TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

Intervista a Nelson Mandela

Di John Carlin
 

 

“...Non credo che niente abbia suscitato tanta ripugnanza nell’epoca moderna, ad eccezione delle atrocità contro gli ebrei, come < l’apartheid >”.

Il sorriso di Nelson Mandela è forse il più famoso del mondo. Da quando è uscito dal carcere, l’11 febbraio 1990, un milione di fotografie hanno riportato l’espressione franca e allegra di un uomo giusto. Quando però ci si siede dinanzi a lui e gli si pone una domanda, il suo viso si trasforma in una maschera di pietra, gli occhi fissi in un punto lontano, le labbra contratte ostinatamente, la testa immobile come il busto di un imperatore romano. Quello che si prova è un po’ di soggezione, sorge il dubbio che Lui non stia prestando attenzione alla domanda che gli si pone. Ma c’è qualcosa di ancor più disarmante e intimidatorio che nasce dalla sensazione di parlare con “una figura eterna”... con il “colosso morale” della nostra epoca, un individuo il cui esempio continuerà ad ispirare l’umanità per sempre. Mandela ascolta. Con immenso sollievo, l’intervistatore scopre, una volta pronunciata la sua domanda, che colui che sembrava essere una statua assente, è invece un esempio di concentrazione assoluta. Mandela parla animatamente, gesticola, si esprime con forza e straordinaria chiarezza. E, nonostante i suoi 80 anni, dopo una vita terribilmente dura, riesce a citare, con notevole precisione, fatti e date appartenenti tanto alla storia contemporanea quanto a quella antica. A fare da cornice alla nostra conversazione la sua splendida residenza presidenziale, situata su una collina di Pretoria, tempo addietro il baluardo del governo dittatoriale bianco. Nel corso della lunga intervista sorride una volta sola e ride come se stesse raccontando una barzelletta su se stesso quando ricorda il momento nel quale lesse, durante il processo di Rivonia del 1964, le “preoccupanti” informazioni che avrebbero potuto condannarlo non solo all’ergastolo, come invece accadde, ma alla forca. Si tratta della Dichiarazione Universale dei diritti umani, un documento il cui spirito si incarna in Mandela più che in nessun’altra persona attualmente in vita. Nel mese di ottobre dello scorso anno, Mandela dimostrò la sua fedeltà a questo spirito, e in particolar modo il suo amore per la giustizia e il dominio della legge, quando affrontò il suo stesso partito, il Congresso Nazionale Africano, ed espresse il suo sostegno al lavoro della rispettabile “Commissione della Verità e della Riconciliazione del Sudafrica”(CVR). La Commissione dedicò tre anni all’investigazione di 31.000 casi di violazioni dei diritti umani durante gli anni di apartheid e nel mese di ottobre pubblicò un documento di un milione di parole che passerà alla storia, nell’anno del cinquantenario, come uno dei documenti più esemplari di questo secolo. Quando il CNA (Congresso Nazionale Africano), l’organizzazione alla quale Mandela è rimasto fedele nel corso di tutta la sua vita politica, presentò un appello contro il documento, nei tribunali, al fine di impedire che fosse pubblicato, Mandela non mancò di mostrare il suo disaccordo, visto che pensava che questo lavoro fosse un esercizio di catarsi necessario e i cui benefici per la nazione fossero superiori a qualsiasi meschino interesse partitico. Da allora varie “voci”, all’interno del suo stesso partito, chiesero al governo di ignorare la domanda della commissione la quale chiedeva che venissero presentate le accuse contro coloro che avevano violato i diritti umani, ma che si opponevano ad apparire dinanzi alla commissione stessa per confessare i propri crimini. Le voci esigono che venga concessa un’amnistia generale, cosa che Mandela rifiuta completamente, in questa intervista.
D. Le Nazioni Unite proclamarono, dinanzi al mondo, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nel 1948. Un’ironia storica, visto quello che è successo in Sudafrica quello stesso anno, nel quale il Partito Nazionale arrivò al potere e sotto l’etichetta di apartheid, iniziò a fare del razzismo una “Legge”. Le fece male, in qualche modo, il documento delle Nazioni Unite a quell’epoca?
