tetra circostanza la troviamo al fianco di Odino, insieme al quale divide a metà i cadaveri dei guerrieri: cavalcando al fianco dei padre degli dèi, ella sceglieva i suoi eroi, destinati ad essere accolti a Folkvang, «carnpo dell'esercito». Qui, in compagnia della dea, sedevano sui numerosi scanni dell'ampio salone Sessrumnir "ricco di seggi" per l'appunto, contemplando, ormai inutilmente, i meravigliosi tratti e le morbide fattezze della bellissima Freya.

 

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