TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia
Juan Gerardi CONEDERA: Assassinato! Il sacrificio di un giusto Di Lorenzo Baldo e Giorgio Bongiovanni
 

 

"Non vi può essere pace senza giustizia e non vi è giustizia senza Verità" - Monsignor J.G.Conedera.

Domenica 26 aprile 1998 si compiva l’ultimo atto di una morte annunciata. Monsignor Juan Gerardi Conedera veniva assassinato. Alle ore 22 circa, mentre stava rincasando, uno sconosciuto lo colpiva con un pezzo di cemento al capo, dopodiché infieriva violentemente sul volto. Il medico forense, che successivamente visionò il corpo, rimase impressionato dalla brutalità e dall’efferatezza della modalità dell’omicidio. 48 ore prima monsignor Conedera aveva presentato, insieme ad alcuni suoi collaboratori, alla Cattedrale Metropolitana di Città di Guatemala, la relazione finale denominata “Guatemala Nunca mas”, Guatemala mai più. Un progetto interdiocesano per il recupero della memoria storica, un documento che attesta le migliaia di violazioni dei diritti umani subite dal popolo del Guatemala prevalentemente ad opera dello stesso esercito, durante la guerra civile dal 1960 al 1996 . Da quel 26 aprile, un senso di vuoto si impadroniva di tutto il Guatemala. Il giorno del funerale una folla atterrita dal dolore avanzava lenta, centinaia di migliaia di persone, alcune delle quali avevano affrontato anche 15 ore di viaggio, erano venute per dare l’ultimo saluto a chi era stato sempre dalla loro parte, a colui che si era battuto per i loro diritti. Gente di ogni razza e ceto sociale, in prevalenza Maya, proprio quella popolazione più maltrattata, che Conedera aveva a cuore. Nello stesso momento, in un appartamento anonimo della città, si brindava per il buon esito dell’omicidio Conedera e fra i presenti ad alzare il bicchiere, l’ombra di un ufficiale dell’esercito prendeva corpo. Non è solo un ipotesi, 30 minuti prima che monsignor Conedera venisse assassinato, lo stesso capo della Polizia di Città di Guatemala ordinò, personalmente, a tutte le auto pattuglia in un raggio di 500 metri dalla canonica di Conedera di allontanarsi immediatamente (fonte MISNA Missionary Service News Agency). Non si tratta della trama di un film di controspionaggio, è la cruda realtà. Non è una questione solo di oggi, delle 55.000 violazioni dei diritti umani accertate, si è dimostrata la responsabilità dell’esercito in 43.580 casi, l’80 per cento. Cosa sta succedendo? Ci troviamo di fronte ad un allucinante abuso di potere o più semplicemente ad un’organizzazione criminale che “gestisce” il paese? Come è possibile che un’informazione così determinante ai fini delle indagini nell’omicidio Conedera passi inosservata? Probabilmente proprio perché chi eseguiva queste indagini era coinvolto nell’omicidio. Di questo maledetto connubio tra criminalità e governo Conedera ne era al corrente e aveva lavorato instancabilmente per 3 anni, giorno e notte, raccogliendo dati, testimonianze, documenti, fotografie e non si era fermato mai, neanche di fronte alle minacce di morte, agli attentati che aveva subito o alla perdita dei suoi più cari amici, assassinati mentre lottavano insieme a lui per far emergere la Verità. Era inevitabile che una persona come Conedera desse molto fastidio a chi ha in pugno il paese, a chi “comandava”, senza avere però quell’onore che contraddistingue i veri comandanti. Bisognava farlo tacere, nel peggiore dei modi, per dare una lezione a quanti la pensavano come lui e soprattutto bisognava mettere a tacere l’intera popolazione e fare in modo che quel silenzio mettesse radici così profonde nell’animo, da far dimenticare il grido di Juan Gerardi Conedera. In questo momento il futuro del Guatemala appare segnato da un destino di sangue, morti ed abbandono, ma se ripercorriamo passo passo l’opera straordinaria di monsignor Conedera riusciamo a scorgere un filo di speranza. Dalle sue stesse parole pronunciate a testa alta, con la fierezza di un guerriero e l’umiltà di un uomo giusto, due giorni prima della sua morte, possiamo comprendere il suo amore incondizionato per la giustizia e la sua dedizione verso i più deboli, i più indifesi: “Il