R. La Dichiarazione ottenne una enorme pubblicità, soprattutto se si tiene presente la politica sudafricana, perché il Governo del partito nazionale salì al potere solo tre anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, una guerra che si sviluppò per distruggere il fascismo e che accese le speranze del popolo nero - soprattutto in questo paese - la cui partecipazione nella lotta contro un male che evidenzia la superiorità razziale, insieme alle atrocità commesse contro gli ebrei, dovevano apportare cambiamenti nella nostra nazione. Era un’epoca di decolonizzazione e perciò le aspettative erano molto alte. La Dichiarazione ci arrivò con quei precedenti e soprattutto grazie al contributo dell’India. L’inchiostro con il quale fu scritta la sua nuova costituzione era ancora fresco quando decise di occuparsi del trattamento che ricevettero le persone di origine indiana in Sudafrica. Estese poi il suo lavoro a tutti coloro che soffrivano sotto il regime dell’apartheid. Grazie all’intervento dell’India abbiamo conosciuto la Dichiarazione. Però mentre il mondo avanzava verso una nuova organizzazione nella quale i fattori etnici avrebbero avuto meno importanza e le persone sarebbero state trattate tutte allo stesso modo, il Sudafrica retrocedeva e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani si tramutò in una sorta di Bibbia che citavamo per condannare la politica dell’apartheid.
D. Le vorrei porre una domanda leggermente provocatoria. Lei ha appena terminato di parlare dell’India, ma all’inizio del suo “cammino politico”, quindi verso la fine degli anni quaranta, quando apparteneva al movimento giovanile, era conosciuto per avere una posizione molto “africanista”. Si dimostrò assolutamente contrario all’idea che chi non fosse africano potesse partecipare alla lotta di liberazione. Non crede che forse Lei fosse un po’ in contraddizione con i principi della Dichiarazione stessa?
R. In parte era mancanza di maturità politica, soprattutto perché la comunità indiana era formata da persone con capacità assolutamente incredibili e aveva molte più risorse di noi. Credetti che per noi sarebbe stato un errore unire le nostre forze con le loro, perché immediatamente avrebbero preso il comando e il nostro contributo sarebbe passato inosservato. Contemporaneamente, però, avevo contatti con illustri intellettuali indiani, con i quali sostenni numerose conversazioni. Ben presto mi resi conto che mi stavo sbagliando, perché l’importante non era il colore di un uomo, bensì gli ideali che questo difendeva. Costoro si rivolgevano ad ogni persona come individuo, e gli dicevano: “... Lottiamo contro l’oppressione razziale. Perché dobbiamo lottare fra di noi? Cos’hai contro di noi?”. Erano molto astuti, perché allora io non avevo una “bandiera chiara” e quando si viene attaccati e si è circondati da altre persone si cerca di difendersi, ma quando si è soli e qualcuno ti dice : “Lottiamo contro lo stesso male contro il quale lotti tu, cos’hai contro di noi ?” ti trovi disarmato. Così finirono per convincermi che la mia opinione era sbagliata e fui costretto a parlare con i membri della mia organizzazione per dire loro che c’era da rivedere la nostra posizione.
D. Lei è uno studioso di storia. In un periodo della sua vita ha avuto molto tempo per leggere, mi riferisco ai 27 anni che ha passato in carcere. Forse è una domanda difficile da rispondere, ma dove collocherebbe l’apartheid nella scala delle atrocità del XX° Secolo?
R. Ad eccezione delle atrocità commesse contro gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, non c’è nessun altro crimine, in tutto il mondo, che sia stato condannato all’unanimità come l’apartheid. La cosa peggiore è che una minoranza che decise di sopprimere la stragrande maggioranza del paese, utilizzò il nome di Dio per giustificare le barbarità commesse... Non credo che ci sia, nell’epoca moderna, niente che abbia suscitato così tanta ripugnanza, ad eccezione delle atrocità contro gli ebrei, come già ho detto.
