TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia
TRAPIANTO DI ORGANI di Nicola Ceglie
 

 

Riflessioni di un medico occidentale.

La quotidiana pratica professionale spesso mi porta a confrontarmi con la sofferenza, con la tragedia di una malattia incurabile o di una troppo prematura morte. E’ nata così in me l’esigenza di proporre una risposta razionalmente concreta ed operativa o, almeno, una pura e semplice parola di giusto conforto a coloro che si trovavano nella disperante situazione di gestire queste condizioni tormentose. Ho sempre e comunque avvertito un senso di inadeguatezza della proposta terapeutica, ma in realtà ho capito che la mia era ed è un’esigenza più intima, che trascende la limitatezza del mondo materiale e affonda le sue radici nel campo dove puoi trovare le ragioni più vere della gioia e del dolore, della vita e della morte: il mondo dello spirito. In primo luogo, uno degli insegnamenti più importanti che il Maestro di tutti i Maestri, il Cristo, ci ha lasciato: i valori dello spirito devono totalmente dominare e guidare i valori della materia, in secondo luogo, e conseguentemente, si può affermare che esiste una profonda unità tra spirito e materia e cioè, nel nostro caso, ogni parte del nostro organismo ha in sé un contenuto spirituale imprescindibile, sicché non si può fare a meno di pensare che ogni cosa che accade a livello fisico non riconosca una causa spirituale. Il corollario necessario a queste due affermazioni di principio è che la morte esiste solo come fatto biologico, fisico, seppur tragico, ma non appartiene al mondo dello spirito. La vita terrena o comunque fisica, materiale (infatti non è detto che debba per forza svolgersi solo sul pianeta Terra) è per ogni entità spirituale umana un necessario momento sperimentativo, che si ripete più volte e ha precise finalità evolutive, ma non esaurisce la vitalità dello spirito che è eterna.

Queste cognizioni in un certo qual modo sono presenti in alcune "medicine orientali", le cosiddette medicine energetiche, che non a caso ultimamente stanno ottenendo una rinnovata attenzione da parte di europei e statunitensi. In tutte queste si parla di una energia o di una forza vitale che informa tutto il nostro fisico e dalla quale non possiamo prescindere se vogliamo meglio studiare, conoscere e curare l’economia integrata spirito-materia che governa il nostro corpo, per adeguarci agli insegnamenti cristici e prepararci al passaggio dimensionale che appresta a verificarsi. Purtroppo devo ammettere che nella medicina occidentale regna una fondamentale scissione tra questi due aspetti, quando non predomina nettamente quello materialistico. Con questo non si vuole affermare che tra di essi non vi siano stati o non vi siano brillanti esempi di completa e disinteressata dedizione alla cura dei sofferenti, ma quanto piuttosto che l’assenza, sia culturale che etica, di queste conoscenze può portare ad uno scadimento morale della professione e ad un approccio eccessivamente materialistico della ricerca biomedica.

Infatti, inorgogliti dall’essere arrivati a conoscere alcuni profondi meccanismi biochimici e genetici della biologia dell’organismo umano, di essere capaci di combattere più o meno efficacemente le infezioni (anche se restano la principale causa di morte per malattia nelle Rianimazioni, nei Paesi sottosviluppati, negli ammalati di A.I.D.S.), di compiere terapie chirurgiche complesse e ottenere qualche guarigione in certi casi di cancro, ci si sta facendo cogliere da una sorta di delirio di onnipotenza, rinforzato da una buona dose di infame speculazione economica, e così ci tocca oggi leggere sui giornali che uno delle possibili applicazioni future della clonazione, secondo il dott. Terragni, è la "plausibile creazione di "vite" finalizzate alla produzione di organi", come se fosse possibile creare corpi senza né intelligenza né anima, o ancora, con l’approvazione del Vaticano, ci tocca sentire dell’esecuzione di trapianti di testa sui macachi, eseguita dal prof. White di Cleveland, pratica sperimentale probabilmente preparatoria ad analoghi interventi sull’uomo, secondo il dott. G. Tamino biologo dell’Università di Padova. E’ opinione comune che lo scopo ultimo di ogni ricerca medica e della medicina in generale sia scoprire le cause ed i fattori favorenti, nonché il meccanismo, attraverso i quali si generano le malattie ed una volta raggiunto ciò, escogitare, nel rispetto dell’ecosistema nel quale è inserito l’uomo e nel rispetto della sua integrità psicofisica, quei rimedi che impediscano a quelle cause di determinare la malattia: è la cosiddetta prevenzione primaria. Il trapianto d’organo, nell’ambito del discorso terapeutico, si colloca come ultimo baluardo delle cure mediche, dopo che sono falliti, per vari motivi, tutti i tentativi di prevenzione e terapia. Più che di un moderno ritrovato, si tratta, in effetti, della testimonianza dell’incapacità della medicina di perseguire i suoi scopi istituzionali più basilari.