Progetto REMHI ha rappresentato uno sforzo insito alla pastorale dei Diritti Umani, che a sua volta fa parte della Pastorale Sociale della Chiesa: è una Missione di servizio all’uomo e alla società. La Chiesa ha una missione da compiere nell’ordinamento della società, che comprende i valori etici, morali ed evangelici. Il Progetto REMHI é una denuncia, legittima, dolorosa che dobbiamo ascoltare con profondo rispetto e spirito solidale; è anche un annuncio, un’alternativa per ritrovare nuovi percorsi di convivenza umana. Quando affrontammo questo compito, avevamo bisogno di conoscere, per condividere la Verità, ricostruire la storia del dolore e morte, vedere le cause, capire il come e il perché, mostrare il dramma umano, condividere la pena, l’angoscia delle migliaia di morti, dei desaparecidos, delle vittime delle torture; vedere la radice dell’ingiustizia e l’assenza dei valori. Noi vogliamo contribuire alla costruzione di un paese diverso. Per questo motivo dobbiamo recuperare la memoria del popolo. Questo cammino è stato e continua ad essere pieno di rischi, ma la costruzione del Regno di Dio è fatta di rischi e i suoi costruttori sono solo coloro che possiedono la forza per affrontarli. Ci vuole un chiarimento storico, è indispensabile affinché il passato non si ripeta con le sue gravi conseguenze. Fino a quando non si saprà la Verità, le ferite del passato rimarranno aperte e non si cicatrizzeranno. Conoscere la Verità, mettersi di fronte alla nostra realtà personale e collettiva non è una scelta che si può accettare o lasciare, è un’esigenza inappellabile per tutti gli esseri umani, per tutta la società che abbia intenzione di evolversi e diventare libera. Anni di terrore e morte hanno attanagliato e ridotto alla paura e al silenzio la maggior parte del popolo del Guatemala. Le 6.500 testimonianze raccolte hanno confermato la cifra stimata delle vittime, 55.000; il 75 per cento sono adulti e lo stesso 75 per cento appartiene al popolo Maya. Non furono solo loro le vittime, anche i loro familiari. Abbiamo documentato 86.318 bambini i cui genitori hanno patito qualche violazione, la metà sono rimasti orfani di padre o di madre. Tre vittime su dieci appartengono a qualche gruppo organizzato, più della metà erano catechisti e uno su cinque lavorava all’interno di gruppi a carattere sociale o comunitario. Questo conferma che i grandi obiettivi della violenza erano i leader sociali. Solo uno su dieci apparteneva a qualche gruppo a carattere militare. Fra il 1980 e il 1983 ci sono state quasi 44.000 vittime, circa l’80 per cento del totale delle vittime che REMHI ha documentato; nel 1981 e nel 1982 accaddero quasi 300 dei 422 massacri che abbiamo documentato. Secondo i nostri registri l’Esercito è responsabile di 33.000 vittime, i gruppi paramilitari sono responsabili di 3.424 vittime. L’Esercito in collaborazione con i gruppi paramilitari come i PAC e i Comisionados, sono responsabili di 10.600 vittime, la guerriglia è responsabile di 5.117 vittime, per non contare le 2.800 vittime delle quali non abbiamo potuto stabilire con certezza i colpevoli. Nella regione del Quiché ci sono state più del 57 per cento del totale delle vittime, mentre nella regione di Las Verapaces il 23 per cento. Le testimonianze raccolte dal REMHI, nonostante rappresentino una stima importante, sono lontani dal raggiungere la reale totalità di violazioni dei diritti umani in questi ultimi 36 anni. Il nostro progetto si divide in quattro punti. Nel primo abbiamo analizzato l’impatto della violenza a livello personale, familiare e comunitario; abbiamo aperto capitoli speciali per dimostrare la violenza subita dalle donne e dai bambini. In questo stesso punto abbiamo trattato le diverse strategie della gente di affrontare queste situazioni limite e le loro richieste affinché questa violenza non si ripeta mai più. Nel secondo punto abbiamo trattato i meccanismi dell’orrore, come furono pianificati ed eseguiti i massacri, le torture, le deportazioni forzate, come hanno funzionato gli apparati del terrore, i servizi di Intelligence militare, le forze speciali della rivolta e della contro rivolta, l’addestramento degli