D. Ciononostante esiste un particolare importante, nel senso che se si tengono in considerazione le violazioni dei diritti umani, su scala fisica, tangibile, non solo sotto il profilo istituzionale, come nel caso dell’apartheid, l’esperienza sudafricana non fu così terribile come ad esempio quella vissuta nei paesi latinoamericani, come il Cile, il Salvador e l’Argentina.
R. Non si può dire che sia così, alla luce delle rivelazioni fatte di fronte alla Commissione della Verità e Riconciliazione. Abbiamo riesumato tombe nelle quali c’erano i cadaveri di persone assassinate solo perché avevano osato affrontare la superiorità dei bianchi ; uomini, donne, bambini, anziani. Anche solo un morto, è già troppo! Se si ascoltano le atrocità che vennero commesse qui contro le persone innocenti, non si farà questa distinzione. E’ stato qualcosa di terribile, e non è altro che una parte di storia. Troppa gente ha sofferto e ci sono state occasioni nelle quali l’aggressione fisica non è stata così grave quanto l’oppressione psicologica sofferta dalla popolazione nera durante l’apartheid. E’ una tortura psicologica impossibile da descrivere a parole. E’ indescrivibile.
D. L’arcivescovo Desmond Tutu, ha posto in risalto i valori della chiarezza e della purezza che contraddistinguono la Commissione della Verità e della Riconciliazione. Come interpreta Lei questo? Si tratta di un fenomeno complesso, psicologico e collettivo. Come vede il processo di “pulizia” che è riuscita a portare a termine, speriamo, la CVR?
R. Secondo la mia opinione non dobbiamo vedere la guarigione del Sudafrica come un fatto, ma come un processo, e la commissione ha contribuito magnificamente a detto processo, perché adesso le famiglie delle vittime delle atrocità conoscono quello che è realmente accaduto ai propri cari. Alcuni di loro sono stati capaci di ascoltare le confessioni degli agenti dell’apartheid e hanno risposto che li perdonano. Naturalmente ci sono altri che hanno così tanta amarezza, che impedisce loro di dimenticare il dolore per aver perso coloro che amavano. Credo che in generale la Commissione abbia svolto un lavoro meraviglioso, aiutandoci ad allontanarci dal passato, per concentrarci sul presente e sul futuro e lo stesso Tutu ha realizzato un lavoro incredibile, nonostante tutte le imperfezioni della CVR.
D. Molte persone di tutto il mondo, credono che come ha detto Lei, il documento della Commissione sia splendido. Ciononostante in Sudafrica corrono voci sulla possibilità che ci sia un’amnistia generale. Ci sono stati dibattiti su questo tema e si potrebbe dire che l’argomento ha una certa logica politica. Coloro che sono contro tale possibilità, assicurano che si tratterebbe di una farsa del lavoro della Commissione. I termini della Legge parlamentare, in virtù della quale si creò la CVR, disponevano che i criminali che non confessavano i propri crimini e sollecitavano il perdono, fossero processati. Ha qualcosa da dire al riguardo?
R. No. E’ un dibattito totalmente futile. Già abbiamo analizzato la questione e l’abbiamo esclusa. Durante una delle prime riunioni del nostro governo abbiamo scoperto che De Klerk aveva concesso a 3000 membri della polizia di sicurezza un’amnistia generale per i loro atti. Decidemmo di annullare quell’amnistia. Tutti quelli che desiderano il perdono, devono sollecitarlo individualmente. In accordo con le istruzioni della Commissione, stabilimmo che tutti avrebbero dovuto dichiarare quali crimini avevano commesso e solo allora si sarebbe deciso se concedere l’Amnistia. Non possiamo adesso cambiare questa forma di attuazione. Tutti devono sollecitarla personalmente ; per quello che mi riguarda, non esiste parlare di amnistia generale. All’epoca mi opposi con tutte le mie forze. Non possiamo farlo, tutti devono chiederla.