Il mio timore, insomma, è che, spinti dal successo terapeutico ad ogni costo ed anche dal clamore sensazionalistico che i mass-media esercitano intorno alla problematica dei trapianti, non si diriga la ricerca medica verso la prevenzione (e qui bisognerà tener d’occhio la manipolazione genetica, che non faccia altri guai), ma piuttosto verso la più "spettacolarizzata" meta della sostituzione dell’organo ammalato. Se così fosse, avremmo un’altra applicazione della consumistica "cultura del pezzo di ricambio": come per i televisori, che non si cerca più di riparare l’elemento elettronico danneggiato, ma si butta via l’intera scheda e la si sostituisce con un’altra, così con l’uomo: ammalatosi uno o più organi non ci si preoccuperà più di curarli, tanto basterà sostituirli con altri ancora efficienti, è sufficiente avere a disposizione un congruo serbatoio di fornitori di organi. E qui sorgono altri problemi.

Scartata per ora, e si spera per sempre, la sciagurata ipotesi di clonare il proprio corpo per creare un essere vivente "di scorta", essendo ancora a livello sperimentale la discutibile utilizzazione di organi artificiali e di animali transgenici per la "produzione" di organi geneticamente accettabili da parte del nostro organismo, allo stato attuale gli organi necessari per i trapianti, eccettuate le cornee, possono essere reperiti solo espiantandoli da altri esseri umani, dichiarati, come previsto dalla legge, clinicamente e strumentalmente morti da un punto di vista cerebrale, ma dotati ancora di valida attività cardiaca. Questa condizione di "morte cerebrale" è allo stato attuale delle conoscenze della medicina occidentale irreversibile e pertanto si differenzia nettamente dai vari stati di coma, che per quanto gravi siano, possono essere reversibili. Ma un essere, di cui non siamo capaci di rivelare più alcuna attività cerebrale, è veramente morto o non può essere che noi, a quel determinato stadio della malattia o del trauma che ha colpito quel soggetto, non siamo ancora capaci di intervenire efficacemente e, quindi, in realtà non è un essere veramente morto? Le numerose esperienze di premorte vissute da diversi individui, che dichiarati clinicamente deceduti, sono poi tornati in vita, sembrano mettere in dubbio la nostra capacità di porre con certezza inequivocabile la diagnosi di morte (vedi: "Oltre la vita" di Lucia Pavesi della De Vecchi Editore). Inoltre stanno emergendo sempre più evidenze sul fatto che non può ritenersi del tutto certa la teoria secondo la quale esclusivamente nel cervello umano risieda la coscienza, l’anima o che altro dir si voglia. Pare, invece, che questa, in realtà, pervada l’intero organismo e che attraverso tutta la sua interezza essa compia l’esperienza materiale e, quindi, non potrebbe considerarsi in effetti morto un corpo, che ancora possiede vitali organi che sono in grado di ospitare l’anima. Insomma rischiamo inconsapevolmente di tramutare la donazione d’organo, un estremo atto di generosità e di amore, in un omicidio involontario. C’è inoltre da chiedersi: perché secondo la concezione antiabortista, che io condivido, è un delitto eliminare il prodotto del concepimento anche in fasi estremamente iniziali, quando certamente non v’è traccia di alcuna attività organica e tantomeno cerebrale, e non è considerato invece analogamente l’eliminazione di un essere organicamente completo, seppur menomato in alcune sue funzioni? E poi, si può veramente e cristianamente vivere la propria tragedia di ammalato in attesa di trapianto, sperando di sopravvivere grazie alla morte di un altro individuo e su questo, quindi, creare un sistema terapeutico? O non stiamo piuttosto avviandoci verso un ennesimo abominio dell’uomo sull’uomo? In un mondo aberrante come il nostro, con i valori che rispettano la vita in caduta verticale, è facile che una concezione come i trapianti d’organo generi situazioni diaboliche: la disperata voglia di sopravvivere ad ogni costo su questa terra, una certa disponibilità economica, la presenza di uomini disperati e di altri senza scrupoli hanno creato l’infame commercio clandestino degli organi e così assistiamo inorriditi a uomini che vendono per sopravvivere i propri organi, a bambini sudamericani orfani o rapiti che vengono allevati e venduti a 75.000 dollari per fornire organi da trapiantare.