uomini trasformati in macchine per uccidere e i metodi impiegati. Il terzo punto è un’ampia veduta storica della guerra, i cicli politici ed economici e i personaggi fondamentali del processo politico, fra i quali la Chiesa. Il quarto punto presenta i nomi e tutti i minimi dati di identificazione delle vittime , così come delle statistiche generali di raccomandazioni allo stato, alle forze politiche del Paese, alla Chiesa e alla comunità internazionale. In tutto questo la parola primaria è la Verità, l’azione seria e matura che ci dà la possibilità di rompere questo ciclo di violenza e di morte, per avviarci verso un futuro di speranza e di luce per tutti. Il lavoro di REMHI è stato un impresa sorprendente di conoscenza, approfondimento e riappropriazione della nostra storia personale e collettiva. E’ stata una porta aperta affinché le persone respirino e parlino di libertà, per la creazione di comunità con speranza. La pace è possibile, una pace che nasce dalla Verità di ognuno e di tutti, Verità dolorosa, memoria delle piaghe profonde e sanguinanti del paese, Verità personificante e liberatrice che dà la possibilità a tutti gli uomini e alle donne di ritrovare sè stessi e la propria storia, Verità che sfida noi tutti affinché riconosciamo la responsabilità individuale e collettiva e ci compromettiamo per non far accadere mai più fatti abominevoli come questi. Il lavoro di ricerca della Verità non finisce qui, deve ritornare dove é nato. Non dimentichiamo mai che la prima necessità dei sopravvissuti è la Dignità. Probabilmente Juan Gerardi Conedera sapeva che presentando tale relazione avrebbe rischiato la vita, ma non sarebbe stato questo a fargli cambiare idea. Ad un amico che gli chiedeva di non presentare la relazione perché temeva per la sua incolumità, Conedera rispondeva con quella consapevolezza che possiede solo chi sa di avere un destino segnato: “ Amico mio, chi testimonia Cristo e il Vangelo non può avere paura della Verità. Non vi può essere pace senza giustizia e non vi è giustizia senza Verità. Ed è da lì, dalla Verità che bisogna ripartire per costruire una cultura di pace”. Come si può replicare ad un uomo che di fronte alla morte sa mantenere la stessa serenità che lo ha accompagnato per tutta una vita, insieme alla fede e alla speranza di vedere trionfare la Giustizia nella sua terra martoriata? E’ impossibile. Se approfondiamo il quarto punto del progetto REMHI, ci accorgiamo che la morte di Juan Gerardi Conedera era annunciata e scritta nel registro di qualche Boss della criminalità organizzata. Ma di quale criminalità stiamo parlando? C’è da rabbrividire per come, nel quarto punto, vengano menzionati il Governo e l’Esercito, non c’è da stupirsi quindi per il loro coinvolgimento in simili crimini: “Lo stato ha la responsabilità di risarcire le vittime, attraverso l’applicazione di misure economiche, sociali e culturali che compensino in parte le perdite e i danni subiti, istituendo leggi e procedimenti necessari, soprattutto per gli orfani di guerra. Lo stato deve riconoscere pubblicamente i fatti e le sue responsabilità nelle violazioni massive e sistematiche dei diritti umani della popolazione del Guatemala, così come la URNG (Unità Rivoluzionaria Nazionale Guatemalteca) e altri organismi armati. Il Governo deve evitare qualsiasi misura che contraddica il suo riconoscimento di responsabilità, come ad esempio rendere gli onori militari ai fautori delle violazioni dei diritti umani, compresi gli ex presidenti responsabili del terrorismo di stato. Contro la censura, la manipolazione informativa e l’isolamento sociale delle vittime delle violazioni, che ha impedito la conoscenza della storia reale, è un dovere del governo apportare delle modifiche a livello scolastico, si intende, includere nei testi di storia e in altri documenti ufficiali, la narrazione fedele di quello che è successo durante la guerra civile, partendo dai dati del REMHI e della Commissione di Chiarimento Storico. E’ d’obbligo per i responsabili militari, della Polizia e di coloro che presero parte ai gruppi paramilitari (come gli ex Comisionados o gli ex comandanti del Pac) e per il comando