D. La Commissione della Verità e della Riconciliazione ha proposto di citare a giudizio coloro che non si sono presentati a dichiarare. Ma le realtà politiche non rendono più complicato il lavoro della Giustizia?
R. Quando eravamo un movimento che lottava per la liberazione, tutto quello che avevamo da fare era riuscire a mobilitare le masse del nostro paese e concentrare le nostre forze contro la supremazia bianca. Invece da quando siamo governo abbiamo una costituzione che sancisce il dominio della legge e tutti quanti sono soggetti ad essa.
Non solo questo: abbiamo adottato misure atte a garantire che questa costituzione non rimanga un semplice foglio scritto capace di rompersi in qualsiasi momento. La abbiamo trasformata in un documento vivo.
Abbiamo creato strutture che fanno sì che anche il governo sia legato alla costituzione e non possa fare ciò che vuole. Disponiamo di un difensore pubblico, difensore del popolo, al quale può accedere qualsiasi cittadino offeso, per lamentarsi e cercare giustizia. Abbiamo una Commissione per i Diritti Umani, formata dai sudafricani più noti e soprattutto abbiamo il Tribunale Costituzionale, che ha annullato, per esempio, azioni del governo. Il Parlamento mi ha dato i poteri di emettere una proclama a proposito delle elezioni nel Cabo Occidentale, che è una provincia governata dal Partito Nazionale. Helmus Kriel, il suo primo ministro, mi ha portato davanti al Tribunale Costituzionale che ha annullato la mia azione. Meno di un’ora dopo feci una dichiarazione pubblica nella quale affermavo che il tribunale costituzionale è l’arbitro definitivo in materia costituzionale. Avevano davanti a loro una questione delicata, presero una decisione all’unanimità. Il nostro dovere è rispettare quella decisione. E così chiesi al paese e soprattutto ai miei compagni di partito di dare l’esempio di obbedienza alle istituzioni che abbiamo creato in virtù della Costituzione. In un’altra occasione un giudice mi citò affinché mi presentassi davanti a un tribunale. La nostra gente, membri del Gabinetto, miei assessori, legali, si opposero e dissero che legalmente io potevo oppormi, ma io risposi: “no! Facciamolo! Facciamolo in un altro modo! Andiamo ad obbedire alle istituzioni che abbiamo creato, posso occuparmi di me stesso fuori e dentro un tribunale”. Feci quello che dovevo fare, accettai la decisione del giudice, nonostante avessimo serie riserve. Obbedimmo perché volevamo istituire il dominio della legge. E lo abbiamo fatto. Per questo non ci risulta difficile rispettare le decisioni della Commissione della Verità e della Riconciliazione, perché si tratta di un’istituzione che abbiamo creato sempre noi. Non possiamo crearle per continuare a sfidarle e certamente l’azione del CNA non fu una sfida; chiunque senta di essere stato violato nei suoi diritti ha la possibilità di appellarsi al tribunale. L’opposizione ha fatto appello al tribunale costituzionale per bloccare varie leggi approvate al parlamento. A volte ha perso e altre volte ha vinto. Nessuno viene criticato per aver cercato asilo nei tribunali e questo è quello che ha fatto il CNA. Quest’azione dimostra che il CNA si considera indipendente dal governo. Fecero una dichiarazione ed io feci una contro-dichiarazione, in qualità di Presidente della nazione. Il CNA non cercò di bruciare questo documento e questo è ciò che dimostra la sua giustizia e la sua imparzialità, nonostante venga criticato perché si avvale dei tribunali. La Commissione della Verità e della Riconciliazione è un’istituzione molto rispettata, gli uomini e le donne dai quali è composta hanno svolto un lavoro meraviglioso, in circostanze difficili e per questo, secondo me, dobbiamo rispettare tutti, senza eccezioni, per quello che ha fatto per il paese.