Se, come ci ha insegnato Cristo, riuscissimo a far dominare i valori spirituali sulla materia, anche la nostra scienza probabilmente sceglierebbe soluzioni e campi di ricerca che producano risultati totalmente a favore della vita e, forse, tutta la sofferenza di questo mondo, le malattie, la morte ci sembrerebbero meno assurde.

Infine un’ultima riflessione che si riallaccia a quanto illustrato prima sulla fondamentale ed imprescindibile unità tra corpo e anima. E’ un pensiero personale, ma condiviso da molti altri, frutto di alcune letture e di una introspezione profonda e che ultimamente ha trovato una inaspettata conferma nel libro edito dalla Mondadori "Con il cuore di un altro", da cui trarrò spunto per illustrare la mia opinione. Il testo narra di Sylvia Claire, ballerina e coreografa statunitense, che subito dopo aver subito un trapianto di cuore e polmoni, scopre inopinatamente di avere gusti gastronomici per lei assolutamente estranei e qualche inedito tratto di personalità. Dopo una intensa esperienza onirica ed alcune intricate indagini, scopre di dovere tutto ciò all’avere assunto in sé alcuni gusti ed alcune caratteristiche della personalità del suo donatore.

Conduce quindi uno studio su quanto le è avvenuto e salta fuori, così, che si sono verificati altri casi analoghi, che il fenomeno è ben conosciuto nell’ambito della medicina non ufficiale, di cui riporta tutta una serie di ipotesi che tentano di spiegare l’accaduto. La veridicità dell’esperienza, che viene riportata in questo libro, è stata attentamente controllata prima di essere pubblicata. La scrittrice chiude la sua pubblicazione con una esortazione alla donazione d’organo, che denuncia il fatto che le è sfuggita una delle spiegazioni più plausibili di quanto le è successo. Vediamo dunque come si può interpretare questa vicenda: esiste una assoluta compenetrazione tra corpo fisico e la nostra componente trascendentale, ogni parte del nostro corpo vive e memorizza l’esperienza vitale materiale che compie sulla Terra e questa esperienza fa parte di un unico complesso di esperienze che lo spirito, tramite l’interfaccia corporale, è chiamato a vivere per realizzare il suo programma evolutivo.

Queste esperienze rimangono depositate, ognuna per la sua parte, nei vari organi, che fisicamente le hanno vissute, fino a tre giorni ancora dopo la morte biologica: è, infatti, nozione comune della medicina che le cellule e quindi gli organi di un organismo non muoiono tutte insieme. In questi tre giorni l’esperienza maturata viene gradualmente ceduta sul piano animico-spirituale, dove risiedono tutte le altre esperienze vissute. Se si interviene prima che sia trascorso questo tempo, come si fa quando si asportano gli organi per un trapianto, succede che questi organi conservino ancora memoria dell’esperienza vissuta e che si verifichi, in soggetti particolarmente predisposti come nel caso della ballerina Sylvia Claire, che essi subiscano pesantemente l’influenza di quella esperienza maturata e immagazzinata negli organi del donatore. Abbiamo così due pesanti conseguenze: l’una sul donatore, che viene traumaticamente privato di una parte delle sue esperienze, che gli servivano per adempiere alla propria evoluzione e viene così costretto a ripetere quel programma di incarnazione nuovamente, l’altra sul ricevente, che subisce una pesante e sconvolgente influenza sul suo programma evolutivo, che il suo spirito aveva elaborato prima di incarnarsi. L’espianto-trapianto diventa in definitiva un doppio peccato contro la vita, che è, come Cristo ci insegna, percorso di evoluzione. A coloro che sono in attesa di trapianto, oltre la mia solidarietà posso solo offrire l’invito a condurre una profonda e libera ricerca spirituale, che porti loro a scoprire il vero senso della vita e della morte.

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Il professor Paolo Rietti, nella "Grande Enciclopedia della Scienza e della tecnologia" della De Agostini - tanto per trapianto di cuore afferma: "...sussistono ancora numerosi problemi clinici... Gran parte delle complicanze successive a un trapianto cardiaco sono imputabili a farmaci impiegati per il trattamento immuno- soppressivo, indispensabile per evitare il rigetto .... solo la prevenzione può abbattere in modo decisivo l'incidenza di malattie così diffuse...".

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