dell’URNG, fornire informazioni attendibili sui casi di rapimenti, di desaparecidos, di omicidi e di sequestri. I familiari delle vittime hanno diritto a saperlo, così come ad accedere ad ogni tipo di informazione che i poteri pubblici possano avere. Lo stato deve promuovere differenti forme di commemorazione delle vittime, affinché rimanga il ricordo collettivo alle attuali e future generazioni. La memoria delle atrocità non può convivere con i monumenti a personaggi lugubri della storia, soprattutto di coloro che hanno avuto gravi responsabilità nella violenza contro il popolo, come il monumento a Germàn Chupina Barahona, situato di fronte alla Direzione Generale della Polizia Nazionale. La URNG deve fare luce sulle morti e deportazioni della quale è responsabile. Deve informare i familiari di quello che è successo e deve facilitare il ritrovamento delle vittime per far cessare il dolore dei sopravvissuti. La prevenzione della violenza dovrà far sorgere cambi profondi nei distinti apparati dello stato e concretizzarsi in una lotta decisa contro la criminalità organizzata. Il sistema di giustizia deve essere riformato in accordo con le raccomandazioni della Commissione di Rinforzamento della Giustizia. Per fare in modo che la Pace sia reale, si deve realizzare un processo di smilitarizzazione sociale, che comprenda misure che comportino cambi militari, come la diminuzione dell’influenza militare nella società. Devono essere smobilitati i corpi militari, ufficiali, più implicati nelle atrocità e devono essere smantellati gli apparati clandestini di sicurezza, il tutto, accompagnato da riforme profonde nel sistema di Intelligence. E’ necessario sopprimere lo Stato Maggiore Presidenziale e investigare profondamente sulle sue attività. I sistemi di istruzione militare a tutti i livelli devono essere trasformati totalmente, per evitare che continuino ad essere una minaccia per la convivenza sociale e che simboleggiano l’aggressione contro la popolazione, come la Scuola di Kabiles. Nella vita quotidiana si deve eliminare l’esaltazione militare, in atti civici, così come nell’ambito educativo e sociale. Si deve abolire il reclutamento obbligatorio dei giovani da inserire nell’Esercito. E’ necessaria l’approvazione di una legge sull’obiezione di coscienza. Per quanto riguarda il problema della terra, lo stato deve promuovere una politica generale di sviluppo agrario che comprenda misure che garantiscano l’accesso alla terra, l’accesso a sistemi di medio credito per la categoria più colpita dalle violenze, come le vedove. In tutte le testimonianze raccolte in questo progetto, le richieste di libertà sono unite alla richiesta di possibilità di espressione dell’identità e della propria cultura nelle differenti comunità. Una richiesta di libertà, di celebrare riti e cerimonie, il libero accesso a luoghi sacri e la libera espressione delle proprie credenze. Lo stato deve favorire la realizzazione di strutture di partecipazione che eliminino l’attuale sistema di esclusione politica contro le popolazioni Maya. In un contesto di grave discriminazione sociale verso le popolazioni indigene, la richiesta di rispetto dei diritti umani si estende verso mezzi che favoriscano l’instaurazione di un’identità collettiva. Senza un senso etico chiaro di condanna alle atrocità commesse e senza strumenti di ricerca, controllo e di sanzione, la violenza può trasformarsi in un “modello” da seguire per i giovani nella società del domani”. Poteva essere evitata la morte di Juan Gerardi Conedera? Forse sì, se il suo stesso paese lo avesse protetto. Quelli che “contano”, quelli che detengono il potere, avevano il dovere di proteggerlo, ma questa era la vera utopia. Monsignor Conedera lo sapeva e non chiedeva niente di più che l’affetto della sua gente, del suo popolo, che ancora oggi si aspetta di vederlo davanti alla porta di casa, pronto ad ascoltare il loro dolore e a battersi per i loro diritti. Addio Juan! Possano le tue parole entrare nel cuore di tutti gli uomini giusti e diventare azione, per restituire al popolo del Guatemala la dignità e la gioia di vivere.

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