D. Nel Regno Unito, Tony Blair, quando salì al potere, disse che avrebbe intrapreso quella che chiamò una politica estera con criteri etici. Non intendo fare alcun commento sul Regno Unito, ma sono sicuro che gli piacerebbe pensare che anche il Sudafrica ha una politica estera guidata dall’etica e vincolata alla Dichiarazione Universale. Ciononostante, in particolari occasioni, certi interessi nazionali quali la necessità di commercio e gli scambi esteri intorbidiscono le acque e rendono più difficile, per chi sta al governo, mantenersi puro in materia di diritti umani, come per coloro che stanno all’opposizione. Cosa pensa di questo dilemma? Pensa che sia un dilemma o no?
R. Non credo che sia un dilemma. Quando mi recai negli Stati Uniti per la prima volta, al termine di una conferenza stampa alla quale partecipammo George Bush ed io, Bush mi disse: “Non so perché “voi” collaboriate con Cuba e la Libia. E non so perché si debba impiegare la violenza”. Alla domanda della violenza risposi: “La storia del mondo, mostra che sono gli oppressori coloro che determinano i metodi di azione politica utilizzati dagli oppressi. Se l’oppressore per esempio, il regime dell’apartheid nel nostro caso, utilizza il dialogo, la persuasione e la critica, il popolo oppresso non penserà mai a ricorrere alla violenza. Ma quando l’oppressore chiude tutti i canali di comunicazione, di espressione, indurisce l’oppressione e utilizza la violenza, è come se dicesse all’oppresso < se desideri cambiare di posizione, se desideri finire con l’egemonia bianca, impiega gli stessi nostri metodi >. Questo è quanto insegna la storia. E’ anche la storia degli Stati Uniti d’America. E per quanto riguarda Cuba e la Libia, nessun “guerriero per la libertà” (che dice di avere principi morali) che abbia ottenuto, in momenti di difficoltà, l’aiuto di certi paesi, sarebbe capace, alla vigilia della vittoria di dimenticarsi di quegli alleati, seguendo il consiglio di coloro che aiutarono il nemico. Lei non potrebbe fidarsi di me se lo facesse, perché potrebbe farlo a se stesso. Mi rifiuto. I miei amici sono miei amici, sia quando sono impegnato nella lotta per la libertà che quando mi trovo al governo. Ho dei principi e non abbandono i miei amici, solo perché grazie al loro aiuto ho vinto la battaglia e adesso mi trovo al governo. Non lo farò e quando gli Stati Uniti protestarono perché io appoggiavo la Libia, risposi che potevano ritirare il loro aiuto. Nessun paese, per quanto potente sia, può “dettare” legge sulla mia politica estera. Ciò che la determina è il passato. Le relazioni che ho avuto con quel paese, il contributo che ha dato alla nostra lotta. Non li abbandono, solo perché alcuni sudafricani di un’altra “schiera” considerano che adesso non dovrei più mantenere relazioni con paesi come la Libia. Non presto loro attenzione, le relazioni estere si reggono per la storia comune con ogni paese, nel passato e nel presente. Se prendiamo in considerazione gli interessi, l’interesse del proprio paese, Cuba ci ha aiutato enormemente nella lotta e ancora oggi ci aiuta... ci inviano medici... allora perché dovrei tagliare le relazioni con loro?! Non ci penso nemmeno.
D. Le Nazioni Unite approvarono recentemente, con ampia maggioranza, la creazione di un nuovo organismo, il Tribunale Penale Internazionale, con il fine di perseguire coloro che violano i diritti umani in tutto il mondo. E’ abbastanza curioso il fatto che gli Stati Uniti fossero uno di quei Paesi che votarono contro.
R. Si, è molto curioso.
D. Ha qualcosa da dire su questa apparente contraddizione, visto quanto gli Stati Uniti dicono di rappresentare?
R. Ci sono paesi che, a ragione o a torto, pretendono di controllare gli organismi internazionali e per un tribunale penale, un tribunale penale internazionale, se vogliamo che ottenga l’approvazione di vari stati, prima di metterlo in marcia, questa pretesa sarebbe la morte. Per questo si rifiutò l’aiuto degli Stati Uniti e noi fummo in prima linea a rifiutare, ad affermare che il tribunale deve essere totalmente indipendente da qualsiasi paese per poter svolgere i propri obblighi. Ci riuscimmo. Adesso io voglio mantenere relazioni pacifiche con tutte le nazioni, inclusi gli Stati Uniti, soprattutto in ringraziamento al contributo personale del presidente Clinton. Prima che Clinton arrivasse alla presidenza, ci incontrammo in varie occasioni e mi aiutò molto. E questo ancora di più da quando è presidente. Ho un grande rispetto per lui, ha trasformato il “volto” della politica nordamericana. Può contare sul sostegno dei neri, delle minoranze, delle donne e dei più deboli; è una novità nella storia degli Stati Uniti e questo mi gratifica. Quando Clinton venne qui... disse : “Noi nordamericani, nella nostra politica estera, poniamo domande sbagliate, che possiamo fare per l’Africa? E’ una domanda sbagliata, la domanda da fare è: che dobbiamo fare con l’Africa? “. Si guadagnò l’approvazione di molta gente con queste manifestazioni, ecco perché ho un gran rispetto per lui. Ciò non toglie che non permetterò che gli Stati Uniti “dettino” legge nella nostra politica estera.
D. Quando Lei uscì dal carcere, la Repubblica Sudafricana come gli Stati Uniti erano fra i paesi con un il maggior numero di esecuzioni legali... Quando Lei salì al potere, una delle prime cose che fece fu abolire la pena di morte. Si sa che di quando in quando, con l’elevato indice di criminalità che esiste in Sudafrica, ci sono persone, incluso nel suo proprio partito, che asseriscono, fra le proteste, che bisognerebbe ripristinarla per combattere il crimine con più efficacia. Potrebbe dirci qual’è la sua posizione?
R. Sono contrario alla pena di morte, perché è un riflesso dell’istinto animale che continua ad essere presente negli esseri umani. Non ci sono prove che la pena capitale abbia fatto diminuire l’indice di delinquenza in nessun posto. Quello che lo fa diminuire è che i criminali sappiano che se commettono un delitto, finiranno in carcere. In altre parole, quello che serve è un sistema politico efficace, capace di scoprire il crimine. Per questo abbiamo preso precauzioni, per migliorare la capacità della nostra polizia. Abbiamo chiesto aiuto all’FBI, al servizio estero britannico, abbiamo creato un’accademia di detective, qualcosa che fino ad ora non esisteva in questo paese, con il fine di migliorare la capacità di investigazione delle nostre distinte polizie. La nostra polizia migliora di giorno in giorno, di modo che la pena di morte non sia la risposta, la risposta è migliorare la capacità della polizia.
D. Vorrei insistere ancora sul tema della pena di morte. Ho l’impressione che Lei abbia una specie di obiezione filosofica. Può spiegare un po’ meglio questo rifiuto?
R. Si tratta di una questione vincolata alla storia del nostro paese. In questa nazione la pena di morte si è utilizzata come scusa per assassinare e si è applicata soprattutto nei confronti dei neri. I bianchi non la subivano quasi mai.
D. E quasi quasi l’applicarono a Lei...
R. Si. Non c’è stato niente di così brutto per me, come leggere l’editoriale pubblicato nel giornale Rand Daily Mail durante il processo di Rivonia che affermava che “Gli africani non hanno nessuno che possa rappresentarli : il capo Lithuli è esiliato nella sua zona, il leader del PAC, Robert Sobukwe, è in prigione. Sisulu e Mandela rischiano la pena capitale e possono finire impiccati”(a questo punto dell’intervista Mandela ride). E’ un aspetto che conta nel mio rifiuto, inoltre non credo che guadagneremmo niente tornando a stabilire la pena di morte. La minoranza bianca, nonostante ci siano anche alcuni neri che fanno parte di essa, pensa che in fondo verrebbe utilizzata contro i neri e non contro i bianchi. Questa è la tradizione del paese, ma è una tradizione che abbiamo già lasciato dietro di noi.

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